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G20: o la botte piena o la moglie ubriaca

I Grandi ci raccontano che al G20 di Toronto hanno messo le basi per il ritorno ad una crescita economica più rapida e meno rischiosa. Non è così. Bisognerà scegliere: se vogliamo un ritorno più rapido alla crescita, dobbiamo accettare la finanza non regolata e quindi convivere con il rischio di nuove crisi. Se non ci piacciono le crisi, dobbiamo regolare o tassare la finanza e accettare la minore crescita media che l’aumentato costo del credito comporterà.


Il preambolo alla dichiarazione finale del G20 di Toronto comincia con frasi impegnative: “Abbiamo tenuto il primo Summit ufficiale del G20 nella sua nuova configurazione di forum principale della cooperazione economica internazionale. A partire dai nostri successi nella gestione della crisi economica globale, ci siamo messi d’’accordo sui prossimi passi da fare per garantire il ritorno ad una crescita con la creazione di posti di lavoro di qualità, per riformare e rafforzare il sistema finanziario e creare una forte, sostenibile ed equilibrata crescita globale.”
Alcune stime del Fondo Monetario e della Banca Mondiale citate nel paragrafo 9 del comunicato G20 indicherebbero che un sentiero più ambizioso di riforme (quali, non è specificato con precisione) produrrebbero nel medio termine “un guadagno di output globale di almeno 4000 miliardi di dollari” (l’’8 per cento del Pil dei G20), “decine di milioni di posti di lavoro in più”, “molti meno poveri” e “una riduzione significativa degli squilibri globali.”
Al di là dei risultati dei modelli statistici (necessariamente approssimativi nella situazione attuale), la domanda da porsi è se a Toronto si siano davvero messe le basi per un ritorno ad una crescita economica più rapida di quella 2010 e meno esposta al rischio di nuovi 2009, come ci promettono i Grandi. La risposta più probabile è: no. Bisognerà scegliere: se vogliamo un ritorno più rapido alla crescita, dobbiamo accettare la finanza non regolata e quindi convivere con il rischio di nuove crisi. Se non ci piacciono le crisi, dobbiamo regolare o tassare la finanza e accettare la minore crescita media che l’’aumentato costo del credito comporterà. Si può avere la botte piena o la moglie ubriaca, non tutte e due.

DUE PAROLE SUL G20 IN GENERALE

E’ vero, i G-X (X=7,8, 20; X grande a piacere) sono quasi sempre grandi kermesse che si aprono e si chiudono con un nulla di fatto. Ogni nuovo G8-G20 sembra dimenticare gli impegni delle volte precedenti, come se fosse sufficiente continuare a promettere senza mai mantenere. A Toronto, il nuovo premier inglese David Cameron era al suo primo G20. Era in imbarazzo a partecipare ad un evento che porta sempre ad una lista di cose che rimangono lettera morta. Il primo ministro italiano Silvio Berlusconi si è vantato con i colleghi di esserne un veterano perché ci ha partecipato nove volte. Ma nemmeno un uomo del fare come lui è riuscito a lasciare un segno in questi meeting.
Va riconosciuto che un G20 è comunque meglio di un G8 perché è più rappresentativo degli interessi del mondo, soprattutto del mondo che non era mai stato ammesso a decidere insieme con gli altri. Prendere decisioni che vadano bene a venti paesi è ancora più complicato che prendere decisioni che vadano bene ad otto. Ma tanto, dato che fallivano anche quelli a otto con i Grandi Ricchi, meglio che a fallire siano venti Grandi – Ricchi e Meno Ricchi – così che il mondo capisca che la mancata soluzione dei problemi non dipende solo dalla cattiva volontà dei Grandi Ricchi.

