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NEANCHE LE COOPERATVE SOCIALI SONO PERFETTE

Le cooperative sociali italiane sono una realtà che coinvolge migliaia di organizzazioni e lavoratori. E’ un settore in costante crescita, ma non mancano le ombre. A partire dal basso livello degli stipendi, dovuto in parte alle aste al massimo ribasso indette dalle amministrazioni pubbliche per minimizzare il costo per l’erogazione dei servizi sociali. Poi ci sono percorsi di carriera piuttosto appiattiti, che non premiano l’istruzione e penalizzano le donne. E la scarsa trasparenza di alcuni enti rischia di danneggiare la reputazione di tutti.

In Italia, le cooperative sociali coinvolgono 244mila lavoratori e 34mila volontari operanti in 7mila organizzazioni. Possono svolgere attività finalizzate all’offerta di servizi socio-sanitari ed educativi (cooperative di tipo A, le più diffuse) o all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, come i disabili fisici e mentali, gli ex-carcerati, gli ex-tossicodipendenti, e altro (cooperative di tipo B).

I NUMERI DELLE COOPERATIVE

Secondo l’ultimo censimento Istat disponibile, nel 2005 le cooperative sociali hanno prestato la propria attività a favore di circa 3,3 milioni di persone, producendo beni e servizi per 6 miliardi di euro. Rispetto ai due anni precedenti, l’incremento è stato del 19,5 per cento per numero di organizzazioni, del 26,2 per cento per numero di lavoratori e del 32,2 per cento per fatturato. La crescita tumultuosa è il frutto del livello insufficiente dei servizi sociali offerti dalle amministrazioni pubbliche (lacuna che le cooperative sociali cercano di colmare), del progressivo invecchiamento della popolazione, che genera un costante aumento della domanda, e della crescente sensibilità della popolazione nei confronti del problema dell’inclusione sociale dei soggetti svantaggiati.
Negli ultimi tempi, però, sono emersi diversi problemi. Il primo è senza dubbio il basso livello delle retribuzioni dei lavoratori, sia impiegati che dirigenti.
Un recente studio condotto con Leonardo Becchetti, basato su dati raccolti dall’università di Trento in collaborazione con altri cinque atenei italiani, mostra come nel 2006 lo stipendio medio degli impiegati (età media 37 anni, 74 per cento di donne, 30 per cento di laureati) fosse di 867 euro, 1.012 euro considerando i soli lavoratori a tempo pieno, mentre quello dei dirigenti (età media 46 anni, 47 per cento di donne, 52 per cento di laureati) era di 1.071 euro, 1.356 per il tempo pieno, escludendo i volontari. (1)
Le medie calcolate a livello nazionale nascondono però differenze marcate a livello regionale. Inoltre, come mostrato nel nostro studio, mentre i salari nominali sono più elevati nelle regioni settentrionali, una volta che si corregge per il costo della vita il salario reale è più elevato dal 5 al 9 per cento nelle regioni meridionali rispetto a quelle centro-settentrionali, che risulterebbero così ancor più penalizzate.

