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LO PSICODRAMMA DELLE IMPOSTE COMUNALI

Il decreto sul federalismo municipale ha rischiato di mettere fine alla legislatura ed è ora al centro di una forte tensione istituzionale. Ma rappresenta davvero il passaggio cruciale per la costruzione del federalismo nel nostro paese? Il provvedimento è tutto sommato assai modesto. Manca comunque una regolamentazione adeguata del sistema perequativo dei comuni. Mentre l’ossessione per il vincolo di invarianza della pressione fiscale rischia di snaturare il federalismo, il cui principale obiettivo è rendere i sindaci responsabili davanti ai propri cittadini.

MOLTO RUMORE PER UN PROVVEDIMENTO MODESTO

La Lega aveva annunciato che nel caso in cui il decreto sul federalismo municipale fosse stato bocciato dalla Commissione bicamerale, le elezioni sarebbero state inevitabili. Il parere della maggioranza sul decreto – che durante i lavori della bicamerale era stato emendato in alcune parti per raccogliere il consenso dell’Anci – è stato respinto. In assenza di un parere da parte della bicamerale(1), si è fatto ricorso a una procedura di dubbia legittimità: il Consiglio dei ministri ha approvato “in via definitiva” il decreto legislativo, non nella versione originaria – come certamente gli sarebbe consentito – ma in quella formulata nel parere respinto. La responsabilità di dirimere la questione è ora nelle mani del Quirinale che deve emanare il decreto.
Ma veramente la legislatura ha rischiato di cadere, ed è giustificata la tensione istituzionale in atto, per una riformina come quella delle imposte comunali? È a questo psicodramma che ci condanna la bandiera troppo sventolata della “madre di tutte le riforme”.
Una riforma, quella del federalismo fiscale, che più si va avanti nella sua formulazione (di effettiva applicazione si parlerà tra qualche anno) più si rivela per quello che altro non poteva essere: un riassetto, un riaggiustamento di un sistema di decentramento fiscale che già esiste e che è il risultato di almeno un ventennio di progressivi interventi.
Il decreto sul fisco comunale esemplifica alla perfezione il terreno malato su cui sta crescendo la riforma del federalismo fiscale. Il provvedimento è, tutto sommato, assai modesto: si cambia nome all’Ici (ribattezzandola Imu), si “patrimonializza” nell’Imu l’Irpef (e le relative addizionali) sui redditi degli immobili non locati, si crea una compartecipazione sulla tassazione erariale dei trasferimenti immobiliari, si introduce – ma che c’entra con il federalismo fiscale? – un’imposta sostitutiva dell’Irpef sugli affitti per “rilanciare” il mercato delle locazioni. Le misure introdotte mancano poi spesso di coerenza con una visione di insieme del sistema tributario nazionale. Di fatto la riforma si esaurisce in uno spostamento del carico fiscale dai proprietari di case (le seconde a disposizione e quelle date in locazione) alle imprese e ai lavoratori autonomi. L’unica cosa veramente importante, ovvero riportare a tassazione i proprietari di prima casa per ricreare un rapporto di responsabilità tra amministratori locali e cittadini, non si è avuto il coraggio di farla.
La riforma, oltre ad essere modesta, è monca. Manca il pezzo più importante: una regolamentazione adeguata del sistema perequativo dei comuni. La componente tributaria del sistema di finanziamento dei comuni dice poco se non è coordinata con quella dei trasferimenti perequativi. In assenza di coordinamento restano del tutto indeterminati gli effetti redistributivi (tra territori, e quindi anche tra Nord e Sud, e tra tipologie di comuni) delle nuove fonti di finanziamento municipale.

IL SÌ DEI COMUNI

La riforma, nella sua versione finale, è stata valutata positivamente dall’Anci (così come quella sul fisco regionale è stata approvata dalla Conferenza delle Regioni). Non è una garanzia di qualità. Comuni e Regioni sono stati chiamati a pronunciarsi sotto il ricatto dei pesanti tagli delle risorse che hanno subito, da ultimo, nella manovra d’estate. Il criterio che li ha guidati è stato quello di portare subito a casa qualche soldo per chiudere i bilanci. E con il fiato corto, si sa, le questioni più strutturali di disegno della riforma passano in secondo piano.
L’unico vero punto di interesse che la riforma del fisco comunale ha suscitato nel dibattito corrente è l’angoscioso interrogativo: ma alla fine le imposte aumenteranno? Una domanda che ha però ben poco a che vedere con la realizzazione del federalismo. Al contrario, l’ossessione per il vincolo di invarianza della pressione fiscale rischia di snaturare il federalismo, che ha come suo principale obiettivo quello di rendere responsabili i sindaci davanti ai propri cittadini, ponendo questi ultimi nella posizione di giudicare se vi è corrispondenza fra le imposte che pagano e la qualità e quantità dei servizi che ricevono.

