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ALLA RICERCA DELLA CREDIBILITÀ PERDUTA

Le agenzie di rating sono da tempo sotto accusa. Perché hanno sopravvalutato di proposito titoli di dubbia e spesso scadente qualità. In questi giorni, poi, hanno bocciato il programma di riforme della Grecia ancor prima che fosse reso noto, aggravando la crisi del paese. Tutta colpa del conflitto di interessi che le attanaglia, si sostiene da più parti. In realtà, non svolgono neanche la funzione di stabilizzare il mercato, offrendo informazioni tempestive agli investitori. E di questo dovrebbe tener conto la nuova regolamentazione.

Nei giorni scorsi ha suscitato forti critiche la bocciatura da parte dell’agenzia di rating Standard & Poor’s del programma di riforme della Grecia, avvenuta ancor prima che questo fosse reso noto. È stato anche sottolineato il doppio binario del metro di giudizio usato dalle agenzie, molto critiche nei riguardi di questo paese, ma ben più accondiscendenti con le banche di investimento. Più o meno negli stessi giorni erano stati resi noti i risultati dell’inchiesta sulle agenzie di rating condotta per conto del Senato americano. Ne è emerso come le agenzie abbiano sopravvalutato di proposito titoli di dubbia (spesso scadente) qualità. In entrambi i casi – per la Grecia ora come per le banche in precedenza – tali comportamenti vanno a danno degli investitori e della stabilità del mercato. Ma siamo sicuri che il conflitto d’interesse sia il solo difetto dei rating? In realtà ci sono elementi per ritenere che se anche questo venisse risolto, i rating non svolgerebbero in modo adeguato la funzione di offrire informazioni tempestive agli investitori.

IL CONFLITTO D’INTERESSE

Le cosiddette “tre sorelle” – Moody’s, Standard&Poor’s e Fitch – detengono complessivamente una quota pari all’85 per cento circa del mercato internazionale del rating. Per rendere l’idea del volume di affari coinvolto, Moody’s nel 2009 ha dichiarato utili per quasi 1,8 miliardi di dollari. Il mercato del rating è stato definito come un “monopolio condiviso”, in cui l’accesso da parte di nuovi soggetti è ostacolato da barriere sia di tipo naturale, che legate alle complesse procedure regolative. (1)
Le agenzie di rating, inoltre, vengono pagate dagli stessi soggetti di cui devono valutare la qualità. Prima di mettere titoli di debito sul mercato, gli emittenti contattano le agenzie di rating e ricevono un giudizio in forma riservata. Se la valutazione piace, pagano l’agenzia. Se invece il rating ottenuto non li soddisfa, non sono tenuti a pagare e possono rivolgersi a un’altra agenzia. Questo meccanismo dà origine a un palese conflitto d’interessi: quando l’arbitro è pagato da una delle squadre è difficile immaginare che sia neutrale.
Lo straordinario sviluppo della finanza strutturata negli anni precedenti la crisi finanziaria del 2008 ha acuito il problema. A fronte delle difficoltà nel valutare titoli strutturati, le agenzie hanno concesso con facilità rating molto alti, al punto che le senior tranches dei mutui cartolarizzati erano spesso catalogati “tripla A”. Secondo Prometeia, il 60 per cento di questi titoli è oggi finito sotto la soglia della “tripla B”. (2)

RATING E VALUTAZIONE DEI RISCHI

Che vi sia un conflitto di interessi, e che questo influisca sulla valutazione delle agenzie, appare dunque evidente. Ma è il solo difetto?
Per tentare di capire se un cambiamento del rating di un emittente informi o meno il mercato, ho condotto un event study relativo ai downgrades (revisioni al ribasso del rating). Come indicatore di mercato ho utilizzato gli spreads dei Credit Default Swap. I Cds sono una sorta di assicurazione contro il default di un emittente di debito; gli spread sono il prezzo che deve essere pagato per assicurarsi. Dal momento che gli spread crescono al deteriorarsi della qualità del credito, è possibile trarne delle probabilità implicite di default. (3)
Nel grafico sono riportati i risultati del confronto rating-probabilità di default.Il punto “0” rappresenta il giorno dell’abbassamento del rating. Se i rating contenessero informazioni nuove per i mercati, ci si aspetterebbe un aumento delle probabilità di default in seguito all’abbassamento. Invece raggiungono il valore massimo circa un mese prima del downgrade, mentre non reagiscono in alcun modo all’annuncio da parte delle agenzie. Questo indica che i rating non comunicano informazioni nuove al mercato, bensì reagiscono a cambiamenti già avvenuti nella percezione del rischio. (4)
Le agenzie sostengonoche la loro funzione prioritaria è quella di stabilizzare i mercati: sarebbe per tale ragione che non reagiscono prontamente al variare della qualità del credito. Ma se consideriamo il recente declassamento della Grecia da parte di S&P, oppure il caso islandese dell’anno scorso, l’impressione è che che i rating contribuiscano più all’instabilità dei mercati che alla stabilizzazione.
Se è così, le proposte di riforma dovrebbero tenere più conto di questa dimensione del problema e non solo del conflitto di interesse su cui si concentra generalmente l’attenzione.

