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LA LEGGENDA DEL NUMERO FISSO DI POSTI DI LAVORO

 

Il grafico qui sotto mostra sull’asse orizzontale la percentuale di giovani tra i 20-24 anni che lavorano e, sull’asse verticale, la stessa percentuale riferita alle persone tra i 55 e i 59 anni.
Molti credono che ci sia un numero fisso di posti di lavoro e che, dunque, forzando i lavoratori più anziani ad andare in pensione, si creino opportunità di lavoro per  giovani. Questa tesi ha fornito il sostegno a che si è opposto all’innalzamento dell’età di pensionamento in linea con l’allungamento della speranza di vita. Il grafico ci dice invece che nei paesi in cui il tasso di occupazione dei giovani (20-24 anni) è più basso, ci sono anche meno persone tra i 55 e i 59 anni che lavorano. Viceversa nei paesi in cui più lavoratori anziani lavorano ci sono anche più opportunità di impiego per i giovani. 

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21 commenti

  1. Gianni V.

    In realtà penso che questo grafico non dimostri proprio nulla per quanto riguarda la discussione sull’età della pensione. Evidenzia solamente che nei paesi dove c’è una scarsa occupazione questa riguarda un po tutte le fasce di età, non ci dice nulla su cosa succederebbe se abbassassimo la quota di occupazione della fascia tra i 55 ed i 59 anni. E’ come prendere i redditi della popolazione di un paese ricco e di uno povero. Ovviamente i redditi sono più alti per gli abitanti del paese piccolo, per qualsiasi fascia di età, rispetto a quelli del paese povero. Il grafico assomiglierebbe molto a quello pubblicato. Ciò non dimostra che se venissero alzate le tasse ai redditi alti ed abbassate ai redditi bassi questo non produrrebbe un innalzamento del reddito relativo di questi ultimi.

  2. marcella corsi

    Abbiamo appena consegnato un rapporto alla Commissione Europea su questi temi. Non appena cadrà l’embargo istituzionale potremo aggiungere ulteriori informazioni utili a decifrare il tema della "solidarietà tra generazioni". Chi avesse fretta di saperne di più può contattarmi direttamente.

  3. FAUST

    Non mi sembra che dal grafico si possa trarre la conclusione del breve articolo: il fatto che i paesi in cui il tasso di occupazione è più alto, la maggiore occupazione riguardi sia i giovani che gli anziani non significa che allora se gli anziani vanno in pensione non ne possano beneficiare i più giovani (anche se probabilmente non per sostituzione diretta).

  4. Paolo Palazzi

    Credo che se si provassero le relazioni usando altre classi di età i risultati non sarebbero diversi. Mi sembra infatti che si analizzino i tassi di attività per classi di età, che probabilmente sono legati alle caratteristiche strutturali dei paesi e che quindi non possono essere in grado di dimostrare le affermazioni dell’articolo.

  5. Maurizio Cassi

    Premesso che non ho un’obiezione specifica, da statistico inviterei alla prudenza. Quello che si vede in uno scatter plot è solo apparentemente di immediata evidenza: possono esserci effetti di struttura di vario genere, a far emergere fenomeni che non sempre ci sono davvero. Per esempio, potrebbe darsi che nei paesi a elevata occupazione la percentuale di occupati sia più alta in tutte le fasce di età, e non solo in quelle estreme; nel qual caso, la stessa relazione si dovrebbe vedere tra due fasce di età qualsiasi. Chiederei, perciò, un approfondimento e un ragionamento più strutturato. Questo mi pare francamente molto azzardato.

  6. Carlo

    Questo dimostra solo che in alcuni paesi ci sono più posti di lavoro che in altri in rapporto alla popolazione, ma non smentisce affatto la cosiddetta "leggenda" del numero fisso di posti per un determinato paese, perché non dice nulla su come evolva nel tempo la ripartizione al variare nello stesso paese dell’età pensionabile. Ciò che ci chiediamo è: se in un paese aumenta l’eta’ pensionabile, in quel paese aumenteranno anche i posti di lavoro per i giovani, oppure diminuiranno? Il grafico non dà una risposta a questa domanda.

