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CARTOLARIZZAZIONI SENZA REGOLE COMUNI

Le cartolarizzazioni sono un utile strumento di liquidità per imprese e banche, ma per evitare che se ne faccia un uso distorto è necessaria una migliore regolamentazione a livello globale. Su questo l’accordo è generale. Più difficile è definire le regole comuni. I piani di riforma proposti dagli organismi internazionali, europei e americani, seppur ispirati agli stessi principi, vengono declinati in maniera differente. Anche perché manca un soggetto legittimato a livello internazionale a legiferare e a controllare il mercato.

Il dibattito sulla difficoltà a identificare un percorso comune nella definizione di nuove regole globali per nuovi mercati si può arricchire di un caso concreto. (1)

NUOVE REGOLE DALL’EUROPA AGLI USA

Prendiamo, ad esempio la cartolarizzazioneo securitization, l’operazione finanziaria che consente di monetizzare crediti con cessione degli stessi a società veicolo che si finanziano emettendo titoli. Se da un lato le securitization, per lo più americane, di mutui erogati a mutuatari senza reddito né lavoro, rimpacchettati (e ri-cartolarizzati) per investitori allettati da alti rendimenti sono state le principali protagoniste della crisi, dall’altro la cartolarizzazione si sta dimostrando un perfetto strumento di liquidità di banche e imprese. Tanto che il Fondo monetario internazionale nel suo Global Financial Stability Report di aprile 2009 ne ha sottolineato l’importanza auspicando la riattivazione del credito alle imprese anche attraverso il riavvio del mercato delle securitization.
Per evitare altri usi distorti, però, anche questo mercato va meglio regolato a livello globale identificando un percorso comune che, tuttavia, al momento risulta piuttosto contorto.
Iniziamo dalla legislazione europea, la cui genesi è articolata. Il processo normativo comprende le raccomandazioni del Financial Stability Forum (2009), le linee guida del Cebs, Commitee of European Banking Supervisors di aprile 2009 e la raccomandazione della Commissione del 30 aprile 2009 sulla Remunerationpolicy nel settore dei servizi finanziari, a seguito delle quali l’Unione Europea ha di recente definito il testo della seconda direttiva sui requisiti di patrimonializzazione, la Capital RequirementsDirective, conosciuta anche come Crd 2, che dovrebbe impostare il piano di azione per i servizi finanziari dell’Unione Europea. (2)
La direttiva, intervenendo sulle securitisation, imporrebbe specifici obblighi alle banche (i) nel caso in cui esse investano in titoli garantiti da portafogli di crediti o (ii) nel caso in cui ne siano gli originators/cedenti di cartolarizzazioni. La Crd, tra l’altro, prevedrebbe l’obbligo a carico delle banche cedenti di detenere una certa percentuale di rischio per le esposizioni che essi cartolarizzano. In sostanza, si propone che i cedenti, o le banche arrangers/promotrici dell’operazione – al fine di ottenere un allineamento dei propri interessi – siano obbligate a mantenere una quota dei rischi cartolarizzati per un ammontare non inferiore al 5 per cento (norma detta Skin in the game) del totale ceduto. L’entrata in vigore delle nuove regole sembrerebbe fissata per il 2011, dopo l’esame di Consiglio ed Europarlamento.
Dall’altra parte dell’oceano, l’orientamento legislativo sembra coerente con quello europeo.
A luglio 2009, infatti, l’amministrazione Obama ha pubblicato l’Investor Protection Act (approvato dall’House Financial Services Commitee e al vaglio del Congresso) volto a garantire l’applicazione di una disciplina più adeguata per le cartolarizzazioni americane. E anche qui, tra gli aspetti fondamentali della proposta, ritroviamo il retention risk non inferiore al 5 per cento.
A questo punto gli operatori internazionali intravedono una disciplina comune e iniziano a interrogarsi: il retention risk del 5 per cento sarà determinante per rilanciare il mercato delle cartolarizzazioni? E poi, il 5 per cento del rischio si applica a ogni tipologia di asset cartolarizzato?
Intanto che gli operatori dibattevano, però, il Report del Financial Stability Board, pubblicato a settembre 2009, rivolto ai paesi del G-20 affronta alcune tappe fondamentali per giungere alla nuova regolamentazione finanziaria internazionale. Il Report sottolinea come le cartolarizzazioni dovranno essere rilanciate da una base comune che comprenda tra l’altro un rafforzamento della vigilanza e una maggiore standardizzazione e semplificazione dei contratti. Nessun accenno al retention risk.
Anche il Fondo monetario internazionale nelle conclusioni del Global Financial Stability Report: Navigating the Financial Challenges ahead ribadisce come il ritorno a un mercato delle cartolarizzazioni nuovamente solido necessiterà di tempo. Il Report, poi, prende posizione ed evidenzia come le proposte di retention risk non devono essere imposte in modo uniforme a tutti i mercati e nella stessa misura per tutti gli asset, bensì dovrebbero essere ritagliate sul tipo di cartolarizzazioni e sul tipo di asset che vengono sottoscritti. Evidenziando tra le righe che potrebbero esserci mercati che non necessitano di alcuna retention risk. Come quello italiano, aggiungiamo noi, che, ai sensi di un recente studio pubblicato da Fitch (dicembre 2009) ha subito un impatto limitato dalla crisi, con ad oggi solo quindici cartolarizzazioni declassate di rating, grazie soprattutto al modesto indebitamento delle famiglie italiane e a un mercato immobiliare che ha retto ai vertiginosi rincari che hanno colpito il resto d’Europa.
Dunque, ci ritroviamo, purtroppo al punto di partenza. I piani di riforma legislativa degli organismi citati sin qui, infatti, seppur ispirati dagli stessi principi, vengono declinati in maniera differente, e il semplice – e non esaustivo – caso del retention risk dapprima imposto e adesso riconsiderato, costituisce un esempio evidente. Ecco perché in assenza di un soggetto legittimato internazionalmente a legiferare e a controllare il mercato, la strada di regole comuni sembra tortuosa.

