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La medicina di genere, una questione di cura

Le donne vivono più a lungo degli uomini, ma si ammalano di più, usano di più i servizi sanitari e hanno un maggior numero di anni di vita in cattiva salute. Alla base di questi sviluppi sta anche il fatto che gli studi clinici sui farmaci non tengono in adeguata considerazione i test sulle donne. Lo sviluppo di approcci diagnostici e terapeutici che valutino le differenze di genere tra donne e uomini potrebbe consentire di migliorare le prospettive della salute femminile.

 

Negli ultimi sessanta anni il ruolo sociale della donna, insieme allo stile di vita, ha subito profondi cambiamenti. Accanto a diversi aspetti positivi in termini sociali, professionali e di aspettativa di vita ci sono stati esiti anche meno favorevoli dal punto di vista della salute.
Nella popolazione femminile sono aumentate malattie un tempo prevalenti nel genere maschile e si sono registrate significative variazioni di genere nell’accesso alle cure e nel consumo di farmaci. In Italia e nel resto del mondo occidentale, secondo dati standardizzati, le donne sono le maggiori consumatrici di farmaci rispetto agli uomini (il 20-30 per cento in più per quanto riguarda i farmaci etici), soprattutto nelle fasce di età comprese tra i 15 e i 54 anni, e in maggior misura soggette a reazioni avverse.

IL “PARADOSSO DONNA”

La scarsa attenzione prestata in campo medico nei confronti delle differenze biologiche e sociali è parzialmente responsabile del  “paradosso donna”: le donne vivono più a lungo degli uomini, ma si ammalano di più, usano di più i servizi sanitari e hanno un maggior numero di anni di vita in cattiva salute. Secondo i dati standardizzati raccolti nel 2007 dall’Istat, la disabilità femminile è circa doppia in confronto a quella maschile. Il valore di disabilità nelle funzioni quotidiane è pari al 17 per cento nelle donne e all’8,9 per cento negli uomini, la prevalenza di patologie psichiatriche nelle donne è del 7,4 per cento e del 3,1 per cento negli uomini e quella dell’osteoporosi è del 9,2 per cento nelle donne rispetto a 1,1 per cento negli uomini.
Oltre alla dimensione strettamente patologica, assume anche particolare rilevanza la dimensione socio-economica relativa a queste disabilità. Le conseguenze invalidanti in cui infatti incorrrono le donne a causa di soluzioni terapeutiche non mirate, associate a una più lunga aspettativa di vita, le condizionano, mettendole a rischio di vivere periodi di profonda solitudine e disagio economico, soprattutto in età anziana.

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DONNE E STUDI CLINICI

La diffusione di queste patologie nelle donne è causata anche dal fatto che i farmaci sono studiati in prevalenza sugli uomini. Sia gli studi clinici, almeno fino adesso, sia gli esperimenti pre-clinici sono eseguiti prevalentemente su soggetti maschi. Per dare un esempio numerico, i grandi studi clinici relativi alle terapie per le malattie del sistema cardiovascolare non hanno mai arruolato più del 26-36 per cento di donne, rimanendo molto spesso al di sotto della potenza statistica necessaria a evidenziare differenze di efficacia e sicurezza dei farmaci sperimentati.
Si crea dunque una sorta di cecità rispetto al genere con effetti negativi per la salute della donna. Se infatti un farmaco non è espressamente testato sulle donne, non esiste modo di predire quali saranno i reali risultati di efficacia.
I dati standardizzati raccolti dalla Food and Drug Administration (Fda) hanno evidenziato che la percentuale di donne arruolate per gli studi clinici nel periodo 2000-2002 era pari al 25 per cento nelle fasi I e II rispetto al 63 per cento degli uomini e al 12 per cento di casi di genere non definito o ignoto. (1) Tra il 2006 e il 2007 la percentuale di arruolamento, in fase I e II, è risultata ancora scarsa, ma leggermente più alta rispetto al biennio 2000-2002.
Oltre a questi minimi progressi concreti, va tenuto in considerazione un maggior progresso culturale e regolatorio, almeno negli Stati Uniti. Nel 1993 la stessa Fda ha emesso delle linee guida, fissando le regole affinché entrambi i generi siano presi in considerazione durante le varie fasi di sviluppo dei farmaci e i risultati statistici siano valutati per genere. (2)
Uno studio canadese del 2007 ha sottolineato come le affezioni cardiovascolari rappresentassero la principale causa di mortalità per le donne (30 per cento su base mondiale). (3) Le analisi indicavano che ci sono differenze rilevanti e poco indagate tra donne e uomini. Per esempio, le donne con il diabete presentano un indice di mortalità da malattie cardiovascolari molto superiore rispetto agli uomini.
Uno studio realizzato negli Stati Uniti nello stesso periodo ha messo in evidenza che, solo in quel paese, nel 2006 sono stati spesi ben 403 miliardi di dollari per cure o per mancata produttività a causa delle patologie cardiovascolari, rispetto ai 190 miliardi a causa del cancro e a 29 miliardi per il virus Hiv. (4)

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VINCERE LA CECITÀ DI GENERE

L’Organizzazione mondiale della sanità ha cominciato a dare sempre maggior rilievo alle tematiche di genere, al punto da affermare che “alla salute della donna deve essere dato il più elevato livello di visibilità e urgenza”.
Nonostante una sensibilità in qualche modo crescente in Europa, e analogamente in Italia, non esistono attualmente studi disponibili né raccolte di dati per verificare la rappresentatività del genere femminile negli studi clinici. Allo stesso modo, non sono state formulate regole specifiche di inclusione delle donne negli studi clinici, essendo stata ritenuta sufficiente la richiesta che nei trial siano presentati dati demografici e valutazioni statistiche per tutte le sottopopolazioni, individuando le donne tra queste ultime.
Occorre dunque che si sviluppi una specifica sensibilità per integrare le diversità nei processi e nelle politiche di cura e di tutela della salute. Ė inoltre importante accompagnare la sensibilizzazione dell’industria farmaceutica a queste problematiche. Ogi infatti gli studi finanziati con fondi pubblici arruolano più donne rispetto a quelli finanziati dai privati.
(1) La Fda è l’ente di regolamentazione dei farmaci Usa.
(2) “Guidelines for the study and evaluation of gender differences in clinical evaluation of drugs”.
(3) “Sex-specific issues related to cardiovascular disease” di Louise Pilote, McGill University, Montreal, pubblicato dal Canadian Medical Association Journal, 2007.
(4) “Evidence based guidelines for cardiovascular disease prevention in women” promosso dalla American Heart Association e pubblicato sulla rivista Circulation, 2007.

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La risposta ai commenti

  1. Tommaso Rispoli

    Ci sono dati certi. Abbiamo la diagnosi e sappiamo la "terapia" da usare. Ok quanto tempo serve per iniziarla a curare? Debellare il virus della discriminazione è una grande sfida,tanto in questo come in altri ambiti. Nelle cifre citate fa riflettere,al di là del sesso della categoria, il gap tra le due. Ed è grave,a prescindere,la disparità di possibilità tra esseri viventi. La chiave di volta è sempre la stessa,cooperare con egual diritti e doveri. Siamo complementari ed ogni volta che siamo riusciti a lavorare insieme l’intera specie ne ha tratto benefici. Indissolubilmente legati,a noi la scelta di migliorare l’aspettativa e la qualità della vita insieme per il bene di tutti.

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