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Assenteismo? Il calo è reale*

A due anni dall’introduzione della legge 133, nella pubblica amministrazione le assenze si sono ridotte significativamente. Riflessi indiretti si sono avuti anche nel settore privato, riducendo la tendenza a comportamenti opportunistici. Nel privato le assenze sono contenute dalla necessità di confrontarsi con il mercato. Nel pubblico, la nuova norma ha dato un prezzo al giorno di assenza, introducendo una regola chiara in un sistema frammentato per qualifiche e settori. I risultati del lavoro di una commissione indipendente di valutazione.

Quando il ministro Brunetta ha varato la famosa legge sui “fannulloni”, alcuni hanno fatto notare che in Italia il livello di assenteismo è tra i più bassi dei paesi Unione Europea e Ocse. (1)
Perché è stata fatta la legge 133, se l’’Italia è così virtuosa?

ASSENTEISMO PRIMA E DOPO LA LEGGE

In verità, in Italia l’’assenza media è minima, ma massimo è il differenziale tra pubblico e privato. (2) Le assenze basse riflettono lo stadio di sviluppo del mercato del lavoro, che tende a escludere le categorie più esposte al fenomeno (donne e anziani), la quota crescente di contratti non standard, il costo elevato delle assenze per il settore privato. L’’assenteismo per malattia è correlato positivamente con l’’età e la dimensione dell’’amministrazione o dell’’impresa, si riduce all’’aumentare del titolo di studio e del ruolo; una maggiore percentuale di assenze è al Centro. Al Sud, la disoccupazione esercita una minaccia sui lavoratori, riduce l’’assenza nel settore privato, non sempre nel pubblico. Le assenze per malattia dipendono solo in parte da condizioni di salute, fattori sociali e culturali giocano un ruolo importante. (3)
La legge 133 del 2008, che ha ridotto la retribuzione per i primi dieci giorni di malattia e intensificato le visite fiscali, è entrata nel dibattito quotidiano, stimolando anche le reazioni dal mondo scientifico. Il monitoraggio effettuato dal ministero rivela una riduzione delle assenze per malattia di circa 40 per cento a un mese dall’’entrata in vigore della legge, suscitando incredulità e critiche, ma la rilevazione è all’’inizio, servono più dati per capire gli effetti e verificare la significatività dei risultati. Il ministro crea una commissione con il compito di analizzare le assenze nel settore pubblico e privato. I responsabili della ricerca di Agenzia dell’’Entrate, Inps, Istat e Ragioneria generale dello Stato mettono a disposizione una massa di dati di grande rilevanza informativa.
Dopo il primo anno di applicazione della legge Brunetta, la riduzione media è del 38 per cento, ma le assenze pro-capite riprendono a crescere nell’’ottobre 2009, quando vengono ripristinate le fasce di reperibilità precedenti. (4) L’’impatto della legge è evidente in tutti i comparti della P.A. e nonostante la ripresa del 2009, il valore medio delle assenze si abbassa, con oscillazioni la cui ampiezza varia anche in funzione dei fenomeni epidemiologici, in tutto il periodo post-riforma fino a oggi: la riduzione media dei giorni di assenza per malattia pro-capite è nel secondo anno del 31,1 per cento (giugno 2009-aprile 2010 contro giugno 2007- aprile 2008).

Figura 1. Incidenza mensile di assenza per malattia nel settore pubblico

Fonte: Anna Ceci e Gerolamo Giungato, dati Istat e Ministero P.A. e Innovazione

Prima del monitoraggio, chi voleva studiare le assenze di malattia in Italia aveva a disposizione i dati annuali sulla pubblica amministrazione della Ragioneria Generale dello Stato, mentre Istat raccoglieva l’’informazione, in maniera indiretta, con l’’indagine sulle forze di lavoro. La commissione ha potuto contare sui dati Inps relativi sia ai suoi 38mila dipendenti sia al settore privato (Inps2) dove l’’effetto della riforma si traduce in un minore assenteismo in entrambi i casi, se pur con un impatto meno accentuato nel secondo. (5)

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Figura 2. Analisi del trend temporale degli episodi di malattia nel triennio 2007-2009

Fonte: Stefania Fioravanti, Giulio Mattioni e Antonietta Mundo, Inps.