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NULLA DI FATTO SUL FRONTE FISCALE

Che non si possa avere la botte piena e la moglie ubriaca lo si vede sul fronte fiscale. La frase cruciale del comunicato finale recita: “C’’è il rischio che aggiustamenti fiscali adottati in modo sincronizzato dalle più grandi economie influenzino negativamente la ripresa. C’’è anche il rischio che la mancata attuazione del consolidamento fiscale dove necessario pregiudicherebbe la fiducia e ostacolerebbe la crescita. Nel complesso, i paesi avanzati si sono impegnati ad attuare piani di aggiustamento fiscale che come minimo dimezzeranno il loro deficit entro il 2013 e stabilizzeranno o ridurranno il rapporto debito-Pil entro il 2016.” La prima frase riconosce il punto di vista dell’’amministrazione Obama: se tutti i paesi del mondo tagliano i deficit tutti insieme, ciò avrà un effetto recessivo. Nella seconda frase però si riconosce il punto di vista tedesco: rinviare l’’aggiustamento fiscale vuol dire allungare la lista dei paesi soggetti al rischio del crack fiscale ben oltre i Piigs, forse fino agli Stati Uniti. Più crescita alimentata da politiche fiscali espansive ora vorrebbe dire maggiori rischi di crisi future. La terza frase è il compromesso. La signora Merkel può tornare dai suoi concittadini tedeschi agitati dal caso Grecia a raccontare che è riuscita nella missione di esportare la linea di rigore tedesco non solo in Europa ma anche fuori dall’’Europa. Però il rigore (il dimezzamento dei deficit di bilancio di oggi) sarà tra qui e il 2013, cioè gli Stati hanno tempo tre anni per diventare rigoristi. Obama può tornare a casa e proseguire per la sua strada, lasciando il deficit di bilancio americano (oggi al 10 per cento del Pil) quello che è anche nel 2011 e forse anche dopo. Nel futuro si vedrà, dopotutto è il dollaro la valuta di riserva del mondo, non l’’euro o lo yuan. E’’ più facile fare gli alfieri della crescita (come ha fatto Obama nei giorni prima del summit) se si può esportare parte del costo dei sostegni alla crescita all’’estero svalutando la propria moneta senza congelare gli stipendi dei dipendenti pubblici a casa.

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RIFORMA E TASSAZIONE DELLA FINANZA E DELLE BANCHE

Anche sull’’altro grande fronte, quello della regolamentazione e della tassazione della finanza e delle banche non si può avere tutto. Il comunicato elenca ancora una volta i problemi sul tappeto (regolamentazione e supervisione delle varie istituzioni finanziarie, monitoraggio e tecniche di risoluzione dei rischi sistemici). Ma dal summit non è uscita al riguardo una proposta condivisa perché Obama si è mosso prima del G20 sulla strada della regolamentazione del settore finanziario, mentre l’’Europa era divisa al suo interno. Grazie all’’accordo raggiunto tra Camera e Senato Usa sulla Volcker rule (divieto di proprietary trading, obbligo di separare i derivati in società separate dalle banche e che potranno fallire senza coinvolgere le case madri, limite all’’investimento in hedge funds e private equity), l’’attività bancaria americana ritornerebbe verso il business tradizionale del sistema bancario di una volta. Che questo avvenga davvero è tutto da vedere: i valori di Borsa delle banche non sono diminuiti dopo l’’annuncio della riforma Obama. In Europa, Londra è contraria a tutto ciò che può nuocere alla risurrezione della City, Berlusconi è contrario alla Tobin tax (anche se il suo ministro dell’’Economia non perde occasione di lamentare i guasti dell’’economia di carta; sarebbe bello se si mettessero d’’accordo), mentre Berlino e Parigi si sono manifestati in varie occasioni favorevoli a tassare le banche. Ognuna di queste proposte, se attuate, avrà l’’effetto che hanno di solito la regolamentazione e le tasse: salirà il costo medio del credito, con il beneficio di ridurre il rischio di nuove crisi. Ognuna di queste misure sarà presumibilmente associata ad una minore crescita media ma anche ad una sua minore variabilità rispetto a quella sperimentata nel recente passato.

CONCLUSIONE

Ancora una volta il G20 produrrà probabilmente un nulla di fatto sulle cose che contano. Almeno però i Grandi potrebbero raccontarci la verità sulla crescita globale: non sarà “forte, sostenibile ed equilibrata”. Se sarà forte non sarà equilibrata e sostenibile. Per essere equilibrata e sostenibile, dovrà essere meno forte.

