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I VERI PERCHÉ DELLA RIVOLUZIONE EGIZIANA

Le cause della rivoluzione egiziana di questi giorni non sono da individuare nel deterioramento della situazione economica del paese. A partire dal 2000, sono state avviate varie riforme che hanno permesso negli ultimi cinque anni una crescita media del 5 per cento l’anno e una diminuzione della disoccupazione. Le manifestazioni nascono probabilmente dalle condizioni sociali e politiche dell’Egitto. Dove a non trovare lavoro sono soprattutto i giovani più scolarizzati. Gli stessi che peraltro appaiono profondamente tradizionalisti. La tranquillità dei mercati finanziari.

 

Negli ultimi cinque anni l’economia egiziana è cresciuta mediamente a tassi superiori al 5 per cento, attraversando, senza particolari contraccolpi, la crisi del 2008/9. Fino a poche settimane fa, inoltre, tutti i principali enti internazionali prevedevano per l’anno in corso una crescita del Pil di poco superiore al 6 per cento. Questo ha permesso la creazione di circa quattro milioni di nuovi posti di lavoro nell’ultimo quinquennio e la caduta del tasso didisoccupazionedall’11,2 per cento all’8,9 per cento. Nello stesso periodo sono affluiti investimenti diretti dall’estero per circa 8 miliardi di dollari all’anno, pari a oltre il 4 per cento del Pil, non solo nel settore petrolifero e del turismo, ma anche in quello finanziario e manifatturiero.

LE RIFORME NELL’ECONOMIA

Tutto questo è stato possibile grazie a una serie di riforme intraprese a partire dal 2000. Prima la liberalizzazione del mercato del lavoro, che ha reso più facile le assunzione e i licenziamenti; poi quella degli investimenti esteri in tutti i settori (a eccezione di quello energetico e della difesa) e in particolare nel manifatturiero, nelle telecomunicazioni e in quello dei servizi finanziari. Più in generale, un miglioramento del business environment, con la creazione di uno sportello unico per l’apertura di un’impresa, una nuova legge anti-monopolio e una autorità indipendente in materia, ha favorito in pochi anni la nascita di un numero di nuove aziende superiore a quello osservato dall’inizio degli anni Settanta. A differenza di altri Stati della regione, gli investimenti non si sono concentrati nel settore immobiliare.
Anche nel settore finanziario il governo ha privatizzato numerosi istituti bancari, favorito il processo di concentrazione, stimolato la trasparenza dei bilanci e rafforzato i meccanismi di vigilanza. Il numero di banche si è cosi ridotto da 57 nel 2004 alle attuali 37, mentre nel settore assicurativo, tipicamente sotto sviluppato nei paesi mussulmani, il numero di imprese è cresciuto di quasi un terzo. Nel frattempo è quasi decuplicato il volume degli scambi sulla borsa del Cairo (da 3 a 26 miliardi di sterline egiziane). Questo ha favorito il finanziamento non solo delle grandi imprese, ma anche delle piccole e medie.
Tuttavia l’economia egiziana, dato il forte tasso di natalità tipico dell’area (il 29 per cento della popolazione ha un età compresa tra i 15 e i 29 anni), presenta un elevatissimo tasso didisoccupazione giovanile, un livello di corruzione molto alto, forti disuguaglianze nella distribuzione del reddito e un elefantiaco settore pubblico, ancora molto inefficiente. Diversi di questi indicatori, oltre a essere in linea con molti paesi con ugual livello di sviluppo, negli ultimi anni hanno mostrato qualche segno di miglioramento.
Rimane infine da valutare il ruolo giocato dall’inflazionee in particolare dai prezzi dei generi alimentari, che obiettivamente negli ultimi tempi sono saliti molto sui mercati internazionali. Se guardiamo ai prezzi al consumo egiziani, l’ultima rilevazione dello scorso dicembre ci mostra una crescita tendenziale pari al 10,4 per cento. Cifra certamente alta, ma non dirompente per gli standard dei paesi in via di sviluppo; nel 2008 i prezzi al consumo egiziani salirono di oltre il 20 per cento 

GIOVANI, MA TRADIZIONALISTI

Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto da una certa pubblicistica, non possiamo certo individuare nel deterioramento della situazione economica del paese la causa prossima della “rivoluzione egiziana” di questi giorni. Questa va invece probabilmente cercata nelle condizioni sociali e politiche del paese. Infatti, anche se il dato aggregato ci indica che il tasso di disoccupazione è diminuito negli ultimi anni, i dati disaggregati ci mostrano che la percentuale più alta di disoccupati è tra i giovani con maggiore scolarizzazione (figura 1). L’incremento del livello di scolarizzazione, fortemente voluto dal governo egiziano negli ultimi anni, non è stato seguito da un aumento della domanda di lavoro qualificato.
Le risposte a una indagine finalizzata a monitorare i principali mutamenti culturali e sociali a livello mondiale (World Value Survey) mostrano inoltre come un’altissima percentuale della popolazione egiziana, e in particolare quella giovanile, reputa lo Statoil maggiore responsabile del soddisfacimento dei propri bisogni (figura 2). (1) Questa attitudine è meno evidente in altri paesi dell’area e soprattutto nei paesi industrializzati dove i giovani si sentono maggiormente artefici del proprio destino.
Sotto questa angolatura, se effettivamente le manifestazioni che ogni giorno si susseguono non hanno una connotazione ideologica, religiosa e fondamentalista, come ci viene raccontato, ciò rappresenta un vero salto di qualità in una società araba. Infatti, stanno a significare che una importante fetta della società egiziana sta rincorrendo i valori dellalibertàe della democrazia. Tuttavia, i dati del Wvs mostrano anche che in Egitto circa l’82 per cento degli intervistati dichiarano la loro volontà di voler preservare le tradizioni e mantenere la religionecome uno dei pilastri fondamentali della loro vita; anche i giovani dotati di un alto livello culturale, appaiono profondamente tradizionalisti.
I mercati sembrano invece abbastanza ottimisti circa il futuro della “rivoluzione”: i titoli di Stato a dieci anni in dollari della Repubblica araba d’Egitto pagano tassi vicini al 6,5 per cento, meno di quelli richiesti ai paesi dell’Europa periferica. Speriamo che questa volta abbiano ragione giacché, anche in questo caso, né il mercato né gli analisti hanno saputo prevedere la crisi. Come mostra la figura 3, lo spread dei Cds (Credit Default Swap) a cinque anni sull’Egitto risultava inferiore ai 250 punti base ancora pochi giorni prima dello scoppio della “rivoluzione”.

