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Perché i nostri conti pubblici sono opachi

L’Open Budget Index classifica i paesi sulla base della quantità e qualità delle informazioni rese pubbliche su vari aspetti dei conti pubblici e del bilancio dello Stato. L’Italia vi compare per la prima volta e ottiene un punteggio non esaltante. Sono soprattutto i ritardi nella pubblicazione dei documenti a limitare la capacità della società civile, dei mezzi di comunicazione e talvolta del Parlamento stesso di influenzare e controllare l’operato del governo nella gestione delle finanze pubbliche. I miglioramenti già previsti.

 

Negli ultimi dieci anni è cresciuta a livello internazionale l’enfasi sulla necessità di una maggiore trasparenza nell’’azione di governo. In particolare, le crisi finanziarie del 1997 prima, e del 2008 poi, hanno evidenziato come la trasparenza dei conti pubblici sia un fattore importante affinché un paese possa evitare alcune delle conseguenze più nefaste degli squilibri finanziari globali e gestire in modo più efficace i vari aspetti della sua politica economica. L’’impatto della trasparenza fiscale nel migliorare l’’accesso ai mercati finanziari internazionali e nel diminuire i livelli di corruzione, ad esempio, è già stato documentato. (1)
Più in generale, la trasparenza dei conti pubblici è anche un aspetto fondamentale del contratto sociale tra Stato e cittadini, che permette agli elettori, e alle varie organizzazioni che rappresentano i loro interessi, di avere un’’idea chiara di come il governo stia gestendo le risorse pubbliche, raccolte attraverso la tassazione.

L’INDICE CHE MISURA LA TRASPARENZA

Sia il Fondo monetario internazionale che l’’Ocse hanno pubblicato manuali e linee-guida su come promuovere una maggiore trasparenza dei conti pubblici, ma fino ad alcuni anni fa non era disponibile nessun indice che permettesse di confrontare i vari paesi. (2) Dal 2006, l’’International Budget Partnership pubblica ogni due anni l’’Open Budget Index, un indice che classifica i paesi in base alla quantità e alla qualità delle informazioni rese disponibili al pubblico su vari aspetti dei conti pubblici e del bilancio dello Stato. (3) Più specificamente, il questionario verifica l’’esistenza, il contenuto e la disponibilità per il pubblico di otto documenti di bilancio ritenuti indispensabili per monitorare l’’azione di governo: dal documento di programmazione di medio periodo alla proposta di legge di bilancio annuale, fino ai rapporti consuntivi sulla spesa dell’’anno precedente e alla valutazione della Corte dei Conti o altri organi di controllo. L’’indice è basato su un questionario dettagliato completato da ricercatori indipendenti e sottoposto a un rigoroso processo di revisione che include rappresentanti del governo interessato.
I risultati dell’’Obi per il 2010, che per la prima volta includono l’’Italia, mostrano come soltanto venti dei novantaquattro paesi inclusi rendono pubblica una quantità di dati sufficienti affinché il pubblico possa farsi un’’idea chiara della situazione finanziaria e delle politiche di bilancio del governo. Ai primi posti figurano molti paesi dell’’Ocse, tra cui la Nuova Zelanda, Inghilterra e Svezia, ma anche il Sud Africa, che negli anni post-apartheid ha saputo mettere in atto una serie di riforme che rendono molto trasparente la gestione delle finanze pubbliche. In fondo alla classifica vi sono soprattutto paesi caratterizzati da estrema povertà, da regimi politici non democratici e da alta dipendenza dal petrolio come fonte principale di esportazioni e di entrate fiscali, tutti fattori che chiaramente limitano la capacità o la volontà dei governi di rendere conto in modo trasparente dell’’uso delle risorse pubbliche.
L’’Italia ottiene un punteggio di 58/100, uguale a quello del Portogallo, che ci colloca tra gli ultimi dei paesi Ocse e dietro a Sri Lanka, Peru e Mongolia. Che i conti pubblici italiani non fossero molto trasparenti, lo si sapeva. Vari rapporti del Fondo monetario internazionale negli ultimi anni avevano già evidenziato come fosse necessario non solo migliorare il contenuto, ma anche ovviare al ritardo con cui i vari documenti vengono resi disponibili. (4) Per la prima volta, però, è possibile non soltanto identificare alcune delle aree che più necessitano di migliorie, ma anche confrontare quello che succede in Italia con le pratiche vigenti in altri paesi.