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Un commento all’articolo di Iacopo Viciani “Aiuti da valutare”

10 commenti

  1. Giuseppe

    ..a me sembra che tutti questi g8, g20 servono solo ad andare in vacanza con i nostri soldi! Non riescono a mettersi d’accordo neanche sul menù del giorno!

  2. Andrea Mairate

    Il fatto che i paesi non abbiano potuto coordinare meglio le loro politiche di bilancio è un peccato minore. In realtà, si tratta di uno scontro tra la linea rigorista europea che propugna stabilità e riduzione drastica dei deficit pubblici e la più prudente ‘dottrina’ americana che privilegia il rilancio della domanda globale. L’approccio unilaterale deglli Stati Uniti rischia di essere contro-produttivo se non si trovano regole comuni in materia di finanza, non solo la tassa sulle banche ma sopratutto se viene meno un accordo sulle regole di Basel III sui ‘capital requirements’. Manca, in realtà una visione del mondo condivisa e orientata verso il bene comune; per ora, i governi pensano alle proprie economie e si rinchiudono nei loro interessi immediati.

  3. Salvatore Curatolo

    Complimenti per la chiarezza dell’articolo, che sottolinea i rischi degli eccessi nell’una e nell’altra direzione. Un intervento troppo "punitivo" di regolazione (o tassazione) nei confronti del sistema finanziario-creditizio riduce l’instabilità finanziaria ma finirebbe col produrre una più o meno completa traslazione sui tassi applicati alla clientela e quindi porre un freno alla crescita. All’estremo opposto, un eccesso di "laissez faire" lascia briglia sciolta alla crescita ma rischia di accrescere la fragilità finanziaria presente e futura. Ma esiste una soluzione di compromesso del trade-off tra regolazione e crescita? E’ possibile tassare (o regolamentare) la finanza speculativa senza influire sul core-business delle banche? La Volcker Rule sembra andare in questa direzione. Inoltre, mi sembra possibile immaginare che il gettito della tassazione delle banche, a saldi di finanza pubblica invariati, venga destinato a interventi significativi di sostegno-stimolo dei consumi delle famiglie. In alternativa tale gettito potrebbe consentire un più rapido rientro del deficit a parità di pressione tributaria, con effetti benefici sul premio al rischio-paese.

  4. giancarlo

    Sono sempre felice quando leggo nella stampa economica articoli di ammirevole lucidità come questo di F. Daveri. Cosa posso aggiungere a quanto esposto? Un finale che Daveri sicuramente ha compreso ma probabilmente ha ritenuto opportuno di non inserire nell’articolo. Siamo giunti ad un bivio storico dove la sola logica economica non permette l’uscita. Le scelte che ci attendono a questo punto hanno a che fare anche con nuovi modi di concepire la nostra vita ed il senso dello sviluppo economico. Per uscirne in breve si deve cambiare la nostra visione del mondo come dicevano i filosofi tedeschi. Meno soldi in tasca e più saggezza. Cerchiamo di costruire una vita più autentica meno dipendente dall’economia.

  5. D.GAMMELLA

    Vuole dire che gli Usa a seguito dei sacrifici hanno dei costi in termini di inflazione che però possono trasferire in parte all’estero attraverso l’export facendo pagare a prezzi più alti le esportazioni. E’ giusta l’analisi ? Grazie, saluti D.Gammella P.S. complimenti per la disamina precisa, puntuale, diretta!

