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INDICIZZARE LE PENSIONI ALLA CRESCITA ECONOMICA

In Italia oggi non c’è una forte constituency a favore di riforme che favoriscano la crescita anche perché le pensioni sono una variabile indipendente, la cui dinamica prescinde completamente dall’andamento dell’economia. Quando l’economia va bene, i pensionati non partecipano ai guadagni di produttività e, dunque, le pensioni perdono valore rispetto ai salari, dando origine al fenomeno delle cosiddette “pensioni d’annata”. Quando le cose vanno male, invece, la spesa previdenziale aumenta ulteriormente la sua quota sul prodotto interno lordo, sottraendo risorse a politiche di contrasto alla povertà e alla disoccupazione. Nel 2009, ad esempio, la quota delle pensioni sul pil è aumentata di quasi un punto. Era già la più alta quota in Europa. Lo sarà ancora di più.
Eppure il benessere degli anziani dipende molto dalla crescita dell’economia. La mancata crescita comporta, ad esempio, un progressivo ridimensionamento dei servizi sanitari. Quindi senza crescita anche i pensionati finiranno per stare peggio.  Bene che ne siano consapevoli fin da subito.
E’ fondamentale che questa crescente fascia di popolazione partecipi in modo ancora più evidente ai vantaggi della crescita economica e sostenga quelle politiche che servono a migliorare la qualità e quantità dell’assistenza sanitaria pubblica e a permettere che pensioni relativamente generose possano essere pagate nonostante i cambiamenti demografici in atto.
Un modo per far lo è indicizzare le quiescenze in essere alla crescita economica. In Svezia, che ha adottato un regime pensionistico molto simile al nostro, le quiescenze in essere crescono di anno in anno in base al tasso di inflazione più la differenza fra il tasso di crescita potenziale dell’economia (che viene utilizzato nel calcolare il livello iniziale delle pensioni quando ci si ritira dalla vita attiva) e il tasso di crescita effettivo. Da noi si potrebbe prendere come riferimento la crescita del monte salari contributivo, la base con cui si finanziano le pensioni. E’ un modo al contempo per rendere il sistema sostenibile, quindi equo dal punto di vista intergenerazionale, e di favorire politiche che ci facciano tornare a crescere.

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17 commenti

  1. romano calvo

    Professore, non capisco perchè nei suoi interventi lei parla come se in Italia non fosse ancora vigente il sistema contributivo. Già ora i contributi previdenziali sono rivalutati annualmente sulla base del PIL nominale (quindi della ricchezza), mentre le pensioni in essere sono rivalutate sulla base di un indice istat che le salva faticosamente dall’inflazione. Il caso svedese che lei cita sarebbe una manna dal cielo per l’italia ma poi lei parla di rivalutare le pensioni in base al monte salari (?). E’ il caso che le ricordi che il sistema si basa su un contratto sociale delicatissimo, in cui è necessario garantire che ognuno riceva proporzionalmente a quanto ha versato e che i più deboli siano protetti perlomeno dall’indigenza? Estendo le mie perplessità anche agli interventi di agar brugiavini che da queste colonne continua a seminare errori (si veda mio intervento del 25/11) e ricette ammazza popoli. romano.calvo@libero.it

    • La redazione

      Io mi riferisco all’indicizzazione delle pensioni in essere, non alla rivalutazione del montante contributivo. Quindi il mio ragionamento prescinde dal regime applicato nel calcolo della pensione. In Svezia si utilizza la crescita del Pil rispetto alla crescita potenziale. Da noi utilizzerei il monte salari dichiarato perché c’è anche un problema di evasione fiscale. Salari e crescita del prodotto tendono peraltro a muoversi insieme nel corso del tempo. Cordialmente