PERCHÉ LO STIPENDIO È BASSO

Le ragioni di un livello delle retribuzioni così basso sono varie. Innanzitutto, le cooperative sociali sono enti senza fine di lucro che si occupano dell’assistenza e del reinserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, settori che per loro natura non sono particolarmente redditizi e che dunque non consentono di corrispondere stipendi molto elevati. In secondo luogo, le cooperative sociali si trovano di fronte a un dilemma: pagare stipendi più elevati oppure erogare un maggiore numero di servizi ai bisognosi di assistenza? In sostanza, e supponendo che la qualità delle prestazioni erogate rimanga invariata, bisogna dare la priorità al benessere dei lavoratori oppure a quello degli utenti? Inoltre, a torto o a ragione, nel settore no-profit vi è la diffusa convinzione che corrispondere salari più bassi serva ad auto-selezionare i lavoratori più motivati e coinvolti nella causa sociale, mentre con salari più elevati si presenterebbe una quota maggiore di soggetti che ha a cuore soprattutto l’aspetto monetario del proprio lavoro. (2)
A ciò si aggiunga che parte della crescita poderosa delle cooperative sociali è da imputare all’intenzione delle pubbliche autorità di ridurre il costo dell’erogazione dei servizi sociali mediante l’esternalizzazione e l’assegnazione con aste pubbliche al massimo ribasso. (3) Il sistema, da un lato, ha portato all’aumento del numero di associazioni e del personale coinvolto, con conseguente crescita del ruolo esercitato dal terzo settore, ma, dall’altro, ha creato una concorrenza sfrenata tra le cooperative sociali, tutte a caccia di appalti senza i quali non possono sopravvivere. Ciò è avvenuto anche a costo di un peggioramento delle condizioni contrattuali dei propri dipendenti in termini di stipendi netti corrisposti, contributi pensionistici versati, stabilità e sicurezza del lavoro. (4)
Il sistema delle gare al massimo ribasso, in cui non si tiene minimamente conto delle condizioni dei lavoratori, della qualità del servizio o delle professionalità coinvolte, costringe le cooperative sociali a un’autodistruttiva guerra tra poveri che rischia di disgregarne il consenso alla base. Lo sciopero nazionale dei lavoratori delle cooperative sociali, che si è tenuto il 4 aprile 2008 e ha avuto una (auto-dichiarata) partecipazione dell’80 per cento, è un importante segnale da non sottovalutare.

PERCORSI DI CARRIERA

Come se ciò non bastasse, al basso livello delle retribuzioni si aggiunge un secondo problema, non meno grave del primo e messo in luce dalla nostra ricerca: la mancanza di percorsi di carriera ben definiti. Lo stipendio sembra dipendere più dagli anni di esperienza nella cooperativa che non dal livello d’istruzione: quest’ultimo, infatti, non mostra alcun effetto diretto sullo stipendio di impiegati e dirigenti. Delle due l’una: o l’istruzione non è remunerata adeguatamente, oppure per il tipo di mansioni svolte all’interno delle cooperative sociali non è necessario un elevato livello educativo. Inoltre, a parità di condizioni e mansioni svolte, le donne guadagnano meno degli uomini. Tutto ciò potrebbe generare frustrazione nei lavoratori già occupati e ridurre l’interesse nei confronti di questo settore da parte delle giovani donne neo-laureate che si affacciano sul mercato del lavoro, con conseguente danno per la qualità del capitale umano impiegato e dei servizi offerti dalle cooperative sociali. (5)
Infine, soprattutto nel Centro-Sud, vi sono svariate cooperative che operano con scarsa trasparenza o, peggio, sono delle vere e proprie scatole vuote create appositamente per accaparrare fondi pubblici. (6) Se non si vuole danneggiare la reputazione complessiva del sistema delle cooperative sociali è urgente intensificare i controlli e iniziare a punire le organizzazioni scorrette.