  6. Confucius

    L’ultimo summit G-X non si è discostato da quelli precedenti: trattasi di una manifestazione di marketing promozionale destinata ai media, senza alcun effetto reale sulla economia (le cui decisioni operative vengono prese altrove, lontano da occhi ed orecchie indiscrete), con proclami ambigui o velleitari ed impegni che si sa già non verranno rispettati. Ad esempio, i bilanci pubblici dovranno tornare ad una parvenza di equilibrio ma non subito, bensì oltre la prossima scadenza elettorale (= ci penserà l’attuale opposizione). Mi ricorda l’impegno alla riduzione dei gas serra preso ad un analogo summit: la riduzione dovrà avvenire entro il 2050, anno nel quale nessuno dei sottoscrittori dell’impegno non solo sarà ancora in carica ma probabilmente nemmeno vivo! Se veramente vogliamo iniziare a risparmiare, cominciamo ad abolire dei summit nei quali la decisione unanime e costante è quella di fare ciascuno come meglio gli conviene. Per simili decisioni non è necessario spendere, come in Canada, un miliardo di dollari (a debito) in organizzazione e sicurezza.

  7. sigieri

    La posizione del Governo della Germania è troppo condizionata dagli umori della propria opinione pubblica ed è stata una componente non marginale nel determinare il nervosismo dei mercati sul rischio paese. Cosa vogliono i tedeschi? Per decenni hanno basato il loro benessere economico sull’export pigliandosi tutti i vantaggi della liberalizzazione e globalizzazione dei mercati ed oggi dicono a chi che si è indebito oltre le proprie capacità di buttare all’aria un modello di vita che è stato costruito,sbagliando, sui consumi eccessivi legati anche a questo export (non solo evidentemente). Se la Germania non accetta come prima misura per l’area euro la Volcker rule e una solidarietà pronta ed effettiva nei confronti degli altri paesi in eventuale difficoltà (nella gestione del caso Grecia si è mossa male e tardi) allora c’è da avere paura per l’intera costruzione europea e di una crisi lunga e di difficile soluzione. I tedeschi farebbero tra l’altro bene a pensare alle loro banche che nella situazione greca sono fortemente impegnate .Una ulteriore meditazione meriterebbe il “caso inglese”che è un equivoco irrisolto nella costruzione di una vera comunità europea.

  8. Andrea G

    Credo che ormai sia impossibile porre un serio freno alla finanza ,che oggi rappresenta chiaramente un effetto degenerativo dei sistemi economici e che , soprattutto , è sfuggita al controllo di qualsiasi autorità . Che vi siano persone, non dico gli operatori ma i teorici "indipendenti, che criticano una qualsiasi forma di regolamentazione risulta per me un mistero la cui soluzione esula da valutazioni puramente economiche . In ogni caso se fosse necessario scegliere tra maggior crescita e finanza regolata , secondo me sarebbe opportuna la seconda via. Quando le economie crescono troppo e troppo in fretta lasciano presagire cadute rovinose i cui effetti ricadono su milioni e milioni di persone non responsabili della crisi. Non si venga poi a raccontare che la scienza economica, con i suoi raffinatissimi strumenti, non sia in grado di "stoppare" la speculazione senza aumentare il costo del credito alle imprese. In tutta questa situazione, la vera barzelletta è che Berlusconi sia contrario alla Tobin tax , ammesso che sappia cosa sia.

  9. Giovanni

    Data la caratteristica di autoregolamentazione dei mercati finanziari, un intervento pubblico sarebbe più opportuno con un graduale aumento delle tasse no sulle transazioni finanziarie, in quanto garantiscono la liquidità nel sistema finanziario e riducono il fattore di rischio, sì sulle rendite finanziarie.

  10. Salvatore C.

    Tutto deve crescere e per forza: gli utili delle società quotate, l’economia mondiale, etc. Tutta l’economia mondiale è ormai drogata da questa "falsa" legge. Falsa nel senso che è corretto ed insidacabile che ci debba essere una crescita ma non con tassi a doppia cifra ogni anno; è molto più costruttiva e sostenibile nel medio e lungo periodo una crescita equilibrata e moderata. Meglio che l’economia, e quindi gli utili delle società in senso lato, crescano ma con tassi sostenibili. Chissà se gli attori dell’economia mondiale riusciranno a capire questo assunto così banale ma così importante. Vedremo se con le recenti crisi qualcosa cambierà in fututo, per il momento pare proprio di no e non credo cambierà in quanto l’uomo è destinato a ragionare nel breve/brevissimo tempo.

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