  2. Angelo Verzegnassi

    In linea di massima l’idea proposta è logica e razionale; forse la mia conoscenza del sistema pensionistico non è approfondita, credo, però, che prioritariamente bisognerebbe forse svincolare tutti i calcoli pensionistici (dell’INPS intendo) dai calcoli e spese per cassa integrazione, sostegni salariali, etc..che l’ente sostiene e rendono confuso e variamente interpretato il suo bilancio. Oltretutto mi sembra che la CIG sia diventata una specie di autofinanziamento che le imprese (più o meno "decotte" o fuori mercato) usano per "tirare a campare". Non mi sembra che questo sia un sistema che possa far bene al "sistema impresa" piccola o grande che sia; non credo che sia un concetto così originale quello di separare l’idea di integrazione salariale (che deve essere diretto al lavoratore) da quello di incentivo all’impresa che ha progetti industriali di sviluppo validi per la cresita sociale del paese e quindi meritevoli di sostegno. Ringrazio per l’attenzione.

  3. Luigi Calabrone

    Il sistema attuale di rivalutazione delle pensioni in essere non protegge nel tempo l’originario potere di acquisto. Se un pensionato si permette di sopravvivere dieci, venti, trenta … anni da quando si è ritirato dal lavoro (evento ormai molto frequente – vedi il numero dei centenari attualmente viventi), il suo potere di acquisto, nel corso degli anni, diminuisce in misura notevole (15 – 30%, ed oltre) così che non gli è più possibile mantenere il tenore di vita iniziale. Lo stato, indecentemente, specula inoltre anche sull’inflazione, dato che da molti anni non rivede la struttura delle aliquote per eliminare il "fiscal drag". In Italia – a differenza di quanto avviene nei paesi civili – il reddito da pensione viene tassato come quello da lavoro. Tutto il sistema andrebbe rivisto con l’obiettivo di mantenere detto potere di acquisto, in termini netti. L’espediente di ridurre il peso del debito pubblico mediante l’inflazione era tipico delle "democrazie popolari" al tempo del muro di Berlino e dei governi Craxi-Andreotti, ed è particolarmente odioso nei confronti dei pensionati.

  4. Alberto Confetti

    Buona l’idea, sempre cercando di mantenere minimi decenti per tutti i pensionati. Ma perché non estendere l’iniziativa anche a tutti i dipendenti pubblici, che in fin dei conti sono gli unici (qualche milione…) a non partecipare ai sacrifici imposti dalla crisi?

  5. Antonio ORNELLO

    Professore, lei stesso dice che in Svezia l’inflazione viene più che recuperata, mentre al contempo suggerisce e propone che, da noi, i pensionati abbiano a pagare perfino l’evasione contributiva. Le faccio osservare che già da un pezzo i lavoratori ultratrentacinquennali sono obbligati al retributivo da una Legge del 2001 di cui ci si ostina a non voler discutere l’incostituzionalità, quindi ancora da pensionarsi poiché non hanno l’età minima nonostante quote-somma individuali ben superiori a 96, stanno pagando di tasca propria le carenze contributive degli autonomi (e delle donne), andando incontro, oltretutto, a una consistente riduzione dell’assegno pensionistico già al momento dell’erogazione per vecchiaia, pur avendo continuato per anni, dopo i 35, a versare infruttuosamente fior di contributi. Questa, sì, è indicizzazione; dei risparmi previdenziali, però!

  6. Antonio ORNELLO

    Anche se non è assiomatico che i risparmi previdenziali si traducano in crescita economica, è assolutamente certo che l’evasione contributiva e previdenziale, in questa nostra bella Italia imbarbarita da una sciagurata cultura del denaro "uber alles", è in ascesa apparentemente irrefrenabile e che essa non favorisce di sicuro né i risparmi previdenziali né tantomeno la crescita dell’economia nazionale macroaggregata, alla quale inopinatamente indicizzare le pensioni. A mio parere, invece, imperversa una montante depenalizzazione irresponsabile del fenomeno ed è diffusa una sconsolata rassegnazione dei lavoratori aventi diritto, forse anche ricattati da minacce di ritorsioni datoriali. Da che parte stia l’evasione è noto. E sono anche conosciuti i suoi perversi meccanismi, la cui attuazione, con tutta evidenza, non può lecitamente addossarsi ai pensionati. Anzi, tutt’altro, trattandosi di difetti che i pensionati hanno già dovuto "dribblare"; a forza e per definizione, altrimenti pensionati non sarebbero. Una indicizzazione alla rovescia, dunque. Da evitare.