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I RITARDI ITALIANI

I problemi principali in Italia sono due. In primo luogo, la minore quantità di informazioni incluse in alcuni documenti, in particolare la proposta di legge finanziaria e di bilancio annuale inviata al Parlamento e il rapporto consuntivo di fine anno. In Francia, ad esempio, il Projet de Loi de Finances contiene una serie di dati che nell’equivalente documento italiano non sono inclusi, come i trasferimenti a imprese statali e le operazioni quasi-fiscali, o gli indicatori non-finanziari che documentano gli obiettivi concreti che il governo intende perseguire per ognuno dei maggiori programmi di spesa. Simili differenze si possono riscontrare nei rapporti di fine anno confrontando il Rendiconto generale dello Stato in Italia e la Loi de Règlement des Comptes francese. Va notato che in Italia gli indicatori non-finanziari fino all’’anno scorso erano contenuti nelle cosiddette “Note preliminari” compilate dalla Ragioneria Generale dello Stato, che però venivano inviate al Parlamento separatamente e in ritardo rispetto alla proposta di legge finanziaria, rendendone più difficile la leggibilità e l’’interpretazione.
In secondo luogo, vi sono i problemi legati ai ritardi nella pubblicazione dei documenti e alla loro scarsa leggibilità. Il “Bilancio in breve”, ad esempio, è un utile riassunto dei dati principali del bilancio redatto in un linguaggio più facilmente comprensibile ai non addetti ai lavori (che altrimenti dovrebbero spulciare e interpretare centinaia di pagine di dati). Però, viene normalmente pubblicato un paio di mesi dopo l’’approvazione del bilancio in Parlamento, ovvero a giochi fatti. I rapporti trimestrali sull’’andamento delle finanze pubbliche, le cosiddette “Trimestrali di cassa”, ora disponibili sui siti internet governativi arrivano soltanto fino a settembre del 2009, ovvero il ritardo è di circa un anno. Tutto ciò limita la capacità della società civile, dei mezzi di comunicazione e in alcuni casi del Parlamento stesso di influenzare e controllare l’’operato del governo nella gestione delle finanze pubbliche.
Va certamente riconosciuto alla Ragioneria generale dello Stato un grande sforzo nell’’ammodernamento dei sistemi e dei formati e nel rendere disponibile al pubblico una gamma di dati e informazioni sempre più vasta. Le riforme introdotte dal 1° gennaio 2010 (dopo la compilazione del questionario Obi) con la legge n. 196, che disciplina la normativa in materia di contabilità e finanza pubblica, hanno come obiettivo quello di assicurare una maggiore trasparenza dei conti pubblici. (5) Ad esempio, il contenuto informativo dei documenti programmatici di finanza pubblica dovrà essere migliorato tramite dettagli, note e allegati. Questo dato è confermato dalla “Decisione di finanza pubblica” approvata di recente, che fornisce dettagli maggiori rispetto ai documenti di bilancio precedenti. La classificazione delle spese per missioni e programmi è stata inoltre istituzionalizzata, permettendo un migliore collegamento tra spesa e obbiettivi di politica pubblica. Una serie di deleghe al governo in materia di miglioramento dei sistemi di contabilità pubblica potrà ulteriormente influire sulla trasparenza del bilancio. Sarà interessante vedere se nella prossima versione dell’’Open Budget Index, nel 2012, l’’Italia sarà riuscita a migliorare il suo posto nella classifica globale.

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(1) Si veda, per esempio, F. Hameed (2005) “Fiscal Transparency and Economic Outcomes”, pubblicato dal Fondo monetario internazionale.
(2) Il Fondo monetario internazionale ha pubblicato sia un Codice che un Manuale, mentre l’’Ocse ha raccolto una serie di ‘Best Practices’.
(3) Per maggiori informazioni e accesso a tutti i dati, visitare il sito www.openbudgetindex.org.
(4) Si veda, per esempio, l’aggiornamento al Fiscal Transparency ROSC del 2006.
(5) Si veda http://www.parlamento.it/parlam/leggi/09196l.htm. Si veda anche l’intervento di G. Pisauro su lavoce.info.

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  1. Egidio Cardinale

    Con spirito antidemocratico e delinquenziale nel 2009 è stata creata Difesa S.p.a. per togliere il controllo sui conti del Ministero della Difesa; con lo stesso spirito antidemocratico e delinquenziale, i conti della protezione civile sono stati sottratti al bilancio dello stato; le fondazioni, create ad hoc, non hanno bilanci per nulla trasparenti. Potrei andare avanti…ma mi fermo qui. Ma è ora che venga stoppata questa presa in giro nei confronti dei cittadini.

