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L’ANNO DEL DOHA ROUND

Si può fare: il ciclo di negoziati sul commercio globale denominato Doha Round può concludersi con un accordo entro il 2011. La regolamentazione del commercio entrerebbe finalmente nel ventunesimo secolo. E il Wto potrebbe passare a occuparsi delle problematiche di nuova generazione. Servirà però l’intervento diretto dei capi di Stato e di governo, per accettare i compromessi necessari e dimostrare così quell’atteggiamento illuminato rivelatosi indispensabile ogni qual volta si sia dovuto concludere un accordo commerciale multilaterale, fin dal 1940.

 

Incredibile, ma vero: è probabile che il Doha Round si concluda quest’anno. L’attuale ciclo di negoziati sul commercio globale si è dibattuto tra omissioni, intoppi e fallimenti fin dal suo avvio nel novembre 2001. Le ragioni del prolungato ritardo sono complesse, ma non hanno mai riguardato differenze inconciliabili: pacchetti di misure con miglioramenti paretiani sono sempre stati possibili, difficile era scegliere quale adottare. Ma questa è storia, ora i negoziati procedono velocemente tanto che si prevede di raggiungere un compromesso politico di massima entro la primavera e di arrivare al pacchetto completo prima dell’estate.

COME SI È SUPERATO LO STALLO

La paralisi degli ultimi due anni è dovuta a molti fattori. Uno dei più importanti era la scarsa volontà di affrontare il problema da parte dell’amministrazione Obama: il presidente americano aveva bisogno del voto di tutti i democratici per far passare i provvedimenti più importanti della sua agenda al Congresso e la liberalizzazione del commercio è profondamente avversata da alcuni democratici. (…) Una volta persa la maggioranza al Congresso, l’amministrazione è passata al piano B, nel quale rientra anche il Doha Round. Barack Obama è in generale un sostenitore della governance multilaterale, è apertamente favorevole al libero commercio ed è convinto che il Doha Round possa creare posti di lavoro negli Stati Uniti. E poi c’è l’opportunità di entrare nella storia, come è successo a Bill Clinton con i negoziati Gatt del 1994. (…) Così i diplomatici americani, da novembre, hanno ripreso colloqui e attività, fungendo da necessario catalizzatore per arrivare a chiudere il negoziato.

CAPI DI STATO IN CAMPO

L’accordo è dunque probabile, ma non c’è ancora niente di certo. Per definire la questione, Germania, Regno Unito, Indonesia e Turchia hanno creato un "gruppo di alto livello di esperti in commercio" dopo il summit del G20 a Seul, con il mandato di identificare le azioni prioritarie in tema di commercio, Doha compreso. Il gruppo, formato da nove esperti nominati dai quattro governi promotori (il sottoscritto è stato nominato dal governo Cameron), ha presentato una relazione preliminare a Davos, dove i ministri del commercio si sono incontrati informalmente. I punti chiave sono tre:
– Il Doha Round si può concludere quest’anno; da novembre 2010 si registrano rapidi progressi sui punti ancora in discussione
– Per ottenere l’accordo è necessario coinvolgere i capi di Stato e di governo: dovranno autorizzare o negoziare personalmente gli ultimi compromessi nella bozza di accordo che i loro ambasciatori presso il Wto sperano di riuscire a completare entro aprile
– La finestra per l’accordo è la prima metà del 2011, dopodiché se ne potrà riparlare al più presto nel 2013.

ORA O (FORSE) MAI PIÙ

La finestra di opportunità di oggi è data, secondo me, dalla convergenza di una serie di circostanze non correlate fra loro. Semplificando molto per amor di chiarezza, l’accordo di Doha prevede di ridurre protezioni e sussidi all’agricoltura in cambio di tariffe ridotte sui beni industriali. I prezzi agricoli sono alti, così la liberalizzazione non dovrebbe danneggiare troppo gli agricoltori, mentre la produzione manifatturiera è in rapida crescita nei mercati emergenti, cosicché i tagli alle tariffe non dovrebbero essere politicamente dolorosi.
I nuovi giganti del commercio – India, Brasile e Cina – sono pronti ad assicurare il ruolo centrale del Wto nel sistema di commercio mondiale. Tra l’altro, temono che il ricorso da parte di Stati Uniti, Unione Europea e Giappone a stretti accordi commerciali regionali possa portare a un sistema parallelo di governance del commercio che li escluda.
L’Unione Europea, che ha già concluso unilateralmente la liberalizzazione dell’agricoltura, è pronta a cogliere i benefici di più bassi limiti alle tariffe sui beni industriali nei paesi emergenti.
Negli Stati Uniti sia i repubblicani sia i democratici preferirebbero aver risolto il problema prima della campagna elettorale presidenziale del 2012.
L’ultimo punto spiega perché si tratta di una finestra di tempo limitata: se l’accordo finale di Doha non è all’esame del Congresso entro la metà 2011, verrà risucchiato nel ciclo elettorale. Considerato il clima mefitico che si respira negli Stati Uniti attorno al tema del commercio – reso ancora peggiore dalla disoccupazione alta e dal populismo del Tea Party – l’amministrazione Obama sarà molto probabilmente costretta a sospendere ogni ulteriore discussione almeno fino al 2013. E questo è un pericolo reale.
Se un accordo sul Doha Round dovesse essere rimandato al 2013, ci sono buone probabilità che non si faccia mai. Il mondo è cambiato così radicalmente dal 2001 che la tentazione di stracciarlo e iniziare tutto d’accapo si dimostrerebbe irresistibile (e significherebbe l’impossibilità di arrivare a un accordo entro questo decennio). Il mandato negoziale di Doha si basa in larga misura sull’eredità dell’Uruguay Round del 1994. Cina, India e Brasile avrebbero ora un’influenza molto maggiore nello stabilire la nuova agenda rispetto a quella che avevano nel 2001, quando Doha è stato avviato.