(1) Se la bicamerale avesse espresso un parere, varrebbe la norma della legge delega sul federalismo (l. 42/2009) che prevede che “Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, ritrasmette i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni e rende comunicazioni davanti a ciascuna Camera. Decorsi trenta giorni dalla data della nuova trasmissione, i decreti possono comunque essere adottati in via definitiva dal Governo.”; la posizione fatta propria dal governo è invece che la bocciatura della proposta di parere positivo al decreto vada equiparata ad una non formulazione del parere.

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13 commenti

  1. antonio petrina

    Non so se gli emendamenti concordati in bicameralina con Anci fossero di qualità , ma almeno la compartecipazione irpef o iva, che dir si voglia, avrebbe consentito di portare i comuni ad approvare i loro bilanci , così garantendo risorse indispensabili per il periodo provvisorio ,come prevede la legge n 42 del 2009 :ora i rilievi del capo dello stato rimettono in dubbio la decretazione d’urgenza del governo ma non l’indilazionabile necessità di provvedere con estrema urgenza all’attuazione dell’art.119 della Costituzione.

  2. luciano scalzo

    Uno dei temi affrontati dal federalismo fiscale è la dimensione ottima dell’ente locale. In altre parole, ragioni di efficienza e di effiacia imporrebbero che per alcuni servizi la dimensione dell’ente locale non coincidesse con quella politica ( il confine del singolo comune). Mi chiedo se la bozza di federalismo prevede in qualche misura l’obbligo o l’incentivo per alcuni soggetti di consorziarsi , per esempio, per la gestione di alcuni servizi Non riesco,inoltre, a comprendere come la tassa sul turismo, che è pagata dai non residenti, possa contribuire a rendire più efficiente il processo di spesa locale.

  3. stefano monni

    Non so esattamente cosa abbiano da festeggiare i deputati della Lega dall’approvazione in Consiglio dei Ministri del federalismo municipale ovvero, come sarebbe meglio definirlo, della compartecipazione municipale. Mi sarei aspettato infatti dalla riforma tanto sbandierata e voluta, oltre che considerata come passaggio cruciale per la sopravvivenza del Governo, un maggiore coraggio ovvero la fine della cd. finanza derivata a favore di un maggiore potere impositivo delle autonomie locali. Dobbiamo forse credere ad una Lega che ha venduto i suoi ideali unicamente per conservare alcune poltrone? Mah, non so e non sta a me dirlo. Unico elemento nuovo in questa specie di federalismo è senza dubbio l’imposta di soggiorno in un Paese, però, che proprio del turismo non fa (putroppo) la sua politica principale. Non sono culturalmente contro il federalismo fiscale, sono però contro le sue false alternative come quella recentemente approvata.

  4. BRUNO

    Voi che siete degli esperti dovete parlare con i numeri e con gli esempi. Io desidero sapere col federalismo fiscale quanto si paga oggi come tasse e quanto si pagherebbe col nuovo sistema federalista. Inoltre parlano spesso di COSTI STD mi sapete dire come sono formati e come potrebbero essere applicati in ugual modo in tutte le regioni d’Italia? Un azienda che produce un prodotto A, uno B,uno C, ha un costo SRD diverso l’uno dall’altro, come faranno a conciliare gli stessi costi per tutte le province e regioni? Sarei grato per la risposta che mi darete.

  5. bob

    Dei "politici" ormai non ci meravigliamo più! Adesso ci meravigliamo di quelli come Lei, cara Guerra. Del mio Comune di 150 abitanti di che federalismo municipale parliamo? Me lo può spiegare? O credete che in questo Paese sono tutti analfabeti?

  6. Magotti P.

    Abbiamo a due passi da casa uno stato federale che funziona molto molto bene, la Germania. Scopiazzare il suo modello è così difficile?

  7. Michele

    Mi sembra evidente che, come si era già fatto con la riforma universitaria, anche per il federalismo si sia concretizzato un forte "spread" tra i proclami della propaganda e l’ effettiva lettera della legge. Un nodo centrale come la perequazione delle risorse è passato, in pratica, in secondo piano per dare vita a una " creatura" che, almeno fino ad adesso, non ha niente a che vedere con il tanto ostentato federealismo ( la panacea di tutti i mali, secondo alcuni). Mi verrebbe da dire che questa modalità di comportamento sia propria del berlusca style, che fa leva ( continuiamo pure a chiamarlo scemo!) sullo scarso interesse della maggior parte dei connazionali di andare oltre il velo di Maya degli slogan e sull’incapacità dell’ opposizione tutta di contestare nel merito le decisioni di questa maggioranza.