(1) Becchetti, L. e Castriota, S., “Wage Differentials in Social Enterprises: Education Premium and the Role of PPP Geographical Disparities”, AICCON Working Paper No. 68, scaricabile dal sito http://www.aiccon.it/working_paper_scheda.cfm?wid=184&archivio=C .
(2)La scelta tra salari più elevati e numero di prestazioni erogabili potrebbe generare un ulteriore dilemma: puntare sulla qualità del lavoro (con meno lavoratori pagati meglio) o sulla quantità di servizi erogabili (con più lavoratori pagati peggio)? Per un’analisi del ruolo svolto dalle motivazioni estrinseche (monetarie) e intrinseche (interesse per l’attività svolta, desiderio di aiutare il prossimo, ambizione personale, fedeltà all’azienda, etc.) nel settore dei servizi sociali si veda Borzaga, C. e Tortia, E. (2006), “Worker Motivations, Job Satisfaction, and Loyalty in Public and Nonprofit Social Services”, Nonprofit and Voluntary Sector Quarterly, Vol. 35, No. 2, pp. 225-248.
(3) Nel loro “The Commissioning of Human Services: the Way to Good Practices?”, 2009, Ires Piemonte, Marocchi, Brentisci e Cogno hanno rilevato come in Piemonte il 30 per cento delle gare d’appalto nel settore sia basato sul criterio esclusivo o prevalente del massimo ribasso. Inoltre, due terzi delle imprese sociali intervistate hanno denunciato l’inadeguatezza del prezzo base d’asta.
(4)Si veda l’intervista ad Anna Di Mascio, responsabile Legacoop Sociali, http://www.legacoop-piemonte.coop/DocsImgs/Docs/nuovaSocieta_1_marzo_08.pdf.
(5) Il danno per le cooperative potrebbe concretizzarsi sia in una diminuzione del numero e della qualità dei nuovi candidati a un posto di lavoro che nell’abbandono dello stesso da parte dei lavoratori migliori già impiegati.
(6) Si veda, a titolo d’esempio, il servizio di Michele Buono e Pietro Ricciardi andato in onda su Report (Rai 3) domenica 18 ottobre 2009. Emergeva che il costo totale (stipendio lordo) dei lavoratori di una cooperativa sociale che forniva servizi sanitari a un rinomato ospedale romano era più alto di quello dei lavoratori internalizzati, ma, sorprendentemente, sia lo stipendio netto che i contributi percepiti erano più bassi.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

12 commenti

  1. milena

    Scrivo dall’Emilia, terra di diritti e benessere sociale (in via di dispersione). Le cooperative sociali qui vengono utilizzate per l’assitenza degli anziani e dei bambini. Conosco in particolare il settore bambini, in quanto madre di due figlie. Il servizio comunale 0-3 e 3-6 anni termina l’erogazione del servizio alle ore 16. Dalle 16 alle 18.20 è previsto il cd "tempo lungo" gestito dalle cooperative sociali che impiegano ragazze giovani, quasi esclusivamente neolaureate, assolutamente precarie e sfruttate. Perdono il posto alla fine del mese e attendono fiduciose il mese di settembre per riavere (forse) il posto dovunque loro venga richiesto. Non scelgono la cooperava, scelgono semplicemnte di lavorare. Per me la cooperativa è diventato un sinonomo di sfruttamento, disuguaglianza e iniquità. Con il benestare delle amministrazioni pubbliche che per risparmiare due soldi, esternalizano il servizio.

  2. stefano delbene

    Meno male che c’è qualcuno che si occupa di cooperazione sociale mettendo in luce le ombre ed evitando le solite litanie apologetiche che si trovano in giro anche nella letteratura "scientifica". L’aspetto retributivo è senza dubbio uno dei principali punti critici, se non il principale, ma direi che alla base di tutto c’è il "cono d’ombra" sotto il quale il nostro mondo è stato messo. Siamo visti con sospetto dai cittadini: l’ipotesi che personale delle CS potesse in qualche modo supplire alle riduzioni di servizio scolastico imposte dall’attuale governo viene percepito da molti genitori come una sciagura. I dipendenti pubblici, a parole solidali ma di fatto interessati soprattutto a conservare i propri privilegi, ci vedono come il "cavallo di troia" che porta precariato e dequalificazione dei servizi. Se in parte tali fenomeni si sono verificati, è però un dato di fatto che, per le arcinote modalità di reclutamento delle risorse umane nelle ammnistrazioni pubbliche, il più delle volte il personale delle CCSS è più qualificato di quello della PPAA. Spero che "La voce" segua anche in futuro l’evoluzione dell’Impresa sociale.

  3. vincenzo mataluna

    Chi vi scrive si occupa di politice sociali presso svariati comuni. E’ necessario precisare che, gli stipendi bassi ai lavoratori delle cooperative percepiscono stipendi bassi, ma non per aste al massimo ribasso. In Campania l’offerta economica è uno degli indicatori, ma non il più importante per assegnare servizi. Direi che il problema fondamentale, è che la regione paga sempre con ritardi ciclopici, e questo impedisce di costruire rapporti di lavoro stabili nel tempo, inoltre i lavoratori del sociale sono ritenuti ahimé di secondo livello, e non sanno agire il conflitto.

