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CINQUE DOMANDE PER IL DOPO-CRISI

La crisi impone un ripensamento di alcune certezze che avevano caratterizzato la politica macroeconomica nel periodo precedente. A partire da cinque domande, che mettono a fuoco i punti essenziali su cui riflettere. Un basso tasso di inflazione è un risultato storico, ma c’è una differenza tra fissarlo al 2 o al 4 per cento? Autorità monetarie e di regolamentazione devono continuare a essere entità separate? A chi devono dare liquidità le banche centrali? Come creare maggior spazio per le politiche di bilancio nei prossimi anni? E come rendere piu’ efficaci gli stabilizzatori automatici?

Negli anni precedenti la crisi, bassa inflazione e lo smussamento del ciclo economico avevano convinto macroeconomisti e banchieri centrali dell’illusione di sapere come gestire la politica macroeconomica. Oggi, la crisi ci impone di rimettere in discussione questo assunto. In una recente IMF Staff Position Note, riesaminiamo i caratteri fondanti del paradigma di pensiero pre-crisi, cercando di individuare quelli ormai superati e quelli ancora validi. E iniziamo a delineare i contorni di un nuovo paradigma di politica macroeconomica. Proponiamo qui cinque domande, sulle quali ci sembra particolarmente importante riflettere nel dopo-crisi.
 
TARGET DI INFLAZIONE: BASSO, MA QUANTO?
 
Visti gli eventi degli ultimi due anni, e’ ora ovvio che le grandi crisi, per quanto rare, si verificano, e con forza. Durante questa crisi, si e’ partiti da un’inflazione molto bassa e dunque da tassi d’interesse nominali molto bassi. Dunque quando le banche centrali hanno tagliato i tassi nominali, questi hanno raggiunto rapidamente lo zero. E non e’ stato possibile tagliare il tasso d’interesse reale ulteriormente. Nei periodi di normalità, si dovrebbero allora stabilire obiettivi di inflazione un po’ meno bassi, in modo da garantire maggiore spazio di manovra alla politica monetaria per reagire a eventuali crisi deflazionistiche? Di quanto aumentano i costi netti dell’inflazione se la fissiamo al 4 per cento invece che all’attuale 2 per cento? È molto più difficile ancorare le aspettative al 4 per cento rispetto al 2 per cento?
Ottenere un basso tasso di inflazione grazie all’indipendenza della banca centrale è stato un risultato storico. Quindi rispondere a queste domande implica un attento riesame dei benefici e dei costi dell’inflazione. Legata a questa, c’è poi un’altra domanda: quando il tasso di inflazione diventa molto basso, si dovrebbe prendere qualche rischio in piu’ nella direzione di una politica monetaria più permessiva, così da minimizzare le probabilità di deflazione, anche se questo puo’ portare a una più alta inflazione nel caso di un rialzo della domanda inaspettatamente forte? Su questo punto si era già interrogata la Fed nei primi anni Duemila, ma come economisti dovremmo ritornare a lavorare su questi temi.
 
COME DOVREBBERO INTEGRARSI POLITICA MONETARIA E REGOLAMENTAZIONE?
 
Parte del dibattito sulla politica monetaria, anche prima della crisi, era se la interest rate rule, implicita o esplicita, dovesse essere estesa in modo da comprendere i prezzi delle attività (mercato azionario, case…). La crisi ha aggiunto alla lista altri candidati, dalla leva finanziaria delle banche alle misure del rischio sistemico. Questa, pero’,sembra la strada sbagliata per affrontare il problema. La politica del tasso di riferimento è uno strumento debole ed impreciso per affrontare gli eccessi di leva finanziaria, di assunzione di rischi o le deviazioni apparenti dei prezzi delle attività dai fondamentali. Una politica con un tasso di riferimento più alto implica un più ampio output gap.
Sono disponibili altri strumenti, che potremmo chiamare strumenti “macro-prudenziali” (a meta’ tra macroeconomia e vigilanza bancaria). Se la leva finanziaria appare eccessiva, si possono aumentare gli indici patrimoniali, se la liquidità è troppo scarsa di possono introdurre coefficienti di liquidità e se necessario incrementarli; per limitare gli aumenti dei prezzi degli immobili, si possono far scendere gli indici dei finanziamenti a valore; per limitare gli aumenti dei corsi azionari si possono alzare i livelli sulle clausole di garanzia. Se gli strumenti monetari e di regolazione si integrano, allora il sistema di regolamentazione prudenziale deve acquisire una portata macroeconomica. Ciò solleva il problema di come ottenere il coordinamento tra autorità monetarie e di regolazione e potrebbe essere necessario ribaltare la tendenza crescente a separare le due attività, con le banche centrali quali ovvio candidato al ruolo di regolatori macro-prudenziali.
 