Per l’’Agenzia delle Entrate, la contrazione dei giorni di malattia tra il secondo trimestre 2008 e il corrispondente 2007 è – 55,49 per cento, la presenza cresce di 109.479 giornate lavorative, 210mila su base annua. Una dinamica così forte non sembra attribuibile a variazioni del tasso di morbilità e porta a supporre che sia stata indotta dalle nuove norme. (6) Anche la copertura dati della Rilevazione del ministero ora supera il 55 per cento dei dipendenti delle P.A. I dati della commissione mostrano che la durata delle assenze per malattia è simile, in modo sorprendente, ha lo stesso trend ed è coerente con i primi dati della Rilevazione (Tabella 1). Anche il numero di episodi si riduce significativamente in Agenzia delle Entrate e Inps.

Tabella 1: Variazione delle assenze per malattia prima e dopo l’’entrata in vigore della legge 133/2008

IIs2008/Is2008 MINISTERO
P.A.
RGS Agenzia
Entrate
INPS1
(dip INPS)
INPS2
(dip settore privato)
Δ% -41.4 -45.2 -47.5 -45.2 -18.2%
Δ giorni -2.9 -3.0 -3.6 -2.5 – n.a.

Fonte: Alessandra Del Boca e Maria Laura Parisi, 2010. Variazione percentuale e in giorni/dipendente tra II2008 e I2008.

PUBBLICO E PRIVATO

Abbiamo potuto confrontare (Figura 3) i dati di un’’impresa privata di servizi di sicurezza con 2.800 dipendenti (Fidelitas) con le serie storiche annuali di Ragioneria generale dello Stato e Agenzia delle Entrate. L’’andamento è costante fino al 2007, poi si passa da 11.7 giorni di assenza per dipendente AE e 13.9 giorni per Fidelitas a 9.44 e 12.7 nel 2009 (circa -19 per cento nel pubblico e -9 per cento nel privato).

Figura 3. Trend dell’’incidenza di assenza per malattia

Fonte: Alessandra Del Boca e M. Laura Parisi (2010)

Una commissione chiamata a dare una valutazione indipendente di una politica pubblica non ha molti precedenti. Per valutare l’’impatto della legge e delle sue successive modifiche Alessandra Del Boca e Maria Laura Parisi stimano con un modello che la legge riduce le assenze del 16-20 per cento nel pubblico impiego rispetto al privato, a parità di caratteristiche. (7)
I lavoratori riducono sia la durata che la frequenza degli episodi. Francesco D’’Amuri usa i dati Istat e valuta che, al netto della differente composizione nei due gruppi, il differenziale nei tassi medi di assenza passa da 45.4 per cento a 6.9 per cento nel primo anno di applicazione della 133/2008 e verifica l’’esistenza di spillover positivi dal pubblico verso il settore privato quando analizza le coppie di persone che lavorano nei due settori. (8)

Figura 4. Tassi d’’incidenza di assenza per malattia settore pubblico e privato

Fonte:Francesco D’’Amuri (2010), periodo 2004Q1-2009Q2. La linea rossa verticale identifica il trimestre di entrata in vigore della legge 133/2008.

A due anni dalla legge 133, le assenze si sono ridotte significativamente nella P.A., ma riflessi positivi indiretti si sono anche riscontrati sul privato, riducendo la tendenza a comportamenti opportunistici. Nel settore privato le assenze sono contenute dalla necessità di confrontarsi con il mercato. Nel settore pubblico, la legge 133/2008, con i suoi disincentivi, ha dato un prezzo al giorno di assenza, introducendo una regola chiara in un sistema frammentato per qualifiche e settori.

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Principali norme introdotte per contrastare l’’assenteismo per malattia

Periodo Norma Strumenti
da luglio 2008 a giugno 2009 Dl n. 112 del 2008;
Dl n. 78 del 2009
Ampliamento delle fasce orarie di reperibilità da 4 a 11 ore;
Obbligo del certificato medico del Ssn dopo due eventi consecutivi di assenza nello stesso anno solare e per le assenze superiori ai 10 giorni;
Revisione delle modalità di calcolo della decurtazione relativa all’’indennità di amministrazione.
da luglio 2009 a gennaio 2010 Dl n. 78/2009, convertito dalla legge n. 102 del 3 settembre 2009 Ripristino delle fasce orarie a 4 ore
da febbraio 2010 Dl n. 206 del 2009 Modificazione delle fasce orarie da 4 a 7 ore.