  4. Flaviano

    Ciao Stefano poni la questione in modo molto chiaro. Gli stipendi sono bassi ma la leva salariale – posto che si possa effettivamente utilizzare – da sola non risolve la questione di come si remunerano i produttori di beni relazionali. Serve un sistema un pò più articolato fatto anche di incentivi non economici. La formazione ad esempio. Da questo punto di vista se la ricerca dicesse qualcosa in più non sarebbe male. O sbaglio? Altre elucubrazioni su http://www.euricse.eu/node/390

  5. Elena

    Buongiorno, lavoro in una coop un po’ particolare perché fa finanza solo ai propri soci che sono coop sociali (in particolare) e altre organizzazioni non profit. Sono laureata e in questa società mi occupo della parte amministrativa. Anche se la società per cui lavoro è un po’ atipica rispetto al resto del mondo cooperativo posso affermare con certezza che i bassi stipendi sono dovuti in particolar modo al fatto che un aumento di 120 euro nette mensili si traducono in un costo annuo superiore ai 3000 euro (a causa soprattuto degli oneri indiretti). Ciò sta a significare che aumenti di singoli stipendi sono una batosta sul conto economico delle coop che sono costrette a garantire prezzi bassi per ottenere gli appalti e che vengono pagate dagli enti pubblici anche oltre 18 mesi per servizi già erogati! e spesso si cercano formule più convenienti utilizzando le diverse e nuove tipologie di contratto… come tutte le società del resto.

  6. Daniela

    Ho letto con interesse l’articolo, e anche i commenti di chi opera nel settore. Io sono educatrice da 15 anni in una cooperativa sociale del veronese. Sono entrata con entusiasmo a ancora adesso ne conservo. Tuttavia, ho avuto modo di osservare ed esperire direttamente sia le pratiche di relazione con il personale che le gare di appalto con la pubblica amministrazione. A volte capita anche di perderle e per noi educatrici (siamo quasi tutte donne) "trema la terra". Si capisce bene che la cooperativa prende i fondi dalla PA e che ne è assoggettata nei tempi e modalità di erogazione.Allo stesso tempo però riconosco la retorica del basso salario in un settore dove si ha la tendenza ad anteporre la motivaizone personale al salario. è una sottile linea, e in genere si preferisce non affrontare l’argomento. La formazione è importante, ma è lasciata quasi sempre a carico della libera iniziativa e a carico economico della persona interessata. Con una qualifica in più oltre tutto, non si ottengono miglioramenti salariali. Gli incentivi non salariali quando uno stipendio è molto basso sono difficili da far accettare. richiedono ulterire sforzo senza un effettivo risultato spendibile.

  7. Mario

    Lavoro in una cooperativa sociale, in ufficio amministrativo. Riconosco la mentalità del "pagare poco è bello" e lo dico partendo dal principio che è mia responsabilità far quadrare il bilancio. Infatti, ho incontrato fino ad ora solo una cooperativa sociale che si sia informata su eventuali benefit da aggiungere al salario (che talvolta sostituiscono un aumento di stipendio con la triplicazione dei costi lordi aziendali). IIncentivi non economici sono altrettanto apprezzati ma di natura non comparabile e dovrebbero essere uniti ad un riconoscimento salariale. saluti a tutti e grazie al dott. Castriota per aver stimolato un tema importante, che da un punto di vista accademico non è mai considerato.