(1) Vedi World Value Survey.

 

Figura 1. Tassi di disoccupazione giovanile per livello di scolarizzazione e per sesso

Figura 2. Responsabilità dello Stato nel provvedere ai bisogni degli individui

Source: 2010 Egypt Human Development Report-UNDP

Figura 3. Spread dei Cds sull’Egitto

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LA CONSOB E I FURBETTI DEL MERCATINO

  1. Andrea

    Cito dal testo: "Tuttavia l’economia presenta un elevatissimo tasso disoccupazione giovanile, un livello di corruzione molto alto, forti disuguaglianze nella distribuzione del reddito e un elefantiaco settore pubblico". Non saremo anche noi a rischio rivoluzione?

  2. Firenzeprecaria

    E quindi gli egiziani si sarebbero rivoltati perchè troppo felici? E’ questa è l’arguta diagnosi della "scienza economica"? Se questi sono i dottori, c’è da augurarsi di non cadere mai ammalati. P.S. La "certa pubblicistica" che lega la rivoluzione egiziana alla dinamica dei prezzi (un legame che ha moltissime conferme, anche in egitto in cui a metà 2008 scoppiarono violente rivolte a causa degli aumenti dei prezzi) non è altri che il Financial Times. Avvisiamoli che hanno preso una gigantesca cantonata.

  3. Giuseppe

    "Le risposte a una indagine finalizzata a monitorare i principali mutamenti culturali e sociali a livello mondiale mostrano inoltre come un’altissima percentuale della popolazione egiziana, e in particolare quella giovanile, reputa lo Stato il maggiore responsabile del soddisfacimento dei propri bisogni. Infatti, stanno a significare che una importante fetta della società egiziana sta rincorrendo i valori della libertà e della democrazia". Credo che nell’accostamento di questi concetti ci sia una grave contraddizione. Libertà e democrazia si affermano dove i giovani sentono di essere artefici del proprio destino, e non vogliono sopportare il peso di un livello di corruzione molto alto e di un elefantiaco settore pubblico molto inefficiente. Laddove ci si aspetta che lo Stato provveda a soddisfare i bisogni, la libertà è lontana.

  4. AM

    Sicuramente l’elevata disoccupazione giovanile anche fra diplomati e laureati nei paesi a sud del Mediterraneo fa pensare ad alcune regioni dell’Italia. Non dobbiamo dimenticare che vi sono anche notevoli differenze. Questi paesi non hanno mai conosciuto la democrazia, l’esercito assume un ruolo importante in politica e in economia, è presente il fanatismo religioso, è diffusa la xenofobia ed in particolare si percepisce l’odio verso il mondo occidentale al quale si imputa il colonialismo, una cultura laica, la sottovalutazione del mondo islamico nelle relazioni internazionali. Non manca anche l’invidia. In Italia l’esercito ha un ruolo marginale, conta invece molto la magistratura. I nostri giovani guardano non con odio, ma con interesse gli altri paesi occidentali. La religione è importante, nella società ma promuove la solidarietà e non spinge alla violenza, la xenofobia è limitata e riguarda rom e immigrati, ma non certamente americani, tedeschi, inglesi, francesi, olandesi, svedesi, ecc.

  5. Bertoldo

    Se un paese è in grado di offrire 100 nuovi posti di lavoro all’anno, i richiedenti sono 200 e ogni famiglia ha 6 figli, si possono raddoppiare i posti di lavoro (difficile) o diminuire il numero di nuovi figli. E’ la soluzione della Cina, la cui economia non sembra in rovina. Ovviamente è una semplificazione, ma il controllo demografico, sia in frenata che in accelerazione, risulta fondamentale per l’ordinato sviluppo di ogni economia.

  6. DDPP

    L’articolo è una buona fonte di informazione economica, ma dimentica di rapportare l’ottimo andamento dell’economia con l’infernale incremento demografico in tutta la fascia nord-africana. Nonostante l’incremento dei posti di lavoro, il numero dei giovani senza speranza di un futuro aumenta ogni anno. Non ho speranze che ci possa essere un cambio di tendenza, spero tenuamenete che la consapevolezza del disastro demografico nord-africano aiuti la UE a mettere barriere all’immigrazione. Diversamente nei prossimi anni saremo spettatori coinvolti in altri disastri (e non solo egiziani).

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