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LA SOLUZIONE È NEL FONDO

L’articolo 125 del Trattato svolge un ruolo fondamentale: vieta qualsiasi aiuto a un governo che non possa far fronte ai suoi obblighi e indica chiaramente che le difficoltà finanziarie di un paese devono restare un problema locale. Con la crisi greca il Patto di Stabilità ha invece dimostrato ancora una volta la sua inefficacia. Per uscire da questa grave situazione, l’Unione deve rispettare la clausola di non-salvataggio e imporre finalmente la disciplina di bilancio. E la Grecia può ricorrere al Fondo monetario internazionale per ristrutturare il suo debito.

Dopo la Grecia, il Portogallo. Dopo il Portogallo, la Spagna. E dopo la Spagna, l’Italia? Il gioco al massacro sembra continuare. Bisogna temere per l’euro, allora? Non è detto: il Trattato di Maastricht aveva previsto la situazione in cui attualmente ci troviamo e prescrive la soluzione adatta. A Maastricht bisognava scegliere tra un’Unione imperfetta e nessuna Unione e, ovviamente, si è scelta la prima soluzione. Quali le conseguenze?

L’ARTICOLO 125

La più importante è quella più ovvia. Poiché ogni paese è sovrano, è totalmente responsabile della sua politica fiscale. Se un paese sceglie l’indisciplina di bilancio, accumulerà per forza di cose un debito troppo pesante per potervi far fronte. Senza moneta comune, i mercati finanziari svolgono una funzione utile e positiva, anche se ciò può sembrar strano: manifestano in anticipo il loro nervosismo e, così facendo, costringono la moneta a svalutarsi e impongono tassi d’interesse sempre più alti. Se il governo ignora imprudentemente quei segnali, dovrà prima o poi affrontare una crisi finanziaria: il tasso di cambio precipiterà e il fallimento diverrà inevitabile. Ma, in un regime di unione monetaria, questi segnali sono attutiti. Non si può premere sul tasso di cambio e inoltre i tassi di interesse variano poco, fino a che i mercati non danno segnali di panico. È così possibile lasciare salire vertiginosamente il debito, fin quando non sarà troppo tardi e i mercati scateneranno brutalmente la modalità-panico. L’unione monetaria crea l’illusione di una protezione.
L’illusione può essere però ancor più grave, quando il governo in questione non ha più scampo e può rivolgersi ai suoi colleghi e dire: “Se fallisco, ciò si ripercuoterà sulla nostra moneta comune e tutti i nostri tassi d’interesse rischiano di salire; per evitarlo, aiutatemi”. Un simile scenario è stato perfettamente descritto una quindicina d’anni fa e se ne è tratta una saggia conclusione, vale a dire l’articolo 125 (1) del Trattato europeo, comunemente chiamato articolo di non-salvataggio (no bail-out clause), il quale recita:
«L’Unione non risponde degli impegni presi da amministrazioni centrali, autorità regionali o locali, altre autorità pubbliche o altri organismi e aziende pubbliche di uno Stato membro, non si accolla i loro oneri, senza per questo pregiudicare le rispettive garanzie finanziarie per la realizzazione di uno specifico progetto comune. Uno Stato membro non risponde degli impegni presi da amministrazioni centrali, autorità regionali o locali, altre autorità pubbliche o organismi e aziende pubbliche di un altro Stato membro, né se ne accolla gli oneri, senza per questo pregiudicare le rispettive garanzie finanziarie per la realizzazione di uno specifico progetto comune».
Questo articolo svolge un ruolo fondamentale, dal momento che vieta qualsiasi aiuto a un governo che non possa far fronte ai suoi obblighi. Ha appunto la funzione di scoraggiare i governi dallo speculare su un salvataggio collettivo e indica chiaramente che le difficoltà finanziarie di un paese devono restare un problema locale. Purtroppo, taluni hanno creduto che la clausola potesse essere aggirata e hanno proposto di aggiungere ciò che poi è divenuto il Patto di Stabilità. Il Patto instaura un limite del 3 per cento per i deficit e del 60 per cento per i debiti. A parte il carattere arbitrario dei limiti, oggigiorno assolutamente surreali, il Patto non dispone di alcun mezzo per farli rispettare. Se, in effetti, gli Stati sono sovrani in materia di bilancio, nessuno può imporgli alcunché. Consapevoli della loro impotenza, gli autori del Patto hanno allora inventato un sistema di sanzioni finanziarie: un paese che viola il Patto deve pagare un’ammenda pari allo 0,5 per cento del Pil. A parte il carattere simbolico che assume un’ammenda inflitta a uno Stato – provvedimento che ricorda da presso le sanzioni imposte ai paesi che perdevano le guerre – si può facilmente arguire come un’ammenda dello 0,5 per cento non possa certo spaventare un paese come la Grecia, il cui deficit è di circa il 13 per cento.
La conclusione è che la clausola di non-salvataggio è un pilastro fondamentale dell’Unione monetaria e che il Patto di Stabilità è un’illusione ottica, il cui più grave difetto consiste nel relativizzare la suddetta clausola. A questo punto, cosa succede? Gli eventi danno ragione agli scettici. Il generoso slancio di solidarietà dei governi della zona euro ha fatto andare in frantumi la clausola di non-salvataggio e il Patto di Stabilità ha dimostrato, ancora una volta, la sua totale inefficacia.