BENEFICI DELL’ACCORDO

Siglare l’accordo porterebbe grandi vantaggi sia economici che politici, ma soprattutto permetterebbe al Wto di passare ad altro, concentrandosi finalmente su un’altra tornata di problematiche commerciali, quelle cosiddette di "nuova generazione". Pensiamo ad esempio all’istituzione di nuove regole per disciplinare la circolazione mondiale di beni, servizi, tecnologie e personale specializzato, elementi caratterizzanti la parte più dinamica del commercio internazionale.
Questi problemi oggi sono affrontati da accordi bilaterali Nord-Sud. Il "regionalismo del ventunesimo secolo" colma un vuoto regolativo formatosi tra regole commerciali Wto del ventesimo secolo e commercio del ventunesimo secolo. (1) Se i leader mondiali non dessero in questo ambito un ruolo centrale al Wto, si perderebbe un’opportunità importante e le regole alla base del commercio di questo secolo verrebbero decise da una ragnatela di accordi simili al Nafta, sottoscritto dagli Stati Uniti, o all’Association Agreements firmato dall’Unione Europea o ancora all’Economic Partnership Agreements firmato dal Giappone. Se dovesse verificarsi si rischierebbe di scivolare indietro verso un sistema ottocentesco dominato dalle grandi potenze (tra le quali sarebbero incluse anche Cina, India e Brasile), che potrebbe rovinare la cooperazione internazionale in molti campi, dalla lotta per i diritti umani alla sfida posta dalla proliferazione nucleare, passando per il riscaldamento globale. La figura 1 illustra graficamente il concetto.

Figura 1: Costi del fallimento di Doha

La figura è tratta dalla relazione al Wto di Antoine Bouet e David LaBorde "The Potential Cost of the Doha Round Failure", Ginevra 2 novembre 2010.

 

L’ULTIMA MANCHE

Gli accordi commerciali si possono immaginare come il celeberrimo gatto di Shrodinger: è la mancanza di certezza che permette di ritenere che sia vivo. Nel momento in cui si fosse quasi totalmente certi della firma del Doha Round, tutte le nazioni del mondo avanzerebbero "un’ultima richiesta", uccidendo così l’accordo. Ecco perché la mia affermazione iniziale va precisata: il Doha Round potrà concludersi quest’anno soltanto se i capi di Stato e di governo, provando la propria leadership, accetteranno di fare quei compromessi necessari per approdare alla nuova governance commerciale multilaterale del ventunesimo secolo. Per farlo non si richiedono sforzi politici erculei, ma servirà avere quella sorta di atteggiamento illuminato che è già stato necessario ogni volta che si sia dovuto concludere un accordo commerciale multilaterale sin dal 1940.

(1)Baldwin, Richard "21st century regionalism: Filling the gap between 21st century trade and 20th century trade governance", Wto workshop, 3 November 2010.

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LA CONSOB E I FURBETTI DEL MERCATINO

  1. alessandro la grassa

    Cari signori, l’agricoltura è più o meno dappertutto in profonda crisi. Di quali liberalizzazioni stiamo parlando?

  2. Riccardo Passeggeri

    Prima di tutto vorrei spezzare una lancia in favore dell’ autore: la liberalizzazione dell’ agricoltura deve essere inquadrata in un ambito più vasto, solo così si può capire il messaggio dell’ autore. Infatti la liberalizzazione dell’ agricoltura è uno degli obiettivi primari del Wto che prima o poi deve essere raggiunto. L’ aumento considerevole in tutti i mercati delle commodities, tra cui rientrano i prodotti agricoli, ha creato l’occasione giusta per una liberalizzazione dell’ agricoltura o per un abbassamento delle barriere all’ agricoltura. Questa occasione deriva dal fatto che un attuale diminuzione delle barriere avrebbe un impatto meno devastante sui prodotti agricoli interni, dovuto al relativo prezzo elevato dei prodotti esteri. Ciò che mi lascia perplesso è come l’ autore descriva la posizione dell’ Unione Europea. L’ Ue non ha fatto grandi passi verso la liberalizzazione dell’ agricoltura; le sue politiche mirano ancora a creare distorsioni sul mercato (si veda la politica di export refunds); circa il 50% dei fondi europei è rivolto all’ agricoltura; l’Ue è l’ unico membro del Wto a sostenere le blue box.

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