(1) Questo articolo nasce dallo sviluppo di una ricerca più approfondita che trova analitica trattazione in P. Messina, Profili Evolutivi della cartolarizzazione, G. Giappichelli Editore, Torino, 2009.
(2) La proposta di "Directive of the European Parliament and of the Council amending Directives 2006/48/EC, 2006/49/EC and 2007/64/EC as regards banks affiliated to central institutions, certain own funds items, large exposures, supervisory arrangements, and crisis management" è disponibile, nella versione pubblicata il 13 luglio, a questo indirizzo internet.

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CINQUE DOMANDE PER IL DOPO-CRISI

  1. bellavita

    Negli enti locali è ormai prassi diffusa "vendere" a una finanziaria dello stesso ente locale gli immobili invendibili. Non entrano soldi, ma si accerta un utile che nella barocca normativa della contabilità pubblica consente di ridurre il deficit. Non vorrei che anche tra banche si scambiassero favori di questo genere per stare dentro alle normative Bankitalia.

  2. Fabrizio Mennella

    Nelle cartolarizzazioni, le banche da sempre trattengono in titoli la differenza fra il valore dei beni sottostanti e quello dei titoli emessi (first loss). Ciò assicura un allineamento tra chi ha istruito, concesso, gestito i crediti e chi investe nei titoli che su quei crediti si basano. Tale differenza non è fissata a priori, ma sulla base del supporto di credito (credit enhancement) che si vuole dare alla cartolarizzazione. Il 5 per cento in sé è insignificante. Si potrebbe richiedere invece alle banche di trattenere anche una parte delle tranche mezzanine, dando così una garanzia effettiva ai titoli collocati sul mercato (le tranche senior). Ma soprattutto occorrerebbe obbligare le banche al market making sui titoli delle proprie cartolarizzazioni, evitando che tale compito venga lasciato a banche collocatrici che, terminata l’emissione, non hanno alcun interesse a ridurre il rischio di illiquidità di quei titoli.