  7. nino raviotta

    Concordo pienamente con l’analisi di Boeri, perchè come al solito si dimostra lungimirante. Se in Italia non si penserà ad una riforma in questo senso, al prossimo aumento inflazionistico il numero dei pensionati che non arrivano alla fine del mese crescerà in maniera esponenziale e sarà un danno per l’intera collettività per i riflessi che questo comporta in termini di minor capacità di spesa e maggiori esborsi per sanità e assistenza sociale. I pensionati hanno il diritto di vivere, non di sopravvivere stentatamente.

  8. Salvatore Venuleo

    Sicuramente, a mio avviso, nella politica dei redditi, la priorità dovrebbe essere la difesa dei redditi minimi e la difesa dei senza reddito. Forse perché consapevoli di tale priorità, i pensionati tacciano. Superato il senso di colpa, pensavo di porre il problema nel mio blog, anche sollecitato dalla scoperta che la mia pensione da gennaio 2009 a gennaio 2010 ha avuto un taglio nominale di 30 euro (grazie ad addizionali Irpef locali), malgrado la parziale rivalutazione Istat. I lavoratori possono negoziare periodicamente il loro salario e così difendersi dall’inflazione o anche (perché no) farlo crescere anche in termini reali. I pensionati sono abbandonati alla forza cieca di eventi che li vedono disarmati (inflazione, crisi). Ok dunque alla proposta Boeri, sacrosanta, ma non dimentichiamo neanche di lavorare per una anzianità attiva (lavoro, nella giusta misura di una "carriera discendente" e formazione permanente), mettendo in discussione alcuni tabu pensionistici. La mia solidarietà al professore Boeri per le cialtronate di La Russa a Ballarò del 9 febbraio scorso. Aveva fatto di peggio: v. "The others (gli altri): La Russa" in http://rossodemocratico.ilcannocchiale.it/

  9. CINCERA GIAN CARLO

    E se la crescita non c’è che si fà? Il caro vita mi sembra un parametro più sicuro che può essere finanziato dalla economia finanziaria, dal recupero dell’evasione fiscale, dal recupero di fondi e patrimoni illeciti, dagli sprechi energetici e di ogni altra natura, dal contrasto ai caroselli finanziari di scatole cinesi, al contenimento della spesa pubblica, ad un tetto massimo di diecimila euro mensili degli stipendi del governo delle istituzioni, forze armate, funzionari statali e parastatali ed infine dall’esonerare da ogni forma di imposizione fiscale centrale e periferica le pensioni non superiori ai duemila euro mensili garantendo inoltre a queste categorie la gratuità totale della sanità e dei servizi sociali. Tutto questo a favore del consumo motore dell’economia e fonte di maggiori entrate fiscali! In questo scenario i pensionati diventano cosi’ protagonisti dell’economia reale e non più soggetti poveri e passivi!

  10. mari

    Totalmente d’accordo con la ricetta proposta dalla Sig. Cincera Gian Carlo.

  11. Luciano Galbiati

    Una notizia trascurata dai media. Il neopresidente cileno Sebastian Pinera (non un barbuto rivoluzionario,ma leader dei conservatori) vuole riformare i costosi e inefficienti fondi pensione privati. Il mitizzato sistema previdenziale cileno (privatizzato e liberalizzato nel 1981) si è rivelato un clamoroso fallimento del mercato (al pari del credit-crunch globale e del sistema sanitario statunitense). Le ragioni sono descritte nell’articolo "Per il magnate Pinera welfare da rifondare" Sole 24 Ore 19/01/10. La flessibilità del lavoro introdotta negli anni 80 non ha consentito ai lavoratori di avere un’occupazione stabile.E quindi effettuare versamenti regolari.(la media è 5 mesi per anno).E l’inefficienza della gestione (costi di gestioni superiori al 30%).I Chicago boys, padri del modello,sbagliarono clamorosamente sovrastimando la capacità di contribuzione. Una catastrofe come "strada previdenziale". La crisi ha demolito falsi miti e "indiscutibili" dogmi. Tutti i presunti punti di forza del turbo-capitalismo (deregulation,finanziarizzazione, tutele sociali residuali) si sono rivelati fattori determinanti la crisi e ostacolo alla ripresa globale.