(1) Descritte molto bene da Partnoy (1999, 2001).
(2) La finanza strutturata ha conosciuto una crescita esponenziale e in pochi anni è divenuta la prima fonte di reddito per le agenzie di rating. Nel 2007, il 52 per cento dei profitti di Fitch e il 35 per cento circa dei profitti di Moody’s derivava dal rating di prodotti strutturati. Paul Krugman ha sostenuto che nel caso degli Mbs, la percentuale di titoli scesi al di sotto della soglia investment grade sale al 93 per cento (“Berating the raters”, New York Times, 25 aprile 2010).
(3) Si veda l’articolo di l’articolo di Umberto Cherubini su lavoce.info del 30 aprile 2010. La metodologia da me utilizzata è stata sviluppata da Hull e White (2000) e Cherubini (2006).
(4) Ho utilizzato le serie storiche di long-term rating, outlooks e review for up-downgrading fornitemi da Fitch e Moody’s. Il campione è costituito dalle 20 maggiori banche internazionali per capitalizzazione di mercato. Nella figura (1) riporto la media settimanale delle probabilità di default cumulate a sette anni per tutti gli eventi di downgrade presenti nel mio campione (26) nei giorni precedenti e seguenti l’evento.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

10 commenti

  1. stefano mengoli

    E’ sbagliato il test condotto o meglio non conclusivo per capire il vero ruolo svolto dalle agenzie…. l’analisi va fatta sulle imprese su cui non è stato abbassato il rating (o meglio non si è avuta alcuna conseguente informazione in tale senso) nonostante una pari variazione del CDS precedente quale quella evidenziata in figura. Mi sembra infatti che dal grafico potrebbe emergere invece la stabilizzazione. Poi farei un’analisi di volatilità (metodi GARCH etc). Ci sono già diversi studi accademici in proposito.

    • La redazione

      In realtà l’event study è volto ad individuare il contenuto informativo dei downgrades, non a testare se le agenzie stabilizzino o meno i mercati. Pertanto, sono d’accordo che dallo studio non emerge se le agenzie svolgano tale ruolo oppure no. Piuttosto, esso mostra come i CDS anticipino ampiamente (in media) le revisioni da parte delle agenzie. Nell’articolo avanzo l’ipotesi che talvolta le agenzie possano destabilizzare i mercati, ma mi riferisco allo specifico caso dei paesi sull’orlo di una crisi sovrana, come la Grecia in questi giorni.

  2. giovanni papiro

    Condivido dell’articolo. Infatti anche considerando altri ben noti passati casi di fallimento (precedenti alla crisi del 2008), Enron, Parmalat, etc. i downgrade sono avvenuti in rapida successione a poca distanza dalla dichiarazione di fallimento delle società, sebbene il deterioramento deidati fondamentali delle società fosse piuttosto evidente ben prima, in questi casi i prezzi di borsa anticipavano gli eventi ed erano le agenzie di rating a seguire. Piuttosto vorrei evidenziare un’altra lacuna “tecnica” delle agenzie. la questione è che i rating costituiscono solo dei giudizi (dalla formulazione piuttosto scivolosa) sul merito creditizio e non delle misure quantitative del grado di rischio di un titolo o di una società. le agenzie di rating dovrebbero invece fornire delle loro stime delle probabilità di default. la sola misura in grado di dare indicazioni utili a valutare l’adeguatezza dei rendimentio dei titoli. Questo permetterebbe anche di poter valutare meglio la qualità dei giudizi delle agenzie di rating nel tempo.