Fonte: Stefano Pisani e Salvatore Dongiovanni, 2010

* L’articolo si basa sui risultati emersi dai lavori della commissione indipendente istituita per valutare gli effetti della legge 133/2008. La commissione è così composta: Presidente: Alessandra Del Boca, Università di Brescia. Ministero della pubblica amministrazione e innovazione: Mariella Cozzolino, Anna Ceci, Leonello Tronti, Renzo Turatto. Agenzia Entrate: Stefano Pisani e Salvatore Dongiovanni. Banca d’Italia: Francesco D’Amuri. Inps: Antonietta Mundo. Istat: Gerolamo Giungato. Università di Torino: Giuseppe Costa. Università di Brescia: Maria Laura Parisi. La documentazione dei lavori della commissione si trova sul sito di innovazionepa.gov.it.

(1) Italia paese dell’assenteismo? Forse un mito da sfatare di Anna Giraldo e Stefano Mazzuco 25/11/2009 www.neodemos.it.
(2) Bonato Leo e Lucine Lusinyan (2007): “Work Absence in Europe”, IMF Working Paper n.04/193, October, European Department, aggiornamento per la Commissione 2010.
(3) Angelo D’’Errico e Giuseppe Costa, “Inequalities in health: do occupational risks matter?” European Journal of Public Health, 2010.
(4) I medici Inps o Asl effettuano ora visite fiscali alle 10-12 e 17-19 nei giorni lavorativi. La legge 133/2008, che aveva stabilito 10-13 e 14-19, è stata emendata per questo aspetto nell’agosto 2009.
(5) Antonietta Mundo, “L’assenteismo prima e dopo la legge 133/2008. Un’’analisi degli effetti nel settore privato e nell’’Inps”, 2010.
(6) Stefano Pisani Salvatore Dongiovanni, “Le assenze nell’Agenzia delle Entrate: evidenze empiriche e strumenti di controllo”, 2010.
(7) Del Boca Alessandra e Maria Laura Parisi (2010): “Why does the private sector react like the public to law 133? A microeconometric analysis of sickness absence in Italy”, università di Brescia, Discussion Paper n.1008. Il modello è difference-in-differences per panel, il gruppo trattamento è composto dai dipendenti dell’’Agenzia delle Entrate e il gruppo controllo è composto dai dipendenti Fidelitas, dati trimestrali 2007-2009.
(8) Francesco D’’Amuri, “The intended and uninteded consequences of a stricter policy on absenteeism in the public sector”, 2010.

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19 commenti

  1. Damiano Vezzosi

    L’articolo dice giustamente che «la legge ha dato un prezzo al giorno di assenza». È vero, ma questa norma è ingiusta, perché ha portato al risultato giusto nel modo sbagliato. È accaduto che i fannulloni pre 1998 hanno smesso di andare in malattia perché la malattia ha un prezzo, ma quelli che si ammalano davvero pagano un prezzo ingiusto oltreché spropositato. Esempio: una donna costretta a casa da una gravidanza difficile ha un robusto taglio dello stipendio per molti mesi ma non è certo una fannullona. Sarebbe stato sufficiente aumentare le ore di reperibilità (come fa la legge) i controlli e le sanzioni per ottenere lo stesso risultato senza punire chi si ammala.

  2. Fabio Ranchetti

    Anch’io francamente non ho capito le ragioni del “supporto a provvedimenti che creano un sistema di disincentivi ai pubblici dipendenti onesti”. Esperienza personale: telefono alla presidenza della mia facoltà per chiedere di avvertire cortesemente il neo-preside che, a causa di una stupida influenza, anziché lunedì sarei andato a salutarlo mercoledì. Dopo neanche mezz’ora, ricevo (non dal preside) una burocratica email in cui mi si ricorda l’obbligo di presentare il certificato medico, per la mia assenza!!!??? Così prescrive Brunetta. (Preciso: non avevo alcun impegno didattico; quando sto a casa, o in biblioteca, di solito, cioè più o meno sempre, lavoro per l’università). Sono dovuto quindi andare dal medico due volte (la prima per il primo certificato, la seconda per quello di “fine malattia”); le ho fatto perdere tempo, io ho perso tempo; la mia produttività è scesa. Tutti costi inutili, tutti sprechi. Ma, alla fine del mese, mi hanno ridotto lo stipendio, “per malattia”. Lascio alle colleghe economiste più esperte di me in materia il compito di calcolare se questo ‘risparmio’ da parte dello Stato italiano sia stato superiore ai ‘costi’.