IL FUTURO DELL’UNIONE MONETARIA

Dobbiamo affermare allora che l’Unione monetaria è gravemente indebolita, anzi in via di disgregazione? Troppo presto per dirlo. Immaginiamo innanzitutto uno scenario nero. Il Trattato viene violato in favore della Grecia. Se poi il Portogallo chiedesse lo stesso trattamento, come rifiutarlo? E poi la Spagna. Ma in questo caso l’osso sarebbe davvero troppo grosso da ingoiare. La Germania a quel punto, spaventata dal costo esorbitante di tutti questi salvataggi, potrebbe lasciare l’euro (contrariamente a quanto in genere si pensa non si può espellere un paese), seguita a sua volta da molti paesi del Nord Europa. Fine vergognosa di un’esperienza di moneta unica e fine calamitosa, perché il nuovo Deutschemark sarebbe a quel punto sopravvalutato, strozzerebbe le esportazioni tedesche e la difficile ripresa economica in corso, mentre dal canto loro i paesi indebitati non potrebbero più pagare i loro debiti.
Proviamo ora invece a immaginare uno scenario più virtuoso, che rispetti la clausola di non-salvataggio e riesca finalmente a imporre la disciplina di bilancio. Per realizzare una simile ipotesi bisognerebbe innanzitutto abbandonare il progetto di aiuto collettivo, lasciando che la Grecia organizzasse, per conto suo, con il Fmi uno scaglionamento ordinato del suo debito pubblico. Il Fondo sa come fare e sa farlo bene. Idem, qualora il Portogallo si trovasse nella medesima situazione. Idem, per la Spagna e per gli altri. Uno scaglionamento dei debiti bene organizzato non ha nulla di traumatico, prevede un periodo di grazia, negoziata con i creditori (privati), con o senza penalità. Così le perdite dei creditori sono limitate. Se così fosse, in futuro la clausola di non-salvataggio avrebbe già superato con successo il suo primo test e la lezione sarebbe stata appresa: nell’Unione monetaria non si può scherzare con la disciplina di bilancio. A quel punto basterebbe sostituire il Patto di Stabilità con un impegno simile a quello che la Germania ha adottato l’anno scorso: inserire nella Costituzione l’esigenza di un deficit pari a zero. Questioni tecniche a parte, tutto ciò è possibile ed esiste già in molti stati federali.
La posta in gioco è altissima per la moneta comune. I governi devono urgentemente tornare ai “fondamentali”, cioè al Trattato e alla clausola di non-salvataggio, e smettere di credere che il volontarismo politico permetta di risolvere i problemi economici di base.

(traduzione di Daniela Crocco)

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

  1. mirco

    Se il futuro è solo quello dell’unione monetaria l’autore dell’articolo può avere ragione ma per me il futuro in gioco è quello dell’europa e dei suoi popoli. Pertanto La soluzione è Una Unione Politica oltre che economica e Fiscale . Con ciò la soluzione sarebbero dei Bond Europei.

  2. Enrico Motta

    Il rapporto deficit/PIL è una cosa senza senso; al numeratore c’è un dato della contabilità dello Stato e al denominatore un dato del Paese, non dello Stato. Sarebbe come se una azienda, invece di calcolare deficit/fatturato, calcolasse deficit/PIL. Semmai bisognerebbe basarsi per le finanze pubbliche sul rapporto deficit/entrate statali, o, meglio ancora sul valore assoluto del deficit. Allora ci renderemmo conto a quale velocità si viaggia verso la bancarotta, e forse ci si fermerebbe prima, introducendo l’obbligo del pareggio di bilancio.

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