A CHI DEVONO DARE MAGGIORE LIQUIDITÀ LE BANCHE CENTRALI?
 
La crisi ha costretto le banche centrali a estendere il raggio e la portata del loro ruolo tradizionale di prestatori di ultima istanza. Il loro sostegno nel fornire liquidità si è allargato a istituti non di deposito e sono intervenute direttamente (attraverso acquisti) o indirettamente (attraverso l’accettazione di attività in garanzia) su un’ampia gamma di attività di mercato. Perche’ non ampliare la concessione di liquidità, anche in periodi normali? Se i problemi di liquidità dipendono dalla scomparsa dei grandi investitori privati da mercati specifici oppure da problemi di coordinamento fra piccoli investitori, come nelle tradizionali corse agli sportelli, l’autorità centrale è l’unica nella posizione di intervenire.
 
COME CREARE UN MAGGIOR SPAZIO DI MANOVRA FISCALE?
 
Una lezione importante della crisi è che è opportuno disporre di un maggiore spazio di manovra per permettere, quando necessario, disavanzi pubblici più ampi. Ma quando la ripresa economica sarà avviata, l’aggiustamento di bilancio richiesto sarà imponente, alla luce della necessità di ridurre il debito proprio mentre si deve far fronte all’aumento della spesa dovuto all’invecchiamento della popolazione in termini di pensioni e salute.Tuttavia, la lezione della crisi è che i livelli di debito dovrebbero essere più bassi di quelli osservati prima della crisi. Ecco le implicazioni di policy per i prossimi dieci-venti anni: quando le condizioni cicliche lo permetteranno, sara’ necessario procedere a un importante aggiustamento di bilancio. Un’eventuale rapida crescita dell’economia dovrebbe essere utilizzata per ridurre il rapporto debito-Pil, piuttosto che per finanziare incrementi di spesa o tagli delle tasse. La ricetta per assicurarci che un’espansione dell’economia si traduca in condizioni di bilancio migliori non è nuova, ma acquista maggior rilievo dopo la crisi. Sotto questo profilo, sarebbe di grande aiuto indicare un quadro di riferimento di bilancio a medio termine, stabilire sia impegni credibili di riduzione del rapporto debito-Pil sia regole di bilancio (con clausole di riserva per le recessioni), e pubblicare non solo dati di bilancio, ma anche informazioni trasparenti sulle varie garanzie e possibili spese future intraprese dal governo.
 
QUALI STABILIZZATORI FISCALI AUTOMATICI?
 
Le misure fiscali discrezionali arrivano in genere troppo tardi per contrastare una recessione. Possiamo allora rafforzare e migliorare gli stabilizzatori automatici? Qui e necessaria una distinzione tra stabilizzatori davvero automatici – quelli che implicano un calo dei trasferimenti o un incremento delle entrate fiscali quando i redditi salgono – e regole che modificano automaticamente alcune imposte o trasferimentise si verificano alcune condizioni prestabilite legate allo stato dell’economia.
Il primo tipo di stabilizzatori automatici deriva dalla combinazione di spesa pubblica rigida ed elasticità delle entrate rispetto al prodotto prossima a uno, dall’esistenza di forme di previdenza sociale e dalla natura progressiva delle imposte sul reddito. I modi principali per ampliare il loro effetto macroeconomico sono quelli di accrescere la dimensione dell’intervento pubblico, aumentare la progressività delle imposte e rendere più generosa la previdenza sociale. Tuttavia, queste riforme sonogiustificatesolo se fondate su un più ampio sistema di obiettivi di equità ed efficienza. Il secondo tipo di stabilizzatori automatici appare più promettente.
Sul lato delle entrate, si può pensare a politiche fiscali rivolte alle famiglie a basso reddito, come un rimborso forfettario o una riduzione percentuale sulle passività del contribuente, oppure politiche fiscali rivolte alle imprese, come i crediti di imposta sugli investimenti. Sul lato della spesa, invece, si possono ipotizzare trasferimenti alle famiglie a basso reddito e con scarsa liquidità. Queste variazioni d’imposta e trasferimenti entrerebbero in azione automaticamente al superamento di una determinata soglia di una macro-variabile.