  3. Piero Borla

    Molto suggestiva la tabella 1, che indica la sovrappolibilità dei trend nei diversi comparti di lavoro. Approfondire quindi le possibili cause collegate: andamento della meteorologia, eventi contemporanei fuori dal lavoro, rapporto con le ferie; richiedere a campione l’opinione dei dirigenti intermedi. Ma il vero nodo per distinguere gli assenteisti è il controllo domiciliare. E’ ora di sfatare un tabù: non si controlla veramente se sia in atto una patologia, ma solo se il malato si trova in casa o è uscito. Allora estendere la funzione di controllo dai medici laureati ad altro personale abilitato a servizi di sorveglianza; e vagliare le informazioni che emergono (che non sono dati sensibili).

  4. Antonio Agostini

    Rimango sempre piu’ perplesso e preoccupato di fronte all’impostazione che assume sempre la trattazione del fenomeno dell’assenteismo nel nostro Paese. E’ ormai conoscenza consolidata da molti anni a livello internazionale come il livello di assenteismo dipenda essenzialmente dalla motivazione. Questa e’ una componente da leggere in positivo (interesse, coinvolgimento, delega e autonomia, partecipazione, significato del proprio contributo) e non ha nulla o quasi a che vedere con variabili negative (sanzioni economiche e disciplinari), che finiscono invece per aumentare sempre piu’ la percezione del lavoro come una condanna, alla quale sfuggire con ogni mezzo, se possibile soprattutto con l’inganno e la furbizia. Possibile che fra tanti professori, scienziati e ministri non ci sia qualcuno che si renda conto che nel terzo millennio i lavoratori non possono piu’ essere legati alla scrivania da una catena? Possibile che a nessuno venga in mente un sistema piu’ moderno ed efficace dei tornelli e del cartellino? C’e’ qualcuno che avrebbe il coraggio di sostenere con uno straniero che il principale problema dell’efficienza della nostra PA sia davvero l’assenteismo degli impiegati?

  5. lucio

    Era facile prevedere che maggiori controlli uniti ai disincentivi economici inducessero una forte diminuzione delle assenze per finta malattia. In ogni modo la riduzione economica non tocca la retribuzione base ma quelle voci legate in qualche modo alla produttività e alla presenza e pertanto è sbagliato sostenere che però è iniqua nei confronti di coloro che si ammalano realmente anche se è vero che il danno economico esiste. Forse prima dell’introduzione della nuova legge godevano di privilegi ingiustificasti. Mi fa piacere che anche alla fine si riconosce che il tanto sbeffeggiato Brunetta, che è l’unico che ha avuto il coraggio di affrrontare il grandissimo problema a tutti conosciuto, sta ottenendo buoni risultati.

  6. Antonio Agostini

    Noto con ormai rassegnato sgomento che c’è ancora molta gente disposta a credere che interventi alla Brunetta forniscano risultati positivi. E si gongolano leggendo le statistiche truffaldine, che al massimo possono raccontarci se si è al lavoro oppure no. Ma nulla ci dicono riguardo a cosa si fa e quanto si fa. Forse queste persone dovrebbero fermarsi a riflettere che sistemi del genere avevano un senso nelle fabbriche di una volta (ora neanche più lì): se eri presente dovevi per forza lavorare, dato che eri logisticamente legato ad una macchina. Nella PA di oggi, che una persona sia presente oppure no non dice nulla: e’ solo una condizione necessaria (e non è neanche detto: mai sentito parlare di "lavoro da remoto"?), ma assolutamente non sufficiente. E’ come andare ad un concerto: se stai semplicemente seduto, non vuol dire che tu goda effettivamente della musica. E infatti un sacco di gente si addormenta. Ma questo i biglietti venduti non ce lo dicono e neppure i tornelli all’ingresso degli uffici. Glielo spiegate voi a Brunetta, per favore?

  7. Elisabetta Dellepiane

    E la produttività? Un solo lettore ci suggerisce di guardare oltre le statistiche sulla "presenza fisica". Sono una funzionaria pubblica e conosco, sperimento da vicino, l’assenteismo "mentale", anche negli alti gradi della gerarchia; mi trovo sempre più spesso a fare la considerazione che chi resta a casa ci rimette almeno dei soldi (e non da adesso: occorrerebbe per onestà ricordare che alcune parti accessorie del salario venivano decurtate in caso di assenza per malattia anche nell’era pre-Brunetta!), mentre chi va in ufficio e non lavora, o lavora male e senza un briciolo di passione, prende lo stipendio per intero e fa un gran danno. A parte generiche formulazioni di fumosi principi, non ho ancora visto nulla che assomigli ad una vera valutazione delle prestazioni lavorative. E non mi riferisco ai "licenziabili" dirigenti, ma agli "impiegati" e ai "funzionari", giù giù fino ai livelli più bassi dell’organizzazione statale. Mi aspetterei da "La Voce" un approfondimento in tal senso; lo studio sull’assenteismo è solo un’esercizio di stile, se non ci suggerisce riflessioni più approfondite, e moderne.