    • La redazione

      In principio sono d’accordo con lei. Osservo, tuttavia, che indicatori quantitativi sarebbero davvero utili solamente se fossero rese note le procedure con cui le agenzie li calcolano. Ma a quel punto, un software non potrebbe svolgere lo stesso ruolo? La specifità del rating è proprio la sua flessibilità, e ritengo sia una delle chiavi del suo successo. Un esempio istruttivo è il caso di AIG nel 2008: le agenzie hanno atteso a declassare la società sotto pressioni del governo federale USA, che stava mettendo a punto un piano di salvataggio. L’esempio è discusso nell’articolo di Bigelli e Mengoli su lavoce.

  3. Marco Grimaldi

    Nei bull markets che, tutto sommato, sono durati un decennio con pochi scossoni nel mercato delle ABS, gli investitori hanno a mio avviso rinunciato in larga parte a svolgere autonome analisi di rischio (tecnico e fondamentale) sui loro investimenti, basandosi sulla capacita’ previsiva del rating. Questo ha a sua volta (a) contribuito a elevare la correlazione tra i portafogli di investimento, (b) gonfiato oltre ogni accettabile misura il ruolo e la funzione delle agenzie: ritengo che esse siano utili ma esclusivamente come soggetti divulgatori di “second opinion” (spesso derivate da analisi di massima con criteri di valutazione generici) e (c) generato opportunita’ di profitto per i pochi che hanno avuto la possibilita’ (e il coraggio) di scommettere contro il rating. Vale la pena per qualsiasi risk-taking institution riprendere a far di conto per calcolare il proprio rischio ed evitare di delegare tale funzione all’esterno. Per motivi analoghi, mi pare controproducente da parte degli organi regolamentari assegnare alle agenzie un ruolo di rilievo nella definizione dei requisiti patrimoniali delle banche.

    • La redazione

      Condivido le sue considerazioni. Il ruolo del rating nel calcolo dei requisiti patrimoniali delle banche non mi convince, in particolare perchè ha consentito un "rating arbitrage", che viene descritto molto bene nel libro a cura di Barucci e Messori "Oltre lo shock". Tuttavia, la regolamentazione del rischio di credito è importante, in particolare per il caso degli investitori pubblici, spesso male informati e con incentivi ad assumersi alti rischi in cambio di alti rendimenti di breve periodo senza preoccuparsi del medio lungo termine (si veda per esempio la vicenda di numerosi comuni italiani).

  4. PDC

    Aruspici, maghi, cartomanti, agenzie di rating fanno parte della stessa corporazione professionale. Hanno metodi e finalità equivalenti e basano il loro successo sugli stessi presupposti psicologici.

  5. Valerio Filoso

    Non si può sostenere contemporaneamente che le notizie fornite dalle agenzie di rating includono informazioni vecchie e già incorporate nei prezzi dei titoli, ma anche che le stesse notizie alimentano l’instabilità dei mercati finanziari. Il punto centrale, tuttavia, è un altro: anche date tutte le asimmetrie informative e i casi notevoli di moral hazard che si sono verificati nel recente passato, se i mercati continuano a prestare una (relativa) fede ai rating, vuol dire che le informazioni alternative vengono considerate meno veritiere. E questo dovrebbe far riflettere sulla credibilità delle affermazioni dei leader politici europei sul reale stato delle finanze pubbliche. Prima di cercare di regolamentare ulteriormente le agenzie (mentre sarebbe invece auspicabile una maggiore competitività) bisognerebbe cercare di capire come imporre alla contabilità pubblica europea degli standard di trasparenza che ora alimentano, questi sì, la confusione e l’instabilità.

    • La redazione

      Ritengo che il rating creditizio non contenga informazioni nuove per i mercati, come mostra il risultato della mia analisi empirica, e come è stato rilevato da molte altre ricerche (ad esempio Hull et.al. (2004)). Tuttavia, l’analisi delle revisioni del rating di paesi sull’orlo di una crisi sovrana è più complessa. Una decisione delle agenzie, in passato, è stata la miccia che ha fatto esplodere la crisi (penso in particolare al caso dell’Islanda lo scorso anno). Credo che le agenzie, in questi casi, svolgano un ruolo delicato e con ampie conseguenze politiche. Dunque – probabilmente – non immune da pressioni politiche. La decisione di abbassare il rating della Grecia prima ancora che fosse reso noto il piano di salvataggio ne è un esempio lampante. Non ritengo che questa decisione contenga nuove informazioni, se non una bocciatura preventiva di una soluzione politica della crisi, pertanto non vedo la contraddizione con la mia conclusione precedente.

  6. Bruno Stucchi

    “Le previsioni economiche hanno il solo scopo di rendere rispettabile l’astrologia”.
    Keynes.

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