Quali sono gli effetti della crisi sull’innovazione, un fattore chiave per uscire dalle difficoltà attuali? Un’analisi condotta a un anno dal crack Lehman Brothers mostra come l’attività di ricerca sia influenzata dalla congiuntura negativa. Tuttavia, gli investimenti non crollano e ciò suggerisce la presenza di una componente strutturale che caratterizza l’attività innovativa delle aziende e che dipende da loro caratteristiche specifiche. La dimensione dell’impresa non è rilevante, contano invece le dinamiche di crescita. E l’Italia fa meglio di altri.

Dall’inizio della crisi nel 2008, il panorama economico è stato caratterizzato da una brusca caduta della domanda e del commercio, un peggioramento delle condizioni di erogazione del credito, un intervento dei governi e delle banche centrali senza precedenti. Minore attenzione è stata rivolta all’innovazione. Ciò appare poco motivato se si pensa che l’innovazione è il motore della crescita di lungo periodo, ha effetti sulla dinamica della produttività e dei salari, nonché sull’occupazione e la crescita delle imprese. E rappresenta una chiave per uscire dalla crisi. Quali sono gli effetti della crisi sull’innovazione? Chi sono gli innovatori in tempo di crisi?

L’IMPATTO DELLA CRISI SULL’INNOVAZIONE

Alcune analisi condotte su oltre 5mila imprese nei 27 paesi dell’Unione Europea nel 2009, a un anno circa dal crack Lehman Brothers, consentono di affermare che: (i) la crisi ha avuto un effetto negativo sugli investimenti in innovazione delle imprese; (ii) esistono effetti-paese importanti che influenzano i comportamenti innovativi delle imprese; (iii) alcune imprese reagiscono alla crisi continuando ad innovare. (1)
L’analisi si basa su un questionario predisposto dalla Commissione Europea diffuso tra 5.234 imprese europee. (2)
Il questionario fornisce sia una misura della variazione del livello degli investimenti in innovazione nel 2009, ossia allo scoppio della crisi – rispetto ai livelli pre-crisi – sia una serie di informazioni sulle caratteristiche, dimensioni e settore industriale dell’impresa. In particolare, alle imprese è stato domandato se hanno aumentato, ridotto, o mantenuto costante il livello degli investimenti in innovazione nel 2009. La stessa domanda è stata posta in relazione al triennio 2006-2008. In questo modo è possibile confrontare una reazione di tipo congiunturale delle imprese nel 2009, all’inizio della crisi, con una condizione di medio periodo del triennio precedente.
La definizione di innovazione è piuttosto ampia e comprende l’attività di ricerca e sviluppo svolta dall’impresa, l’acquisto di nuovi macchinari, l’introduzione di nuovi servizi, forme di innovazione soft quali cambiamenti organizzativi, nuovi design e nuove strategie di marketing. La risposta suggerisce quindi come l’impresa reagisce nella sua strategia globale di innovazione allo scoppio della crisi. Da un lato le imprese possono essere indotte a ridurre gli investimenti in innovazione sia in attesa che si riducano le incertezze nei mercati, sia per effetto di una maggiore difficoltà e di maggiori costi nel reperire risorse finanziarie. Va comunque ricordato che le imprese tendono di norma a finanziare l’innovazione tramite risorse interne, raramente facendo ricorso al credito. Dall’altro lato, è anche plausibile che alcune imprese siano indotte a investire in misura maggiore in innovazione in tempi di crisi per guadagnare tempo sui concorrenti, guadagnare quote di mercato o anche grazie ai costi ridotti di alcuni input.
In generale, il numero di imprese che dichiara di aumentare gli investimenti in innovazione nel 2009 è pari al10,5 per cento del campione, mentre prima della crisi erano il 40 per cento (vedi figura). Il 27 per cento dichiara invece di ridurre gli investimenti nel 2009, rispetto all’11 per cento del triennio precedente. Da questi dati si evince che senza dubbio lo scoppio della crisi ha avuto un effetto negativo sull’innovazione. Tuttavia, cresce il numero di imprese che dichiara di mantenere costante la spesa in innovazione, passando dal 50 al 63 per cento. Sommando le imprese che aumentano a quelle che mantengono stabili gli investimenti, la percentuale che continua a innovare raggiunge il 73 per cento. Questo dato è di elevato interesse, in quando suggerisce la presenza di una componente stabile dell’attività innovativa nonostante la congiuntura negativa.