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INTEGRAZIONE A PUNTI

  1. Paolo

    Tutte domande pertinenti e molto stimolanti, salvo quella relativa al target di inflazione. Non credo infatti che stia li’ il problema della politica monetaria. Quello che secondo me manca invece, se di politica macroeconomica si parla, e’ un rifermento all’investimento in ricerca e sviluppo. Paesi che crescono molto hanno maggiore margine di manovra fiscale. E’ vero che tale tipo di investimento da’ frutti nel medio-lungo periodo, ma casi come Grecia e Italia soffrono anche (ma non solo) perche’ per troppi anni gli investimenti in quella direzione sono stati insufficienti. Gli Stati Uniti invece forniscono un esempio contrario (anche se altre precisazione sarebbero necessarie).

  2. Guglielmo Gentile

    …che gli autori non sembrano porre. Come coniugare l’apparentemente legittima vocazione liberista dei mercati, soprattutto quelli finanziari, con i necessari interventi pubblici diretti verso gli operatori "too big to fail"? Il recente scambio dialettico avvenuto tra Obama, la cui istanza pare essere stata ripresa in sede europea da Sarkozy, e la secca replica opposta dai ministri delle finanze europei verso determinati interventi, dovrebbe a mio avviso porre il tema al centro del dibattito degli economisti. Il corollario della risposta potrebbe infine contribuire a chiarire l’eterno dibattito sul ruolo dello Stato in rapporto al mercato.

  3. Riccardo Colombo

    Ritengo particolarmente utile ragionare sul tema delle politiche entrata e di spesa in relazione all’andamento dell’economia. Sinora, la spesa pubblica non solo è stata rigida ma paradossalmente si è incrementata anche in fase di crescita economica: si pensi, per esempio, agli investimenti in grandi infrastrutture, tipo alta velocità, che sono stati realizzati proprio in una fase di aumento, anche se estremamente modesto, del Pil. Per l’Italia il problema è tuttavia strutturale: la nostra spesa pubblica è troppo alta, oltre che inefficiente, di scarsa utilità e fonte di corruzione. Penso che, quando ci sarà la ripresa, occorre riflettere di come abbassare il livello di spesa, soprattutto riducendo gli acquisti di beni e servizi.

  4. Giuseppe Scandizzo

    Credo che la liquidita’ debba essere distinta in due categorie essenziali. La prima e’ quella da dare a chiuque sia definibile essere umano affinche’ gli sia garantita la soddisfazione dei bisogni primari. Dalla seconda categoria a seguire, ci si puo’ divertire con tutto l’ingegno di ricercatori accademici e non…

  5. taddeodomenico

    Una strada indolore per uscire dal impasse in cui si trova l’Ue sarebbe percorrebile, anche se a prima vista sembrerebbe un’eresia vista l’ideologia economica monetarista ancora imperante, nonostante gli insuccessi devastanti di cui è stata causa in questi ultimi anni. Salvare o non salvare la Grecia, per la Ue rappresenta un grande dilemma e in entrambi i casi con effetti non prevedibili ma sicuramente non benefici per la tenuta dell’Unione. Una sola politica sarebbe praticabile: regole severe per i deficit pubblici (magari con un patto più intelligente) e dare la possibilità a tutti gli stati che li rispettano di monetizzare una percentuale uguale per tutti dei loro debiti pubblici. Molti direbbero che così si crea inflazione, una tassa occulta sui i cittadini e i possessori di titoli e l’euro perderebbe di credibilità sui mercati, etc. Ma questa non è una legge automatica al pari di legge fisiche. Nell’odierno contesto economico dovrebbe succedere con accorto mix di politiche economiche. La MS aggiuntiva deve essere usata per gli investimenti necessari a conseguire gli obiettivi di Lisbona, accrescere la competitività e produzione e quindi senza inflazione.

  6. Francesco Burco

    Sarà pure una chiacchiera da bar, non credo percezioni alterate, ma il mio paniere neolaureato fortunatamente lavoratore che ha preso giusto 5 o 6 stipendi in lire, in cerca di abitazione, ha registrato un aumento dell’inflazione incomparabilmente più alto di quello fotografato dall’ISTAT. Incomparabilmente. E credo non solo il mio.

  7. giacomo

    Speriamo che ci sia un dopo crisi, perchè la montagna di debiti continua a espandersi e, senza una forte ripresa della produzione industriale, senza drastici tagli alle spese, non ci rimane che toccare ferro e legno. Grazie.

  8. Maurizio Maggini

    Come creare maggio spazio per le politiche di bilancio nei prossimi anni? Davvero una bella domanda per l’Italia considerato l’ammontare e la rigidità del debito pubblico e del costo della pubblica amministrazione (incluse le pensioni). Quanto residua per la politica di bilancio?

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