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La risposta ai commenti

1.  Sembra chiaro ormai, anche se non sta scritto nella bozza di decreto, che i cosiddetti “costi standard” serviranno a ridurre il budget del SSN, a partire dal 2013. Il budget 2012, già approvato, è di 110 mld di euro, ma quello del 2013 – ottenuto applicando i “costi standard” delle 3 regioni virtuose –potrebbe rimanere inchiodato a 110 mld o persino scendere a 109 mld. Lo accetteranno le regioni? Non era forse chiaro dall’’articolo, ma ben presente nel testo del decreto, che il fabbisogno nazionale è fissato a priori dal governo, compatibilmente con le variabili macroeconomiche e i vincoli comunitari
Per chi non avesse afferrato, lo scoop sta nel fatto che, secondo le numerose dichiarazioni ascoltate, –il costo standard dovrebbe guidare la distribuzione delle risorse tra le regioni –(e non è vero, come dimostrato nell’’articolo) mentre guida semmai la riduzione del fabbisogno nazionale, che è tutt’’altra cosa. La riduzione penalizzerà, in proporzione, tutte le regioni. Se si voleva ridurre la spesa delle regioni inefficienti, questo non succederà, perché continueranno a ricevere la stessa quota di oggi.
2.   C’’è un equivoco da chiarire, che è fonte di molte incomprensioni: quello secondo cui i costi standard bassi sono sinonimo di efficienza e quelli alti di inefficienza. I costi standard, invece, non sono altro che il fabbisogno finanziario medio per abitante (o quota capitaria pesata) – sta scritto nel decreto, art. 22 comma 5 –che è l’’ammontare di risorse eque e necessarie per ogni regione, data la sua struttura demografica e i suoi bisogni sanitari. La quota capitaria è calcolata presupponendo un’’efficienza media eguale in tutte le regioni ed è crescente in funzione dell’’età. Il decreto governativo afferma invece che sono efficienti solo le regioni che chiudono i bilanci in pareggio. Siccome, di fatto, solo 5-6 regioni del nord, con popolazione giovane e molta spesa privata, che alleggerisce la pressione sul pubblico, chiudono alla pari, si assumono come regioni efficienti e virtuose. Ma questo è un falso ideologico: sono efficienti, data la loro struttura demografica giovane. Efficiente potrebbe essere anche una regione anziana, come la Liguria, che ha la quota capitaria massima: allora dovremmo assumere questo valore come costo standard efficiente e aumentare il budget del SSN? Applicare il fabbisogno medio delle regioni benchmark  chiunque esse siano –è un’’operazione in ogni caso illegittima e distorsiva.
Non condivido quindi la posizione che questo metodo sia comunque un passo in avanti: è invece una regressione, non ha fondamento teorico e non è presente in nessun paese con sistema sanitario decentrato o federale. Vorrà dire qualcosa?
3.   Da alcuni commenti traspare una certa confusione tra i costi standard per prestazione, come molti pensano e la L 42/09 autorizza a pensare, e i costi standard per abitante, come invece fa il decreto attuativo. Ciò che tutti hanno in mente, salvo poi aggiungere che è inattuabile, è l’’idea di un costo standard per prestazione (un ricovero, una visita, una certa dose di farmaci). Questo metodo (analitico) porterebbe a risultati simili a quelli voluti dalla bozza di decreto. E sarebbe molto più trasparente per i rapporti tra Stato-Regioni e tra Regioni-cittadini. Aprirebbe però la strada a chiedersi anche quante prestazioni debba comprendere lo standard. E’ un’’operazione comunque fattibile, a dispetto dei molti scettici (ho effettuato una simulazione a questo proposito), anzi viene già compiuta con la ponderazione della popolazione e lo si può dimostrare facilmente. Vogliamo parlarne?

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Dove la Commissione sbaglia

  1. ANTONIO CARLO

    Una precisazione sul perche’ ho definito la manovra un passo "in avanti". Implementare strumenti del controllo di gestione (il budget, i costi standards, etc.) richiede, piu’ di ogni altra cosa, un cambiamento culturale nell’organizzazione coinvolta, pubblica o privata che sia. E’ vero che il decreto attuativo non rappresenta una soluzione ideale, ma per lo meno si sta "rompendo il ghiaccio" e si introduce (finalmente) il concetto di costo standard nell’amministrazione sanitaria, si comincia cioe’ a cambiarne la cultura. Certo si potrebbe applicare tale concetto molto meglio gia’ in partenza (come discusso), ma siamo in Italia e, che ci piaccia o no, molti cambiamenti nella gestione pubblica non sono mai repentini, bensi’ il frutto di un sofferto e lungo percorso di negoziazioni e compromessi. Basti pensare alle liberalizzazioni dei servizi professionali, dove le "lenzuolate" sono poca cosa rispetto alla soluazione ideale, ma rappresentano comunque una migliore alternativa alla totale mancanza di interventi, o peggio, ad una regressione. Per questo, per me, si tratta di un passo in avanti in Italia.

  2. Paolo Sopranzetti

    Umilmente faccio notare che la retorica delle "5 o 6 regioni del Nord" in cui la sanità ha i conti in ordine è, oltre che ridicola, falsa: alcune regioni del Centro non solo presentano disavanzi, ma addirittura sfatano il mito della Lombadia prima della classe se si considera il disavanzo pro-capite.. ma del resto si sa, il Centro Italia mediaticamente non "tira" come Nord e Sud, ma intanto grazie ad amministratori avveduti e cittadini laboriosi riesce a "tenere" sul fronte dei bilanci pubblici.

  3. maria stella righettini

    Un aspetto totalmente ignorato nell’attuazione dei decreti sul federalismo fiscale è il rapporto tra enti locali-regionali e mercato dei fornitori di beni e servizi. La regione del fallimento annunciato dello strumento dei costi standard risiede a mio avviso principalmente in due fattori: a) nel fatto che si tenta di uniformare sistemi regionali e locali territorialmente diversi dal punto di vista dell’efficacia del sistema delle regole (appalti, privatizzazioni ecc.) e dei controlli (di legalità e di qualità) che governano il rapporto tra fornitori e PA. L’altro fattore è che i costi si dividono in costi "visibili" e in costi "occulti" dei beni e servizi. Visto l’elevato livello di illegalità che pervade il funzionamento del nostro sistema amministrativo chi garantisce, e con quali strumenti o incentivi, che l’apparente riduzione dei costi dei beni e servizi acquistati non si traduca in forme di occultamento di tali costi con il risultato di non riuscire a incidere sulla quantità e qualità della spesa. Soluzioni? Non sarebbe più trasparente che ogni regione individuasse propri costi standard di beni e servizi e che il governo centrale si facesse garante del loro miglioramento?

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