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NIENTE INGLESE, SIAMO BUROCRATI

In questi giorni migliaia di docenti universitari stanno completando la domanda dei cosiddetti progetti PRIN (progetti di interesse nazionale). Si tratta di un fondo piuttosto esiguo destinato a finanziarie la ricerca di base delle università (spese per contratti con giovani ricercatori, missioni, spese per attrezzature, ecc). In passato il ministero finanziava il 70 per cento del costo dei progetti e le università il residuo 30 per cento. Così un gruppo di ricerca finanziato, ad esempio, con 20.000 euro ne riceveva 14.000 dal ministero e 6.000 dalla propria università. Una nuova regola prevede ora che le università possono finanziare il progetto impegnando lo stipendio dei dipendenti. Sono costi che l’università sostiene comunque, anche se il progetto non è finanziato. Si tratta in sostanza di un taglio del 30 per cento ai già esigui e irregolari finanziamenti per la ricerca di base: invece che 20.000 euro il gruppo di ricerca ne riceverà 14.000.
In questi giorni migliaia di docenti universitari stanno anche traducendo (dall’inglese o dall’italiano), pagina per pagina, i progetti che intendono presentare. Perché questo supplizio? Interpellato, il ministero ha dichiarato che il progetto va presentato in due lingue perché chi valuta il progetto potrebbe non conoscere l’inglese. La burocrazia del ministero (i famigerati modelli A e B noti ai docenti costretti a riempirli) non
consente dunque di presentare un progetto esclusivamente in lingua inglese, con risparmio di tempo da parte dei docenti. Sarebbe una regola di buon senso, ma come si sa il buon senso spesso manca.

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14 commenti

  1. Marilena Furno

    Aggiungerei che il Prin viaggia con un anno di ritardo.

  2. Davide

    Sono d’accordo con questa scelta del ministero e contrario a quanto ha scritto Tullio Jappelli. Siamo in Italia e bisogna parlare italiano. Sono contrario alla colonizzazione linguistica anglofona. Ogni anno gli stati non anglofoni spendono diversi miliardi per l’insegnamento della lingua inglese; soldi che ovviamente Gran Bretagna, Usa, Australia, Irlanda, Nuova Zelanda e gli altri risparmiano e possono investire in altri campi (insegnamento delle scienze, ecc). Sarebbe ora di finirla. Chi conosce anche l’inglese, oltre all’italiano, andrebbe premiato. Ma chi conosce solo l’inglese e non l’italiano non dovrebbe esserlo.

  3. andrea ichino

    Il taglio del 30% con la nuova regola in linea di principio potrebbe essere solo nominale perche’ tutti chiederanno il 30% in piu’ per ottenere alla fine lo stesso ammontare. La cosa grave e’ che alla fine il governo potra’ dire di aver stanziato fondi per la ricerca del 30% maggiori anche se i ricercatori ricevono lo stesso!

  4. quincy

    Per ora la lingua ufficiale è l’italiano, e mi sembra sacrosanto usarlo. Voglio vedere quando i docenti (o, più correttamente, i loro schiavi) dovranno tradurre in vicentino, ferrarese, bergamasco, nocerino, nuorese…

  5. Lorenzo M. Giordano

    Sono contrario al messaggio di Jappelli. Casomai il buon senso vorrebbe che si scrivessero i progetti in italiano, invece di perdere tempo a tradurli in inglese (spesso infatti il livello di inglese dei ricercatori italiani è pessimo)… Si tratta di fondi di ricerca nazionali, non si vede a cosa serva tradurli in inglese. Un professore straniero che valuti un progetto di ricerca sulla filosofia di Gramsci, ad esempio, senza conoscere l’italiano è una contraddizione in termini.

  6. Dario Quintavalle

    I’m a Senior Executive in the Italian Civil Service (Ministry of Justice), therefore a member of that beleaguered "bureaucracy" that commonplaces want completely unable to use foreign languages or IT tools. As many of my colleagues, I’m perfectly at ease with English; still I believe it is only normal that Italian nationals, dealing with Italian institutions, should make use of the national and official language. Besides, IMHO, many University professors could only benefit from excercising their Italian, which is sometimes pompous and atrocious.

  7. ormaistanco35

    Un tempo vigeva il detto che la sentinella sulla porta delle caserme servisse a tener lontani la logica e il buon senso. Questo compito, con buona probabilità, è lasciato ai commessi di Montecitorio: sono talmente strapagati che è parso giusto dar loro un po’ di lavoro in più! Ad aumentare la dose delle assurdità si aggiunge la scarsa preparazione e la poca volontà di darsi da fare dei nostri governanti già così stressati da 10 ore di impegno settimanale.

  8. D. Moro

    Ma dipende da settore a settore… Certo far scrivere il progetto in inglese in settori quali filosofia o diritto mi sembra una forzatura. Esistono pero’ settori in cui dovrebbe essere obbligatorio scrivere in Inglese, non perche’ siamo per la colonizazione linguistica , ma perche’ la ricerca scientifica e’ anche scambio d’idee non solo a livello nazionale. Pensiamo ad economia, matematica, fisica, medicina… In questo caso sono perfettamende d’accodo con Tullio Jappelli; tradurre il progetto in italiano e’ una perdita di tempo. A me sembra che il vero problema sia che alcuni personaggi (che si atteggiano a baroni) non sanno spiccicare una parola d’inglese. Per questi presentare il progetto solo in inglese sarebbe un modo per: 1) dimostrare quanto sono ignoranti 2) far ridere chi deve valutare i progetti Ps… Magari fra 20 anni scriveremo i progetti di ricerca in Cinese.