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Figura 1: imprese che dichiarano di aumentare, diminuire o mantenere costante gli investimenti in innovazione nel 2009 rispetto al biennio 2006-2008 (%)

GLI INNOVATORI IN TEMPO DI CRISI

Per capire cosa induce un’impresa a innovare durante la crisi sono stati analizzate alcune sue caratteristiche: la dimensione, la disponibilità di risorse interne in termini di fatturato, la presenza di laboratori di ricerca e sviluppo e l’importanza del ruolo della disponibilità di credito come ostacolo all’innovazione. (3) Anche in questo caso l’importanza di tali fattori nell’incoraggiare l’innovazione è stata confrontata prima e all’inizio della crisi. Ladimensione risulta essere più importante prima della crisi, nel triennio 2006-2008. Per quanto riguarda la disponibilità di risorse interne e la difficoltà a ricorrere al credito non emergono differenze nel confronto tra il triennio precedente e il 2009. Al contrario, la presenza di attività di ricerca e sviluppo è uno dei fattori più significativi: la circostanza di svolgere tali attività all’interno dell’impresa è fortemente associato all’innovazione durante la crisi, mentre non risulta particolarmente importante prima della crisi.
L’ambiente in cui si muovono le imprese in tempi di crisi è caratterizzato da elevata incertezza circa la direzione delle traiettorie tecnologiche, le opportunità di profitto, le dinamiche settoriali. Alcuni studi hanno mostrato come in tempi di forte turbolenza macroeconomica gli innovatori consolidati possono riscontrare maggiore difficoltà ad adattarsi e cambiare. Dall’altro lato, ci sono numerosi casi che mostrano come in realtà i grandi innovatori riescono ad adattarsi ai cambiamenti di paradigma tecnologico associati alle crisi. L’Ibm è sopravvissuta a numerosi passaggi di rottura tecnologica cambiando pelle e passando dalla produzione di macchine per scrivere allo sviluppo di software e servizi. Ma nelle crisi emergono anche nuovi innovatori. Il concetto di “distruzione creatrice” suggerisce che, accanto alla morte di imprese in settori maturi, le crisi portano alla nascita di nuove imprese e settori che guideranno il sistema fuori dalle difficoltà. L’analisi mostra come convivono due diversi identikit dell’innovatore in tempi di crisi. Da un lato, vi è l’innovatore consolidato, non necessariamente un’impresa di grande dimensione, che adotta strategie “esplorative” (si sposta in nuovi mercati). Dall’altro lato, emerge una componente dinamica di nuovi innovatori con tre caratteristichedi piccola o media dimensione, nate recentemente e che sono cresciute (in termini di fatturato) molto rapidamente negli ultimi anni.

E L’ITALIA?

Dalla tabella emerge come il campione delle imprese italiane si difenda piuttosto bene. La performance della Germania, in termini di investimenti delle imprese in innovazione, è migliore prima della crisi e si consolida, relativamente, nel 2009. L’Italia mostra risultati relativamente migliori degli altri paesi considerati (esclusa la Germania) in termini di imprese che riducono gli investimenti in risposta allo scoppio della crisi. La quota che dichiara di mantenere costante il livello di investimenti è seconda solo alla Germania.

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Tabella: andamento degli investimenti in innovazione prima e allo scoppio della crisi (valori percentuali delle imprese).

Nei grafici successivi sono riportate le spese in R&S a prezzi costanti nel settore privato e nel settore pubblico. Il confronto dell’Italia con alcuni paesi europei e la media dei 27 Paesi membri dell’Unione Europea mostra innanzitutto una differenza in termini assoluti rilevante, soprattutto nei confronti di Germania e Francia. Quanto agli effetti della crisi, questi risultati aggregati sono in linea con quanto riportato sopra circa l’importanza dell’attività di R&S. In Italia le imprese non hanno ridotto le spese in R&S, similmente a Francia e Germania. Al contrario, il Regno Unito e la Spagna mostrano una maggiore ciclicità dell’andamento della spesa in questo campo. I dati sull’attività di R&S svolta nel settore pubblico mostrano invece un quadro diverso per l’Italia, con una caduta marcata nel biennio 2008-2009, e una moderata ripresa nel 2010. Da notare il confronto con la Germania che mostra invece un trend in aumento insensibile alla recessione.

Grafico: spesa in Ricerca e Sviluppo per abitante a prezzi costanti nel settore privato e pubblico

Per concludere, sebbene l’analisi si riferisca al 2009, e quindi alla fase iniziale della crisi, è evidente come l’innovazione delle imprese è influenzata dalla congiuntura negativa a distanza di meno di un anno dal crack di Lehman Brothers. Tuttavia, gli investimenti in innovazione mostrano una certa tenuta. Ciò suggerisce la presenza di una componente strutturale che caratterizza l’attività innovativa delle aziende e che dipende da loro caratteristiche specifiche. Politiche di breve periodo sono utili a contrastare gli effetti immediati della crisi, ma l’innovazione, motore fondamentale per una crescita di lungo periodo, è il risultato di politiche a lunga scadenza incentrate sul capitale umano, la specializzazione e la crescita delle imprese. Infine, in merito all’eterno dibattito sulla dimensione delle imprese italiane, la grandezza dell’impresa in sé non risulta rilevante, a contare sono piuttosto le dinamiche di crescita.

(1) Per un’analisi più approfondita si veda D. Archibugi e A. Filippetti, 2011 “Innovation and Economic Crisis: Lessons and Prospects from the Economic Downturn”. London: Routledge.
(2) European Commission, 2009. Innobarometer 2009. DG Enterprise and Industry, Brussels.
(3) L’analisi è stata depurata dagli effetti sia dai fattori economici associati al paese, sia del settore industriale in cui l’impresa opera.

 

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