  3. Franco SCOLASTICO

    Essendo ormai trascorsi in Italia più di una dozzina di anni dall’avvio di questa nuova tecnica di finanziamento, chiamata "cartolarizzazione" per il fatto che il denaro viene rappresentato in un titolo-carta emesso da un ente acquirente da un ente venditore, gli studiosi di economia dovrebbero avere già delle statistiche per esaminarne l’affidabilità di tale strumento in riferimento all’economia reale e non solo a quella bancaria e finanziaria. Sono veramente molto curioso di leggere eventuali seri esami, che partano, però, dalla base giuridica della "cessione di credito", che è la base su cui si è -passatemi il termine- sbizzarrita la cd "finanza creativa", che, per quanto io ne sappia, non è mai assunta al rango di scienza economica. Anzi. Ritengo che sia proprio nella sua giustificazione emergenziale di origine la causa delle distorsioni devastanti che lo strumento, lasciato temerariamente alle mani del libero mercato bancario senza una rigida e severissima condizione risolutiva di solvibilità, ha arrecato e tuttora arreca all’economia reale. Per quanto ci riguarda sembra veramente ipocrita aver affidato questo controllo alla Corte dei Conti, sistematicamente inascoltata.

  4. sergio Lugaresi

    La mia percezione è che la CRD2 sia già bella che approvata, che il limite del 5% lo debba far rispettare l’investitore (il quale non potrà acquistare Asset Backed Security in cui almeno il 5% del rischio sottostante sia ritenuto dal venditore) e che la regola entrerà sicuramente in vigore nel 2011. Segnalo inoltre l’iniziativa privata promossa dall’European Fianacial Roundtable (EFR) e coordinata con l’Association for Financial Markets in Europe/European Securitisation Forum (AFME/ESF) per rilanciare il mercato europeo delle securitization costituendo un nuovo segmento (chiamato Prime Collateralised Securities, PCS) con elavati di criteri di qualità, trasparenza, standardizzazione e liquidità. Il gruppo di lavoro è formato da rappresentanti di UniCredit, Generali, BNP-Paribas, Deutsche Bank, Santander, HSBC, Axa, APG, Credit Agricolè, Royal bank of Scotland, Barclays. Al progetto collaborano tutte le maggiori associazioni europee del settore (assicuratori, fondi pensione, banche ecc.). La Banca Centrale Europea e la banca Europeai per gli Investimenti partecipano come osservatori. Maggiori informazioni saranno rese pubbliche nei prossimi giorni.

  5. Marco Grimaldi

    Qualsiasi imposizione tesa a stabilire livelli indiscriminati di retention, in palese dicotomia con esigenze di deconsolidamento di molti originator, e’ forzatura inutile e dannosa. Inutile perche’ l’ingegneria finanziaria finisce sempre per prevalere sulle restrizioni regolamentari. Dannosa perche’ tale misura rischia di produrre l’effetto "uovo di colombo": distrarre banche ed organi preposti alla supervisione dalla missione di ricercare misure strutturali atte ad evitare il ripetersi della recente crisi finanziaria. Fatti salvi alcuni fattori contingenti, penso che la motivazione del recente fallimento del mercato vada imputata prevalentemente all’assenza di risk management efficace presso gli organi di controllo del rischio nelle istituzioni che intermediano o sottoscrivono asset-backed e presso gli organismi di supervisione. Mi domando perche’ negli US si sia deciso solo ora di calcolare il capitale necessario al sistema in condizioni di stress. Mi chiedo se dotare i player di strumenti e risorse capaci di discriminare l’effettivo livello di rischio assunto dal sistema nel ciclo economico non offra maggiori garanzie di tenuta di una percentuale fissa di risk retention.

  6. Paolo Binarelli

    Si tratta senza dubbio di un tema rilevante, ma non ritengo che l’obbligo di retention sia lo strumento adatto a perseguire l’obiettivo di "allineare gli interessi" degli originator bancari (il che significa già discriminare le banche rispetto agli originator non-bancari) a quelli degli investitori. Inoltre, posto che sia questa la strada giusta da seguire, non credo neanche che il c.d. "allineamento degli interessi" sia un elemento in grado di assicurare maggiore stabilità al mercato (e pertanto un eventuale "rilancio" delle cartolarizzazioni non potrà sicuramente essere frutto di tali scelte politiche). Il tutto senza considerare il lato paradossale della proposta, ovvero il fatto che tra investitori senior/mezzanine/junior sussiste comunque un conflitto di interessi ab origine che deriva dalle caratteristische intrinseche della struttura.

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