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TUTTI NELLA RETE

È tempo di scelte per le reti di telecomunicazione in Italia. L’accesso a Internet deve diventare un servizio universale, da garantire a tutte le realtà e componenti della società. Nel medio-lungo periodo si dovranno poi sviluppare le infrastrutture di nuova generazione, che richiederanno investimenti misti pubblico-privato. Ragionevole dunque prevedere una separazione tra infrastrutture fisiche e servizi di accesso, e tra questi e i servizi applicativi, anche per permettere una piena concorrenza e apertura del mercato.

In questi mesi si discute insistentemente del futuro delle reti di telecomunicazioni. Il dibattito si muove su diversi fronti ed è certamente molto complesso e articolato. Il punto di partenza è l’analisi della storia e del ruolo in Italia dell’operatore ex monopolista, Telecom Italia. È una grande impresa che vive i problemi di tutti gli incumbent: soffrono l’avvento di Internet e delle telecomunicazioni digitali; hanno una struttura societaria sovradimensionata rispetto ai bisogni del mercato per come si è configurato negli scorsi anni; sono ancora almeno in parte permeati da una mentalità che non li rende esenti da tentazioni monopolistiche. A questi problemi si aggiungono le criticità che derivano dalle vicende specifiche di Telecom Italia, dal suo processo di privatizzazione e dai tribolati passaggi di proprietà che hanno caratterizzato la sua storia. Indubbiamente, nel discutere di come promuovere lo sviluppo delle reti non si può prescindere da questi fatti e da queste considerazioni.

INFRASTRUTTURE E BISOGNI DEI CITTADINI

Entrando nello specifico dello sviluppo delle reti, vi sono diversi temi e problemi che devono essere analizzati in modo organico e articolato:

Troppo spesso si ripete che la rete non potrà svilupparsi finché non ci saranno servizi convincenti e utili per il paese, i cittadini e le imprese. Ora è del tutto evidente che una rete senza servizi è inutile. Ma la storia dello sviluppo delle infrastrutture dovrebbe insegnarci qualcosa. Senza una rete, la domanda non può fisicamente manifestarsi. Per esempio, come è possibile richiedere servizi di telepresenza se la rete non è in grado di supportarli? Come avrebbero potuto Google, Twitter o lo stesso web svilupparsi senza rete o con una rete limitata e “lenta”? E come sarebbe possibile reagire tempestivamente a una ipotetica crescita della domanda, sviluppando infrastrutture complesse e costose in tempi ragionevoli? La storia del nostro paese, i nostri ritardi cronici nello sviluppo dei sistemi di trasporto, degli aeroporti, dei sistemi ferroviari e intermodali non ci hanno insegnato proprio nulla?
I bisogni dei cittadini, delle imprese e della società evolvono nel tempo. L’accesso alle tecnologie delle reti e, nello specifico, a Internet è divenuto in questi ultimi anni un servizio essenziale che caratterizza una società realmente evoluta. In passato alcuni servizi che avevano acquisito caratteristiche simili, come l’acqua potabile, l’energia elettrica, il servizio telefonico classico, sono stati dichiarati servizi universali e, come tali, garantiti a tutti i cittadini e soggetti che ne facciano richiesta, secondo uno schema tariffario che permette al contempo diffusione universale del servizio e copertura dei costi dell’operatore, anche nei casi dove la convenienza economica venisse a mancare. È giunto ormai il momento che l’accesso a Internet sia anch’esso dichiarato un servizio universale da garantire a tutte le realtà e componenti della nostra società. Coerentemente, sul breve periodo (1-2 anni), è necessario mettere in campo azioni diffuse che offrano una connettività minima a cittadini e imprese, superando il digital divide che in questo momento colpisce soprattutto quei territori all’esterno dei grandi centri abitati, territori dove peraltro si trovano a operare molte imprese o interi distretti industriali.