  9. Umberto Cherubini

    D’accordo con Tullio Jappelli, che interpreto come una sola lingua. Sono esausto di compilare moduli in due lingue. Se ne scelga una. Se sia meglio l’inglese o l’iitaliano non so. Riporto un passo della relazione di valutazione che ho ricevuto l’anno scoro: "Benché il gruppo è adeguato all’ottenimento dei risultati preposti e presenta le competenze necessarie…". Propongo che le valutazioni vengano redatte in inglese o in alternativa valutatori come questi vengano costretti a sciacquare i panni in Arno (con loro dentro, preferibilmente).

  10. amedeo

    Pur essendo del tutto incondivisibile la (a)-politica perseguita dal Ministro, non mi pare ci sia stato un taglio ai fondi per il finanziamento della ricerca. Fino al bando 2008 il 30% della quota di cofinanziamento era rappresentato da fondi già a disposizione del ricercatore che s’impegnava a destinarle per la realizzazione del progetto. Oppure, in alcune Università (per esempio la Federico II), da Dipartimenti o Poli che ‘premiavano’ con risorse d’Ateneo i gruppi di ricerca che riuscivano a ottenere l’approvazione del progetto. Di fatto, data la carenza di fondi propri e i progressivi tagli, si utilizza l’espediente di cofinanziare il progetto con risorse ‘virtuali’ che l’Ateneo sosterrebbe comunque. A me sembra una misura che consente anche a gruppi di ricerca poveri di risorse proprie, di partecipara al PRIN.

  11. anonimo

    Io penso che la regola di buon senso di cui Jappelli parlava sia dettata dal fatto che le ricerche (si spera siano di sufficiente dignitá) verranno pubblicate in inglese e soprattutto si inseriscono all’interno di una letteratura, di una critica, di papers (mi sia concesso) tutti in inglese. Questo é vero che piaccia o no… Quindi sembra alquanto immediato che la proposta di ricerca sia possibile scriverla in inglese.

  12. Luca Valerio

    Volevo aggiungere un dettaglio: i Paesi anglofoni non solo non spendono nulla per traduzioni/apprendimento inglese, ma sulla loro lingua lucrano. Qualcuno ha mai provato a calcolare l’incidenza sul PIL britannico della vera e propria marea di adolescenti che, sin dal secondo dopoguerra, viaggiano ogni anno verso il Regno Unito, pagando profumatamente istituzioni grandi e piccole che erogano corsi di inglese, oppure soltanto facendo i ragazzi au pair, ma in entrambi i casi spendendo e pagando tasse per periodi che vanno da un fine settimana a sei mesi? Diamine, se l’italiano fosse altrettanto popolare avremmo varie migliaia di disoccupati in meno fra i laureati in lettere, che potrebbero insegnare italiano all’ipotetica marea di studenti. Più nel merito dell’articolo, non capisco perché sia necessario tradurre dall’italiano all’inglese: direi che se il progetto originale è in inglese si traduca in italiano, se l’originale è in italiano si può lasciare così. Comunque, non sono in disaccordo con Jappelli: patriottico usare l’italiano, ma incaponirsi rende il sistema economico, lo Stato e i nostri figli più ignoranti e più poveri.

  13. AM

    Sono d’accordo con l’autore e anche con il fatto che l’Inghilterra in primis, ma anche altri paesi anglofoni, indubbiamente godano di una serie di vantaggi competitivi a livello internazionale. Ne beneficiano le esportazioni, la ricerca, il turismo. Si ottengono posti di lavoro sia in patria che all’estero: infatti si esportano docenti di lingua inglese, interpreti e traduttori che vanno ad occupare posti ben remunerati.

  14. Andrea Graziani

    Penso che sfugga ai più che i progetti PRIN, almeno la stragrande maggioranza di quelli che non riguardano materie intrinsecamente legate alla lingua italiana, sono valutati dalla comunità scientifica internazionale. Da qui la necessità che il progetto sia scritto in inglese, la moderna koinè, che ci piaccia o meno. Ovviamente mi auguro fortemente che il mio progetto NON sia valutato da un collega, italiano o straniero, che non sappia leggere l’inglese! Che razza di scienziato sarebbe! Quindi è sacrosanto il punto dell’autore…. Perchè mai dovremmo tradurre il progetto in italiano, visto che la comunità scientifica italiana scrive normalmente in inglese?Scriviamo in inglese gli articoli, i progetti Telethon, quelli dell’Associazione Italiana per la ricerca sul Cancro , i progetti per le principali Fondazioni bancarie e anche le tesi di dottorato! La versione italiana del PRIN serve veramente solo per soddisfare un generico puntiglio patriottico della nostra amministrazione.

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