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L’IMMOBILISMO CHE COSTA CARO

L’Europa si trova ad affrontare contemporaneamente tre sfide: politica fiscale, competitività e fragilità del sistema bancario. Proprio il timore che la crisi si propagasse alle banche di tutta la zona euro ha indotto l’Unione Europea e la Bce ad approvare il piano di salvataggio della Grecia, senza arrivare alla ristrutturazione del debito. Ma serve una pulizia generale che permetta di accettare anche l’eventualità di un default di debito sovrano. Metterebbe anche le basi per creare un sistema credibile di supervisione di livello europeo, sempre più indispensabile.

 

La crisi esistenziale nella quale si trova coinvolta l’Unione Europea è il risultato di tre sfide simultanee. La più visibile è quella fiscale: diversi Stati membri hanno gestito male le loro finanze, ma il sistema di policy dell’eurozona non ha avuto gli strumenti per contrastare il loro autocompiacimento. La seconda sfida riguarda la competitività: le bolle immobiliari e una congiuntura internazionale favorevole hanno mascherato una perdita di capacità competitiva dei paesi dell’Unione che ora richiede dolorose riforme strutturali, come la liberalizzazione del mercato del lavoro e la rottura dei vincoli corporativi sul settore dei servizi. Ma altrettanto importante è la terza sfida: la fragilità del sistema bancario europeo, che è stata al centro di drammatici sviluppi politici fin dall’inizio di maggio.

UN SISTEMA FRAGILE

La paura del contagio è la ragione principale che ha indotto Europa e Fondo monetario internazionale a salvare la Grecia senza arrivare a una ristrutturazione diretta del debito. Se si fosse optato per la rinegoziazione del debito greco, sarebbe stato impossibile per Spagna, Portogallo e altri paesi rifinanziarsi a condizioni ragionevoli, ma altrettanto preoccupante sarebbe stato il potenziale contagio tra le banche. Gli istituti esposti al rischio debito greco avrebbero potuto diventare insolventi, provocando un terremoto nel sistema simile a quello causato da Lehman nel 2008. Il blocco apparente dei mercati interbancari alla fine della prima settimana di maggio è il fatto che più di ogni altra cosa ha spinto i capi di governo dell’area euro e la Banca centrale europea a prevenire il panico sui mercati annunciando un gigantesco piano di sostegno da 500 miliardi di euro, cui si aggiungono i 250 miliardi stanziati dall’Fmi.È almeno dal fallimento di Lehman che il sistema bancario europeo si trova in uno stato di estrema fragilità. Le immissioni di liquidità che ne sono seguite hanno avuto un effetto secondario perverso: hanno incoraggiato le banche più deboli a sovra-investire in debito ad alto rendimento, come quello della Grecia. Se le banche avessero iniziato il 2010 con bilanci più solidi, i capi di governo avrebbero potuto prendere in considerazione altre ipotesi, compresa la ristrutturazione del debito greco (che resta comunque una eventualità possibile), i cui costi avrebbero potuto essere minimizzati se congegnata per tempo.
Per la verità, alcune banche europee hanno ottimi bilanci, ma la forza del sistema nel suo complesso si giudica dai suoi anelli più deboli, e in questo caso non sappiamo neanche quali siano.
Una lezione chiara che ci viene dalle crisi bancarie sistemiche del passato è che possono essere risolte solo attraverso un processo di analisi che consenta di individuare in modo esplicito quali sono le banche sotto-capitalizzate. Se poi il mercato non può dare loro i capitali aggiuntivi di cui hanno necessità, sono i governi a procedere alla loro ristrutturazione.
Un anno fa gli Stati Uniti hanno condotto stress test pubblici sulle loro banche principali, aprendo la strada a un’ondata di ricapitalizzazioni di mercato che è considerata oggi come un importante successo politico. Purtroppo, l’Europa non ha fatto niente di simile, per una serie di ragioni. I leader politici, anche quelli di paesi chiave come la Francia e la Germania, sono “catturati” dai vertici dei sistemi bancari nazionali, a loro volta pronti a tutto pur di garantire la propria esistenza. E inoltre quegli stessi leader politici hanno adottato una retorica anti-finanza e anti-mercato che ora rende assai difficile spiegare agli elettori come si possa riportare solidità nel sistema bancario. Intanto, le autorità nazionali di vigilanza sono restie a riconoscere le loro macroscopiche mancanze nell’attività di supervisione del decennio passato.
Inoltre, il nazionalismo economico, unito alla struttura legale dell’Unione Europea, fa temere alle autorità nazionali che rivelare le pessime condizioni di alcuni “campioni” bancari nazionali possa farli diventare l’obiettivo di tentativi di acquisizione da parte di banche “straniere”. In parte anche per queste ragioni, per essere efficace, il necessario processo di analisi e ristrutturazione dovrebbe essere condotto a un livello sovra-nazionale.

UNA RIFORMA URGENTE

Ma sulla base degli attuali trattati, le istituzioni europee non hanno la possibilità di prendere quelle decisioni effettive che le renderebbero capaci di difendere in modo efficace il bene comune europeo contro la somma degli interessi particolari, nonostante gli sforzi della Banca centrale europea, che non ha doveri di vigilanza, e della direzione alla concorrenza della Commissione europea, che può intervenire solo su casi singoli di aiuti di Stato, ma non ha un mandato prudenziale per l’intero sistema. L’anno scorso Barack Obama ha sottolineato che “l’interazione politica in Europa non è molto diversa da quella del Senato americano (…) Ognuno ha un interesse particolare da difendere e una sua particolare politica”. Ecco, solo una effettiva azione centralizzata può ristrutturare il sistema bancario, un processo che implica molte scelte difficili che il diplomatico sistema decisionale dell’Unione Europea si è dimostrato incapace di produrre.
L’Unione Europea deve riuscire a fare una rapida pulizia nelle sue istituzioni finanziarie in modo da renderle capaci di affrontare anche l’eventualità di un default di debito sovrano e in modo da preparare il terreno a un sistema credibile di supervisione di livello europeo, senza il quale l’aspirazione a costruire un mercato integrato non può essere soddisfatta.
La riforma del sistema bancario è urgente quanto l’aggiustamento fiscale e importante per la stabilità quanto l’incremento del potenziale di crescita dell’Europa e la revisione del sistema di politica fiscale. In particolare, se non si arriva a una ristrutturazione completa del sistema bancario prima che si concludano i tre anni del nuovo meccanismo di stabilizzazione, le conseguenze potrebbero essere gravissime. E l’orologio è già partito.

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NIENTE INGLESE, SIAMO BUROCRATI

  1. Giovanni

    Più che ritorno ad una crisi finanziaria (crisi? o meglio redistribuzione dei rendimenti finanziari data l’equivalenza dei saggi di profitto) l’UE deve affrontare una questione prettamente politica.

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