  8. Vittorio Silva

    Condivido in pieno il giudizio sul tema dell’ossessione della stabilità della pressione fiscale: la base del Federalismo (fiscale ed istituzionale) è la coincidenza tra aumentate Responsabilità ed Autonomia decisionale; il problema vero di questo c.d. federalismo fiscale è che non è stato (e non è "tout court") possibile inquadrare precisamente l’ambito di intervento di Enti locali e Stato centrale/federale, così che è impossibile realizzare un vero fisco federale. Una Riforma federale seria dovrebbe prevedere almeno due passaggi: 1) definizione positiva delle competenze degli Enti maggiori (Stato e Regioni), lasciando in via residuale le restanti a quelli minori (Province e Comuni), lasciando piena discrezionalità alle singole Regioni per "calibrare" le stesse; 2) definizione di tanti "livelli fiscali" quanti quelli istituzionali, lasciati alla discrezionalità dell’Ente rispettivo, in modo che ci sia una totale trasparenza tra tributi pagati e prestazioni che si vanno a finanziare (e.g. se ad esempio lo Stato centrale ha la competenza sulla Difesa, il cittadino saprà che le tasse pagate allo Stato serviranno a pagare la Difesa, e così via).

  9. bob

    La Germania come la Francia ha una amministrazione che funziona. Cosa c’entra il funzionamento della cosa pubblica con la soluzione della "bufala federalista all’italiana"? Io quando sento parlare di Germania sento la Merkel non sento il "Formigoni tedesco" che va in giro a sputare puttanate nel mondo, giocando a fare il " Governatore". Di cosa parliamo.

  10. dvd

    Noto con amarezza che il tema delicato della riforma scade sulla domanda: "ma dovremo pagare di più o cosa"? Povera Italia! Nessuno che mette al centro della questione che si potrebbe spendere di più o meno a seconda di cosa i cittadini di quel territorio vorranno fare o meno. E non come oggi che a prescindere da quello che un territorio farebbe è obbligato a seguire il "branco" che va dove tira il vento della convenienza "nazionale" che non sempre coincide con quella locale. E questo non lo trovo in antitesi con un’idea di Nazione e con l’Unità del paese, ma viceversa trovo giusto che all’interno del contesto unitario si affermino le differenze che ci sono ed esistono perchè se così non è allora bisogna dire che la Sicilia ha la stessa efficienza (es. nella manutenzione del patrimonio boschivo) dell’Alto Adige! Sarebbe bello, ma così non è, per cui qualcosa dovrà pure cambiare o no? E qui mi riallaccio a chi dice che basterebbe copiare la Germania, si d’accordo, ma si copiano solo le parole non possiamo importare anche i funzionari e gli umani preposti al "pubblico" e temo che la differenza fondamentale tra noi e loro stia proprio in questo!

  11. renato foresto

    Ma non avevamo votato dieci anni fa la modifica costituzionale che fra l’altro prescrive l’autonomia delle entrate e delle spese degli Enti locali? Mi piacerebbe allora sapere che cosa succederebbe al mio sindaco che democraticamente decidesse in ossequio a quella superlegge di tassarmi come meglio crede.

  12. Gianluca Napolitano

    Vogliamo rendere i sindaci responsabili davanti agli elettori, e se spendono male non li rieleggiamo, giusto? Una scommessa quinquennale. E se nel frattempo la tasse locali aumentano, gli sprechi rimangono e clientele corrono, grazie alla tassa di scopo e altre mirabilia? Non possiamo fare niente: i sindaci sono di fatto inamovibili. Certo, poi noi non li rieleggiamo! Vero. Intanto cinque anni se ne sono andati, e il sindaco successivo si troverà a fare i conti con i guai (veri o presunti) ereditati da quello precedente e la pressione fiscale se non aumenterà ulteriormente non diminuirà di certo. Quante mani quinquennali credete che rimangano da giocare al nostro paese sul tavolo verde dell’economia globale?

  13. antonello oliva

    Non ho capito una cosa: sono previsti aumenti, per regioni e comuni, delle addizionali Irpef allo scopo di compensare la riduzione di trasferimenti dal centro (e mi sembra che anche qualche altra imposta abbia un’impostazione simile). Se così fosse, ciò comporterebbe una diminuizione dello stesso importo dell’Irpef erariale? Per il resto sono dell’opinione che questo federalismo abbia una valenza solo di bandiera per la Lega, ma che non sia un vero federalismo (fiscale, almeno).

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