  7. Antonio ORNELLO

    E vostra la tesi che siano in molti a credere che ci sia un numero fisso di posti di lavoro. Chi si è opposto all’innalzamento dell’età di pensionamento, in molte realtà, ha sperato (e purtroppo soltanto sperato) di destare la coscienza di tante buone persone responsabili, che pure esistono e lavorano (anche in condizioni di amara precarietà o di estrema flessibilità), affinché fosse più diffuso, specialmente tra i legislatori governanti, il rispetto delle norme costituzionali, secondo le quali a maggiore contribuzione previdenziale deve corrispondere un migliore trattamento pensionistico.

  8. Carlo Simeone

    Difatti, così come dimostra il grafico, si può anche innalzare l’età pensionabile e di conseguenza, innalzare anche gli anni di contribuzione per avere una pensione decente, purchè si riesca a conservare il posto di lavoro. Questo, purtroppo, è il vero punto di fragilità della realtà. A questo riguardo, qualche anno fa il Sen. Tiziano Treu aveva preparato uno studio che segnalava il fenomeno degli oltre cinquantenni che perdono il posto di lavoro. Siamo in assenza di qualsiasi strumento che possa intervenire nei confronti di una situazione del genere.In effetti, la riforma del sistema pensionistico non può non essere legata alla riforma del mercato del lavoro, e viceversa.

  9. Andrea Garnero

    Hanno ragione i lettori a chiedere prove più convincenti di una semplice correlazione, pero non basterebbe lo spazio del blog per argomentare a favore o contro la cosidetta "lump-of-labour fallacy". Gruber e Wise hanno raccolto in questo libro http://www.nber.org/books/grub08-1 lo stato dell'arte della ricerca al proposito che appunto conclude che non ci sono evidenze dell'esistenze di un numero fisso di posti lavoro per cui vecchi e giovani, oppure immigrati e nazionali sarebbero in competizione.
    A chi invece contesta che ci sia qualcuno che creda in questa leggenda, rimando alle argomentazioni durante i dibattiti italiani e non solo sui prepensionamenti. Sempre ci si giustifica dicendo che si vogliono liberare posti di lavoro per i più giovani.

  10. giovanni meane

    Sarebbe interessante comprendere se esiste anche una qualche correlazione fra tasso di impiego della forza lavoro nelle "fasce estreme" e produttività del capitale impiegato. Se così fosse, si aprirebbero considerazioni davvero importanti.

  11. paolo federici

    sono sempre scettico di fronte alle dimostrazioni statistiche. Per me la statistica rimane quella del pollo a testa (se io mangio due polli e tu niente, abbiamo mangiato un pollo a testa!?) Se io (che ho 59 anni) domani decido di licenziarmi ed andare in pensione (ammettendo di poterlo fare) qualcuno dovrà pur prendere il mio posto, o no? Ma se io, invece, resto al mio posto fino a 65 anni … nessun altro farà il mio lavoro. Quindi che per ogni persona che va in pensione si liberi un posto di lavoro mi pare ovvio. Sta di fatto che per dare lavoro "immediato" ai giovani bisogna creare nuovi posti di lavoro e non "aspettare" che i vecchi ne lascino di liberi (e su questo, credo, saremo d’accordo!) Insomma, se c’è crisi si riducono i posti di lavoro in genere(quindi per chi ha 59 anni come per chi ne ha 27, ma anche per chi ne ha 35 oppure 44 …!) Se invece c’è la ripresa, ci sarà un incremento per tutti (quindi per chi ha 59 anni come per chi ne ha 27, ma anche per chi ne ha 35 oppure 44 …!) Ma se c’è stabilità anche il numero dei posti di lavoro è e rimane fisso e l’unica soluzione per dare lavoro ai giovani è il ricambio. Paolo