  2. Roberto A

    Eggidio Cardinale, mi pare disinformato. La protezione civile non é sottratta al bilancio dello Stato, ne fa parte ,non é stata poi creta la Protezione civile Spa. Cosi’ come la Difesa spa che é soggetta al controllo del ministero.

  3. informazione corretta

    Caro Paolo de Rienzo, non sarà mica che anche lei abbia partecipato alla stesura di questo documento, visto che nel documento stesso si dice che per l’Italia i partners sono stati ActionAidItaly and Oxfor University (di cui mi pare lei sia professore associato proprio su questi temi)? E non sarà quindi che, magari, ci sarebbe voluta anche l’opinione di qualcuno non direttamente coinvolto che giudicasse anche se la metodologia seguita per produrre questo studio, possa considerarsi corretta o meno? E se lei vi ha partecipato, non era forse giusto farlo rilevare nell’articolo, per un fattore di trasparenza?

  4. Roby

    Ma il dott Paolo Rienzo é lo stesso che troviamo qui, tra coloro che hanno collaborato proprio alla stesura dello studio? E perchè non specificarlo nell’articolo, per correttezza?

    • La redazione

      Effettivamente per correttezza sarebbe stato opportuno specificare nell’articolo che sono uno dei ricercatori che ha lavorato sul questionario italiano per conto dell’OBI.
      Da un mese, inoltre, lavoro come Senior Research Fellow all’IBP, l’organizzazione che pubblica l’OBI.
      Ma niente di tutto ciò è segreto, tanto che è stato sufficiente entrare nel sito per scoprirlo. Il questionario italiano, come tutti quelli dell’OBI, è stato analizzato da due peer reviewers anonimi, e dal governo italiano stesso.
      Tutti i commenti possono essere visualizzati nel questionario stesso, pubblicato sul sito OBI (http://internationalbudget.org/files/Italy-OBI2010QuestionnaireFinal.pdf).
      Inoltre, il mio articolo su lavoce.info è stato modificato e reso più dettagliato grazie ai commenti della redazione.
      Detto questo, mi farebbe molto piacere ricevere commenti sia sulla metodologia che sulla sostanza del questionario, in modo da poterne migliorare la qualità nella prossima edizione, prevista per il 2012.

  5. Luigi Calabrone

    Truccare i conti pubblici si usa almeno dall’Unità in poi. Vedi ad es. lo scandalo Banca Romana. Limitandoci al periodo della Repubblica, i parlamentari italiani hanno sempre avuto grande disprezzo per la contabilità – cosa da ragionieri; innocuo esercizio da lasciare agli stupidi – e, in particolare, per l’ultimo comma (“Einaudi”) art. 81 della Costituzione. Disprezzo diffuso nella classe dirigente di tutto il nostro povero paese, insieme con il disprezzo per la realtà (residuo fascista, comunista, democristiano), come dimostrato da frasi famose, per es. quelle di Lama sul "salario variabile indipendente"(1967) o delle “convergenze parallele” (1970). Fino a quando l’Italia non era prossima ad entrare in Europa, era continuata persino l’abitudine di manipolare e falsificare periodicamente la moneta; vedi riforma “Brodolini” delle pensioni alla fine degli anni ’60, vedi i bilanci fantasiosi dell’era Andreotti – Spadolini – Craxi, con relative svalutazioni e stampa della famigerata lira da parte della Banca d’Italia. Carli stesso si giustificò affermando che da parte sua sarebbe stato “eversivo” comportarsi diversamente. Quindi, la pratica di truccare i bilanci, pubblici, privati, degli enti locali, societari, fiscali, associativi, eccetera è (ancora) universalmente diffusa in Italia, ed accettata da tutti senza particolare scandalo, anzi giustificata con keynesismo fantasioso e abusivo. Ancillare a questa pratica è la predisposizione di sistemi di riferimento carenti, parziali, incomprensibili, ecc., che la rendono la falsificazione più agevole. Gli Italiani si erano talmente auto convinti della loro incapacità a risolvere questo “piccolo” problema che si è introdotto nel linguaggio comune il concetto di “vincolo europeo”, come se solo da una presunta costrizione “esterna” potesse arrivare la salvezza – cioè l’introduzione di moneta e conti non truccati. C’è da sperare che, lentamente – ma occorrerà più di una generazione – si diffonda nella classe dirigente il concetto che è più vantaggioso per tutti giocare entro un sistema di riferimento serio ed aderente alla realtà; allora i conti pubblici diventeranno trasparenti e la contabilità verrà presa sul serio, come nei paesi civili.

  6. giacomo

    Ridateci Padoa Schioppa e alla svelta!

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