  8. giulio

    A riprova che Brunetta sia nel giusto faccio notare che nel primo grafico le assenze maggiori le compiono i cosiddetti "ministeriali", ovvero i più priviliegiati tra i privilegiati dell’impiego statale. Quindi, anche a livello statistico si conferma che parte delle assenze sono dovute a poca voglia di lavorare: i "ministeriali", poiché più vicini al potere politico, forti dei loro privilegi, compiono più assenze. Quindi parte delle assenze dipendono non dall’effettivo stato di salute, ma dalla scarsa voglia di lavorare. Faccio anche notare che quando i ritmi lavorativi diventano molto pesanti, è più facile che una persona si ammali. Quindi il basso tasso di assenze nel settore privato ha significato ancor maggiore di quello che si desumerebbe da un puro confronto numerico, perché nel settore privato si hanno maggiori rischi di malattia, dovuti al fatto che i ritmi lavorativi sono ben più pesanti che nel settore pubblico, e tuttavia il tasso di assenteismo per malattia è minore che nel settore pubblico.

  9. Maria Cristina Migliore

    Voglio anch’io esprimere tutta la mia sorpresa per l’implicita assunzione che essere presenti in ufficio significhi lavorare. Vorrei che l’esame dell’andamento delle assenze per malattia fosse confrontato con l’andamento della produttività degli uffici, se mai ciò fosse possibile. Non mi piace neppure chi chiede maggiori controlli e sanzioni. Piuttosto ragioniamo di come rendere il lavoro più interessante e significativo, di come coinvolgere di più le lavoratrici e i lavoratori nella definizione dei processi di lavoro. Come mai non si parla mai di questo? siamo ancora ad una cultura fordista del lavoro?

  10. Soon in agitation

    Certo è significativo che in tanto dibattito l’unica persona che si ricorda di citare i termini "produttività" e "valutazione" sia, incredibile ma vero, un funzionario pubblico. Ma siete sicuri, voi wanna-be-Brunetta, di sapere di cosa parlate? E i bravi estensori di questa dotta ricerca che cosa volevano dimostrare? Che aumentando le sanzioni la gente si assenta meno? E c’era bisogno di uno studio statistico per scoprirlo? Perché non provano a correlare questo aumento di mera presenza fisica alle variazioni di produttività? Hanno forse paura di scoprire una correlazione pari a zero? Vedo più giù che c’è anche qualcuno che si azzarda a rompere il tabù più proibito del mondo del lavoro in Italia: la motivazione e il coinvolgimento. Rari nantes in gurgite vasto. Poveri noi.

  11. Ajna

    A parte concordare con chi parla di problemi di motivazione e produttività, per quanto già l’obbligo della presenza possa in certi casi essere un pro forma che già sprona al lavoro o almeno non demotiva chi tenta di fare del suo meglio, mi interessava sapere più nello specifico come e perché si genererebbero spillover nel privato, specie in coppie che lavorano in pubblico-privato…

  12. dott claudio giusti

    La buffonata Brunetta ha fatto ritornare un sacco di inutili assenteisti nelle amministrazioni, diminuendone l’efficienza complessiva (più gente che fa lo stesso lavoro di prima) Noi che abbiamo sempre lavorato ci troviamo penalizzati. La caduta della retina mi è costata un sacco di soldi e al ritorno ho trovato la scrivania ingombra di pratiche. Alla fine della fiera tutto sto casino non è servito a niente, la PA è primitiva come prima, solo un po’ più incavolata.

  13. Domenico Amato

    Sono un dirigente scolastico. Non ho nessun problema ad asserire con certezza che la legge Brunetta ha dato risultati positivi e concreti, ma non basta! Nelle statistiche della commissione citata non si fa menzione alle assenze dei contratti sindacali e leggine varie che restano ancora un serio problema di efficienza della pubblica amministrazione e della scuola. Il contratto integrativo della scuola autorizza 3 giorni per motivi di famiglia più 7 giorni annui per ferie con ricadute negative per l’apprendimento degli alunni. Si aggiungono le 3 giornate mensili! per assistenza di familiari portatori di handicap e ancora 150 ore di permessi per studio per la seconda e la terza laurea a spese dello stato. Avere la sfortuna di avare una figlia o un figlio nel corso di certuni docenti si può dire addio all’apprendimento dei propri figli ,almeno in quelle discipline! Non è certamente finita qui, ci sono i docenti che non sono più motivati, i docenti fannulloni e quelli incapaci e i malati incapaci di rapportarsi con gli alunni. Ma il problema non può essere risolto dal ministro Brunetta. Tant’è che il D.L. 150 ha demandato al parlamento la risoluzione del sistema premiante dei docenti.