LE RETI DI NUOVA GENERAZIONE

Certamente, per il medio-lungo periodo è necessario sviluppare le infrastrutture di nuova generazione (Ngn) che progressivamente andranno a sostituire le reti in rame. E questo, non per la presenza di una singola killer application (come l’Iptv) che giustifichi di per se stessa il passaggio dal rame alla fibra, quanto per la necessità di fornire un mezzo di trasmissione simmetrico, ad alta capacità, e in grado di sostenere il numero sempre crescente di applicazioni e servizi che costituiscono il mondo della rete. Impazienza dell’utente (che non vuole aspettare), molteplicità di applicazioni e servizi fruiti in parallelo, crescita delle informazioni multimediali (di qualunque natura) sono nel loro complesso i veri motori di sviluppo delle reti.
Le Ngn richiedono investimenti molto significativi che gli operatori non appaiono in grado di fare autonomamente e in un arco temporale definito, o perché questi investimenti hanno tempi di ritorno incerti e diluiti nel tempo, oppure perché gli operatori sono gravati da situazioni economico-finanziarie che ne limitano la capacità di movimento (o per una combinazione di entrambe le motivazioni). Proprio perché le Ngn infrastrutture sono così importanti, se i privati da soli non fossero in grado di investire in tempi certi nel loro sviluppo – ed è il caso dell’Italia – allora è ragionevole che lo Stato intervenga con risorse proprie, esattamente come è accaduto per le autostrade, le ferrovie, i porti e le altre infrastrutture vitali del paese. Non per nulla, in tutte le nazioni con le quali il nostro paese deve confrontarsi, sono previsti programmi di intervento pubblico volti a favorire lo sviluppo delle infrastrutture digitali.
Ovviamente, l’intervento pubblico non può risolversi in un regalo fatto a qualche operatore. Non è pensabile che i soldi dello Stato siano dati a imprese private, rafforzandone asset e patrimoni, senza alcuna contropartita e intervento di regolazione a tutela dell’investimento pubblico e dell’apertura del mercato. In generale, le reti tendono sempre più a essere dei monopoli naturali e come tali devono essere gestite. Per questi motivi, appare sempre più ragionevole procedere verso la creazione di aziende, presumibilmente con investimenti misti pubblico-privati, che sviluppino le infrastrutture fisiche (per esempio quelle in fibra) e che poi ne rivendano l’uso a tutti gli operatori di telecomunicazione che ne facciano richiesta (i fornitori dei servizi di trasporto).
La separazione tra infrastrutture fisiche e servizi di accesso, e tra questi ultimi e i servizi applicativi, oltre che da considerazioni di carattere economico e finanziario relative agli investimenti in nuove infrastrutture, risponde anche al bisogno ineludibile di garantire piena concorrenza e apertura del mercato. Da un lato, tutti gli operatori devono poter accedere alle risorse costituite dalle reti fisiche presenti sul territorio che si configurassero come monopoli naturali (sia wireless che wireline). Dall’altro, gli operatori non devono vincolare o limitare l’uso della rete una volta che l’utente abbia pagato un equo e remunerativo (per l’operatore) prezzo per accedere ai servizi di trasporto che esso fornisce. Chiunque deve poter sviluppare i propri servizi applicativi senza essere vincolato dal fornitore dei servizi di trasporto. Sono questi i principi che hanno garantito e permesso lo straordinario sviluppo di Internet: separazione tra trasporto e servizi applicativi, neutralità della rete e non discriminazione degli utenti/servizi.
Si tratta di temi vitali sui quali il decisore pubblico e i soggetti privati dovrebbero definire strategie convergenti, senza reticenze e avendo il coraggio di guardare in modo schietto e diretto i problemi sul tappeto. Non si sente il bisogno né di annunci generici e retorici sull’importanza delle reti, né di atteggiamenti imprenditoriali che si rifanno a una struttura del mercato che è tramontata e che, piaccia o no, non potrà tornare: “for the times they are a-changin’”, cantava un visionario Bob Dylan alcuni decenni fa. Serve far finta che non sia così?

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UNO STOP SULLA STRADA DEL RITORNO ALLA CRESCITA

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CINQUE DOMANDE PER IL DOPO-CRISI

  1. f.zadra

    La rete in rame deve essere rimpiazzata con la rete in fibra, per i motivi che tutti conosciamo. Se l’attuale proprietario della rete in rame non può farlo è necessario che essa venga realizzata da tutti gli operatori del settore, pro quota; se anche così i mezzi finanziari non sono sufficienti, intervenga lo Stato, cioè la comunità di tutti i cittadini. Ogni ente intervenuto deve avere una remunerazione in linea con l’investimento, compreso lo Stato, si intende. Questo è lo schema base, che può essere -beninteso- ulteriormente articolato.