  12. savino

    Il grafico non rispecchia la realtà. Anche la statistica sui 2 milioni di giovani che non studiano e non lavorano deve essere integrata. Infatti, molti giovani non studiano più semplicemente perchè hanno già studiato e non lavorano ancora perchè si impedisce loro l’accesso a quel particolare mercato, soprattutto se ci sono di mezzo il merito, l’età, il titolo di studio e la provenienza sociale. I fattori che influiscono sono:
    1) le barriere all’entrata nelle professioni e nell’attività di intrapresa
    2) il carrierismo sfrenato da parte dei più anziani, che dovrebbero solo farsi da parte
    3) l’eccesso spudorato di raccomandazioni, che impedisce ogni forma di meritocrazia (nel pubblico e, a sorpresa, anche nel privato);
    4) La inesistenza di mobilità sociale; ci sono tanti figli di persone normali che si laureano con il massimo dei voti dopo aver frquentato corsi di laurea professionalizzanti (economia aziendale, materie ingegneristiche ecc., quindi non scienze della comunicazione, per intenderci) i quali inviano curricula cui non viene data alcuna risposta, mentre ai soliti figli di papà non servono nè curricula nè titoli di studio. Non saranno questi ultimi a tirarci fuori dalla crisi

  13. Claudio Resentini

    L’articolo mostra soltanto il tentativo di delegittimare un’argomentazione (più pensionamenti = più posti di lavoro per i giovani) sicuramente grossolana ma che pur presenta a ben vedere qualche elemento di legittimità trasformandola in un insostenibile assunto sulla costanza della domanda di lavoro (il numero fisso dei "posti" di lavoro) e corredandola con una correlazione statistica che non fornisce alcun elemento valido nello stabilire un nesso causale tra le variabili implicate.

  14. Andrea

    Un modo per interpretare i dati potrebbe essere che nei paesi dove c’è disoccupazione questa bastona un pò tutti senza distinzioni e viceversa. Ma utilizzare dati macroeconomici che prendono in considerazioni realtà molto diverse tra loro non credo sia utile per situazioni particolari come quella italiana caratterizzata dal forte dualismo del mercato del lavoro

  15. Claudio Resentini

    La cortese e autorevole risposta del prof. Boeri lascia intatte le perplessità: appurata la natura essenzialmente evocativa e suggestiva del grafico pubblicato e archiviatolo come tale, restiamo in attesa di un articolo che ci spieghi in che misura un incremento dei pensionamenti possa determinare un aumento della pressione fiscale generale tale da modificare "l’ambiente esterno" di un’azienda fino ad impedirle di provvedere alle proprie necessità "interne", cioè nella fattispecie a quella di sostituire il personale andato in pensione. Fino ad allora un tale ipotetico nesso causale resta indimostrato e facilmente attribuibile a pregiudizi ideologici: forse sarebbe più proficuo focalizzare l’interesse di ricerca verso l’individuazione di variabili indipendenti più promettenti, magari che abbiano a che fare con le scelte di investimento del capitale da parte della proprietà, spesso assai poco in sintonia con la vocazione produttiva e con le finalità sociali dell’azienda.

  16. matteo

    è lapalissiano che se un’impresa impiega 100 dipendenti e 10 di questi vanno in pensione, questi dovranno essere sostituiti da nuove assunzioni. Poi naturalmente l’impresa può decidere di sostituirli solo in parte (magari ne assume 5 al posto di 10), ma se si tratta di un’impresa vitale non può non rimpiazzarne nessuno. Anche perché da quello che vedo e sento già oggi la maggior parte delle imprese operano con organici al limite e quindi non ci sono grandi margini di riduzione. Altro discorso è che per occupare i più giovani dovrebbero aumentare i posti di lavoro tout court ma ciò può avvenire solo in presenza di una crescita dell’intero sistema (e quindi nascita di nuove imprese).