  12. Canio Caputo

    Condivido il suo punto di vista! L’Italia è una nazione miope, dove le "forze politiche" cercano di dare una risposta contingente ai problemi strutturali, mentre demandano al futuro necessità che andrebbero subito affrontate. Si ha paura di innovare, perché si ha timore di diventare “impopolari”… si pensa a garantire l’occupazione o meglio il “mito” del posto fisso tralasciando di affrontare questioni sociali non meno importanti. Purtroppo le diverse sigle sindacali pensano a mobilitare le “masse” solo per la difesa del posto di lavoro, dimenticandosi di informare l’opinione pubblica sulla necessità di indicizzare le quiescenze alla crescita economica. Tanto questo non è un problema imminente, meglio affrontarlo più tardi possibile! Manca il coraggio da parte dei governanti di andare contro le lobby sindacali, di perdere il consenso pubblico affrontando con decisione la questione pensionistica nel suo complesso. Fino a quando si preferirà prendere decisioni contingenti e di compromesso, che sono in contrasto con l’interesse generale dell’Italia, si rimarrà un paese governato da persone miopi e avverse ai cambiamenti. Siamo un popolo troppo conservatore! Coraggio!!!

  13. Pino Lobasso

    Sono un ex dirigente d’azienda che 14 anni fa è andato in pensione con un’anzianità contributiva di 43 anni. Poco dopo, i vari governi che si sono succeduti, hanno bloccato l’adeguamento al costo della vita del mio assegno pensionistico e ciò mi ha costretto via via a ridurre il mio tenore di vita. Nello stesso modo si sono comportati i miei colleghi, dando luogo ad una importante recessione economica che non ha certamente giovato all’Italia, oltre che a me. La riduzione dei consumi di qualità ha oltretutto causato la crisi delle aziende italiane favorendo la crescita delle importazione di prodotti a basso costo dall’est e, se questa scarsa attenzione verso i pensionati si perpetrasse, dovremmo, come dice Boeri, disdire la copertura assicurativa sulla salute peggiorando ulteriormente i conti dello Stato. Se poi il risparmio in obbligazioni detenuto dai pensionati italiani cadesse in mani straniere, saremmo infine alla bancarotta!

  14. Antonio Ornello

    Evidentemente l’importo delle pensioni è da agganciarsi al caro vita, per tutti. E’ fin troppo semplice, ma può bastare. E che si lasci stare politica, sindacati, professori, paure, tornaconti, lobbies, federalismo.. Piuttosto, sarebbe opportuno differenziare i trattamenti iniziali a seconda dei versamenti cumulati, mentre adesso – per esempio – è indifferente se, a 60 anni, si va in pensione con 36 anni di contributi o con 42. Allora un dubbio mi sovviene: che l’equità sia diventata un disvalore (?). Purtroppo per tutti sono in molti a vantare il "coraggio" di combatterla, specialmente tra coloro che intendono continuare a detenere il potere. Ma basta!

  15. commento

    Il problema è riuscire a difendere un sistema pensionistico che traballa paurosamente!

  16. Armando Coppedè di Massa Carrara

    Dopo 33 anni di duro lavoro, come palista in una cava, la politica e non il mio datore di lavoro, mi ha messo a casa. Quella stessa politica che dovrebbe favorire il lavoro e cioè la sinistra comunista dettata in questo caso da un Sindaco di tale schieramento politico. Mi riferisco al Sig. Neri di Seravezza (LU) che, incurante dei problemi di molti operai come me, ha deciso di porre fine a un’ industria sana non inquinante perfetta per l’ambiente. Mi manca ancora qualche anno alla pensione ed è difficile trovare un altro lavoro. Vorrei che il Presidente del Consiglio leggesse queste umili parole.

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