  14. PDC

    Allora diamo atto a Brunetta di avere fatto la cosa giusta. Quanto a chi obietta che non serve far tornare in ufficio chi comunque non lavora, faccio notare che questo è un problema diverso e andrebbe affrontato separatamente; personalmente ritengo che si tratti essenzialmente di un problema legato alla qualità dei dirigenti italiani: un buon dirigente dovrebbe essere sempre in grado di motivare i propri sottoposti e nei rarissimi casi in cui ciò non fosse proprio possibile dovrebbe avere il coraggio di licenziarli. Ma i dirigenti non sono selezionati né per le loro capacità né tantomeno per il loro coraggio… o forse, pensandoci meglio?

    • La redazione

      Grazie del commento: su assenteismo produttività e motivazione forse osserverei che per produrre e farsi motivare occurre comunque essere presenti, anche se con un pò di raffreddore.

  15. marco di sanremo

    Intanto è una e vera e propria ingiustizia che si tassi la prima giornata di malattia solo nel pubblico, bisogna farlo anche nel privato, e poi perchè non sono stati congelati i contratti privati di tutto il settore privato lavorativo? Perchè brunetta continua a rubare gli stipendi d’oro che noi forniamo? In questi gg ha solo detto che le macchine blu costano agli italiani qualcosa come 4 miliardi di euro, ebbene via tutte e dico tutte le macchine blu, i minisitri ,parlamentari senatori si paghino auto private, niente piu agenti di stato come autisti e quant’altro ma solo polizie private pagate da loro! Ebbene brunetta cosa ne dici si puo fare o è demagogia? Guardi che prima o poi anche tu pagherai per le tue nefandezze perpretrate ai dani del lavoratori pubblici. La dovete smettere di colpevolizzarci comne se noi fossimo il solo problema del deficit pubblico, voi lo siete e ve ne dovete andare a casa tutti, in Italia abbiamo bisogno di ricominciare da capo con persone capaci serie ed oneste, grazie.

  16. martino

    Ho letto l’articolo. Da quello che si legge, persone felici=più produttive. Ci son un po’ di ma… Nella felicità personale rientrano molti aspetti privati (lo dice lo stesso articolo). Poi, una cosa è un test di durata limitata, un’altra un’intera vita lavorativa. ecc. E comunque qui si parla di assenteismo. Gente che non rispetta le regole. Dovremmo forse premiarli o incentivarli perchè si presentino al lavoro e facciano qualcosa? Non sono già pagati per farlo? Spesso e volentieri non hanno già stipendi superiori ai pari grado privati, con orari migliori sia sotto il profilo della distribuzione nella giornata, che nell’ammontare settimanale? Non è che un buon numero di lavoratori si abitui ben presto ad ogni centivo/premio/concessione e senta così l’esigenza di avanzare nuove richieste? Se non le soddisfiamo, mi precipitano ancora nell’infelicità e addio produttività?

  17. Franco DOCENTE

    Lo scopo vero della "Brunettata " è quello di piazzare, senza danni per la serie di lavoratori infilati nel pubblico dal precedente sistema clientelare, l’ "imput" tremontiano di riduzione della spesa per il personale dipendente da ministeri che erano stati ridotti a riserve premio per militanza politica. La "Brunettata" daltronde si accompagna ad altre manovre legislative del Governo, tipo la "Gelminata", che colpiscono specificamente i settori pubblici più tarati da occupazioni partitiche. Aggiungo -e solo per dare all’eventuale paziente lettore una finestra di ulteriori analisi- la "Bondiata" su FUS etc. Questo è il criterio con il quale vanno giudicate le leggi, cioè quello del vero scopo, che non appare mai dai titoli .Solo così si capisce perchè la scure è calata solo sulla testa dei precari,giovani,donne (non compiacenti) e perchè i "fannulloni di partito" si sono limitati solo ad una maggiore presenza vegetativa senza impulso alcuno su efficienza e produttività. Il disastro sociale che queste "Tremontiate" stanno perpetuando non preoccupa minimamente la "maggioranza" sempre più "arroccata".

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