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DUE ANNI DI GOVERNO: ISTITUZIONI

L’unica riforma istituzionale sin qui iniziata è la legge delega sul federalismo fiscale, che in realtà è l’attuazione del nuovo articolo 119 della Costituzione modificato, nel 2001, dentro la riforma del Titolo V. Dico solo iniziata perché è una legge delega, i cui frutti matureranno negli anni, via via che si faranno i decreti legislativi attuativi. Il Pdl e la Lega avevano esordito con uno schema molto radicale, basato sull’idea che larga parte delle risorse restassero là dove si producono. Il Pd ha contrapposto un proprio schema organico alternativo. Il risultato complessivo ne è stato influenzato in modo significativo, tanto che il Pd si è astenuto nel voto finale sulla legge. Oltre al cambiamento dei criteri è stata decisa l’istituzione di una commissione bicamerale che seguirà da vicino l’elaborazione dei decreti e che ha avviato i suoi lavori in questi giorni. Le altre forze di opposizione hanno in larga parte condiviso questo lavoro, ma poi hanno voluto distinguersi dal Pd nel voto: l’Udc ha votato “no” e a quel punto, paradossalmente, l’Idv si è posizionata sull’unica casella rimasta vuota, il “sì” insieme alla maggioranza.
Tutto il resto rimane in un limbo, a cominciare dalla legge elettorale, dopo il fallimento del referendum del 2009. A seconda di come viene curvata la legge elettorale cambia anche il senso di tutte le altre riforme costituzionali. In realtà oltre all’interesse di Berlusconi a non cambiarla, ci sono anche incertezze del Pd. La legge attuale garantisce un obiettivo importante, quello della scelta diretta del governo, ma ne nega un altro, il rapporto tra l’elettore e il suo rappresentante. Per questo servirebbe il collegio uninominale, che garantirebbe al tempo stesso il rapporto tra rappresentanti e rappresentati e, in modo più naturale, la scelta diretta del governo da parte dei cittadini. Invece il sistema proporzionale alla tedesca recupererebbe il rapporto coi rappresentanti, ma ci farebbe regredire rispetto alla scelta diretta dei governi.
Questo è lo stato – non esaltante – dell’arte.

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  1. luigi maria porrino

    Approfondendo l’argomento connesso alla legge elettorale per coniugare la scelta dei rappresentanti con i rappresentati, insieme alla scelta del governo, direi che il sistema più democratico è quello uninominale con il doppio turno (cd. "ballottaggio") perché determina l’elezione, alla fine del processo, del rappresentante che raccoglie la maggiornaza dei consensi nel collegio. Il sistema uninominale ad un turno (cd. "secca") è già stato impiegato in Italia, anche prima del Ventennio, nell’Italia "liberale", e stante la possibilità di essere eletti con frazioni inferiori alla maggioranza, consentiva l’elezioni di tanti con metodi molto discutibili e poco democratici. Al Doppio turno si potrebbero anche collegare le primarie, se proprio si vuole dare la scelta degli eletti agli elettori (quale empietà in Italia!). Comunque, si parla troppo del sistema elettorale, da troppo tempo, e poco delle riforme che davvero sono necessarie, a partire da quelle istituzionali. In fondo il Parlamento, pensato con un’elezione diversa dall’attuale, svolge tutt’ora il suo compito e, se si analizzano i primi venti anni di Repubblica, ritroveremmo anche lì legislature con maggioranze bulgare.

  2. piero bartolozzi

    Questa mia è la proposta dell’uomo della strada. Ma resuscitare il "mattarellum",opportunamente modificato sulla base dell’esperienza fin qui acquisita, sarebbe una bestemmia? in fondo è un sistema che è stato in vigore per tanti anni e se non altro risolve il problema del rapporto diretto tra candidato ed elettori.

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