  17. Walter P

    Sarebbe opportuno concentrarsi anche sugli effetti che l’automazione e le tecnologie labour saving hanno sull’occupazione nel complesso, e se esse influenzano questa statistica. Mi spiego meglio: come ha fatto notare qualcuno nei commenti precedenti, se un lavoratore va in pensione un’altro (più giovane) deve necessariamente sostituirlo, a meno che l’azienda non voglia ridurre l’organico, cosa che accade in fasi recessive. Ma a parità di produzione prevista annua (misurabile in modo grossolano, ad esempio, dalla variazione del Pil) c’è un motivo per cui un azienda potrebbe evitare di sostituire il lavoratore pensionato? A mio avviso sì, se l’azienda, per fare un esempio, aveva prima del momento del pensionamento un organico sovradimensionato (grazie proprio a delle tecnologie labour saving, riorganizzazioni ecc) ma piuttosto che licenziare il lavoratore lo teneva per convenienza, e ora piuttosto che assumerne un’altro preferisce comunque aspettare (ripeto, questo a parità di tutti gli altri fattori, cioè produzione prevista, ecc ecc). Insomma, il pensionamento potrebbe risolvere una pregressa rigidità del mercato del lavoro e invalidare la relazione n°pensionati=n°nuovi assunti..

  18. Anonimo

    S bastasse una correlazione a dimostrare un rapporto causa effetto, le cicogne porterebbero i bambini. Sarebbe intelletualmente più onesto se ci facesse la cortesia di pubblicare, per gli stessi paesi del campione usato in questo grafico, altri due grafici (i) tasso di occupazione giovanile vs. salario nettp d’ingresso e (ii) tasso di occupazione in età adulta vs.salario netto medio degli occupati in età adulta. Se lo facesse scopriremmo che esiste una correlazione positiva anche fra retribuzioni nette e i tassi di occupazione. Ovvero nei paesi dove i salari sono più alti anche i tassi di occupazione lo sono. E quindi? Dovremmo da questo dedurre che per aumentare l’occupazione bisogna aumentare i salari? Per carità… in qualità di dipendente a reddito fisso se Boeri si vorrà impegnare in una crociata per l’aumento generalizzato dei salari avrà il mio sostegno incondizionato. Il fatto è che in questo paese è l’economia reale a non tirare e non sarà anticipare o ritardare di qualche anno i pensionamenti che risolverà i problemi strutturali del paese.

  19. isabella ciocca

    E’ vero che stando al grafico cade la correlazione fra età pensionabile e occupazione giovanile, ma infatti, a parere mio, manca l’analisi di un grande fenomeno: guardare a tutti qui lavori che gli italiani non vogliono più fare, per i quali la domanda c’è, posti di lavoro che vengono occupati da tutti i flussi dati dall’immigrazione. E per fortuna che ci sono perché altrimenti avremmo dei buchi nel sistema produttivo enormi ma probabilmente questo ci costringerebbe ad invertire la rotta e probabilmente inizierebbe a diminuire il divario.

  20. Ajna

    Spererei che anziché un file audio, il professor Boeri o chi per lui ci produca tra qualche m.ese anche un articolo più esaustivo.

  21. francesco

    A mio parere questo è un’altro brutto segnale per l’italia, per la sua occupazione e per noi giovani (e non è neanche una novità). Se guardate bene si vede che paesi come inghilterra, germania, usa, ecc.. sono molto più al di sopra nel grafico rispetto all’italia. Il grafico va preso con le pinze, è ovvio, ma è un chiaro segnale di come stiamo. è un segnale che rappresenta la nostra struttura occupazionale. per questo motivo non può essere utilizzato per capire le dinamiche dell’occupazione. Il grafico è una foto, un fondo!. inoltre si potrebbero standarrdizzare i dati per eliminare l’effetto del volume occupazionale e concentrarsi solo sui rapporti tra le due variabili.

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