  2. Luca Schiavoni

    Sono pienamente d’accordo con l’idea di affidare il ‘network’ a società partecipate da più soggetti, che è forse il compromesso migliore tra necessità di concorrenza e bisogno di manutenzione ed aggiornamento che una rete di telecomunicazioni comporta. Uno dei più grossi nodi è infatti quello di assicurare al contempo un accesso – e dei costi – alla pari per tutti gli operatori del settore. Un’infrastruttura del tutto pubblica su cui si desse spazio a ‘players’ privati risolverebbe questo problema, ma forse non risponderebbe a quello dei necessari investimenti in tecnologia, data la nascita di servizi e applicazioni sempre più esigenti in termini di larghezza di banda. Resta poi la necessità, ormai pienamente condivisa, di rendere la banda larga uno ‘universal service’, il che mal si concilierebbe con una rete del tutto privata, e in questo senso un intervento dello Stato assicurerebbe gli incentivi necessari agli operatori per coprire le aree economicamente non convenienti. Mi domando a che punto sia l’Italia sotto questo profilo e che fine abbia fatto il piano Caio.

  3. G. Caldo

    Penso che tutti vogliamo la banda larghissima. Il punto è, come rimuoviamo gli ostacoli alla sua realizzazione? In particolare 1. Quali motivazioni politiche servono al governo per alzare la priorità degli investimenti in banda larga? 2. Si può creare un meccanismo normativo che incoraggi le amministrazioni locali a investire? 3. Come interagiscono stato e aziende? Quale meccanismo (a) crea abbastanza concorrenza da fare funzionare il servizio e ridurre i prezzi (b) minimizza la corruzione degli amministratori (c) minimizza l’indebita influenza degli amministratori sulle aziende Se non si capisce come rimuovere questi ostacoli, saranno più i litri di inchiostro scritti sul Corriere a riguardo che i metri di fibra posata.

  4. marco

    Separare proprietà e gestione, come lei afferma, non è solo una questione di efficenza ed efficacia degli interventi, ma anche di equità sociali. Le reti di nuova generazione saranno pagate con denaro dei cittadini, è quindi giusto che la proprietà delle infrastrutture resti in capo a soggetti a partecipazione pubblica, in proporzione alla quota di investimento coperta con denaro dei cittadini. Una seconda considerazione: occorre modificare il quadro delle tariffe, in modo che l’erogazione di vecchie connessioni dial-up quanto meno non sia più remunerativa delle connessioni a banda larga, e quindi disincentivante. Mi spiego meglio. Se Telecom o Infostrada possono chiedermi 12 euro al mese per una flat a 56 k, senza spendere nulla, che interesse hanno a investire per darmi una linea ADSL flat a 20 euro al mese, con la quale posso attivare il Voice Over IP e risparmiare sulle telefonate facendogli perdere traffico voce, oppure rivolgermi ad altri operatori che non hanno sostenuto nessun investimento?

  5. Maria Clavarino

    Per garantire a tutti i componenti della società l’accesso ad internet, e soprattutto l’utilizzo di servizi on-line, è necessaria anche la formazione per gli utenti. Molti degli appartenenti alla generazione "d’argento" non sono in grado di utilizzare i servizi on-line. Se tali servizi diventassero obbligatori, ad esempio nel caso dei rapporti tra Pubblica Amministrazione e cittadino, bisognerebbe rendere in grado i cittadini di utilizzarli. Questo comporterebbe un’organizzazione e dei costi notevoli: si potrebbero ad esempio prevedere figure professionali certificate per l’istruzione in campo informatico, si dovrebbe istituire un tariffario per la formazione a seconda delle fasce di reddito, per garantire detta istruzione anche ai meno abbienti. D’altra parte tutto questo potrebbe favorire uno "scambio" fra generazioni il cui divario culturale ed economico è già stato percepito più volte come critico. Maria Clavarino

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