  8. Raffaele Croci

    Il mondo della cooperazione sociale non può essere trattato in modo univoco perché ci sono grandi differenze sia per tipologia che per dimensione. La retribuzione è considerata bassa, per di più in un contesto del mercato del lavoro italiano che non brilla certamente per lauti stipendi, e spesso anche precaria. Nell’articolo e nei commenti sono ricordati sia le aste al ribasso e che i ritardi nei pagamenti, ma ci sono altri aspetti. Il primo che vorrei ricordare è che la legge 381/1991 che disciplina le cooperative consente di fare convenzioni anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione e in questi casi non si è di fronte ad aste competitive, ma occorre fornire contropartite solitamente in termini di assunzione di persone svantaggiate indicate dall’ente pubblico. Il secondo aspetto è la frammentazione del settore con alta concorrenza per garantirsi gli appalti. Se le piccole cooperative trovassero modo di accordarsi per fare rete, centralizzando gli uffici appalti per dividersi i lavori non farebbero la guerra tra poveri e avrebbero maggiori risorse. Si dovrebbe anche parlare della capacità gestionale ma non ho altro spazio.

  9. Lorenzo Messeri

    Sono Vicepresidente e Responsabile R.U. di una coop. sociale di tipo B. Dopo 8 anni di cooperazione sociale dico che: 1) le coop. di tipo B creano occupazione per fasce di popolazione a disagio che avrebbero serissime difficoltà ad accedere al mercato del lavoro. 2) Non è scritto da nessuna parte che la coop. B si attacchi al carrozzone dell’ente pubblico per elemosinare l’appaltino o la commessina di turno. Sta nelle capacità imprenditoriali di chi dirige la cooperativa darsi un piano industriale, fare investimenti, offrire prodotti e servizi nel libero mercato sfruttando eventualmente a proprio vantaggio i costi del personale più bassi rispetto ad altri competitors. 3) Come tutte le imprese che operano nel libero mercato, anche la coop B deve: a) individuare segmenti di mercato non ancora (o poco) saturi, ovvero segmenti che spesso stanno a metà strada tra il target dell’impresa artigiana e quello dell’impresa industriale; b) offrire servizi di Qualità a prezzi di mercato; c) fare comunicazione, e farla in modo professionale (no carità, no pietismo!), rispetto al valore aggiunto "social" che la stessa è in grado di offrire ai propri clienti. Ciao Lorenzo

  10. luca

    Ho trovato molto interessanti sia l’articolo che i vari commenti di chi lavora nel settore. Concordo con Lorenzo Messeri sia sull’utilita’ delle cooperative sociali nell’impiegare personale svantaggiato,sia sul fatto che non è scritto da nessuna parte che esse debbano fare affidamento sulle commesse pubbliche per sopravvivere. Fatto sta che una gran parte di esse senza le commesse pubbliche non sopravviverebbe,altrimenti sarebbe difficile giustificare questa crescita impressionante negli ultimi anni. Va bene che la società civile è diventata più sensibile alla causa sociale (Castriota, ci sono prove in tal senso?),ma crescite a due cifre sono giustificabili solo con il tentativo delle autorità di risparmiare soldi. Inoltre, se le cooperative, come dice Messeri,devono competere sul mercato come le altre imprese, allora non dovrebbero fruire di sgravi fiscali. Per finire, la frase "sfruttando eventualmente a proprio vantaggio i costi del personale più bassi rispetto ad altri competitors" suona davvero male. Il capitalista sfrutta i bassi salari per aumentare il proprio margine di profitto, mentre la cooperativa dovrebbe creare benessere per gli utenti, i soci ed anche i lavoratori.

  11. augusto

    Il minor costo del personale è dovuto a contratti collettivi meno generosi o a pratiche che portano il socio a fare ore gratuite? Quali sono i meccanismi trasparenti e no che portano a questo fenomeno di sfruttamento?

  12. Claudio Martinelli

    Molto interessante l’articolo, che però mi pare mescoli senza adeguate distinzioni la cooperazione sociale di tipo A da quella di tipo B. Inoltre, i problemi rilevati (per la cooperazione di tipo A) sono emersi quasi 20 anni fa, e allora la situazione era peggiore! Meglio tardi che mai, ad ogni modo, che gli economisti dedichino studi scientifici a questo settore.

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