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LAVORARE A MILANO. DA CLANDESTINI

L’immigrazione irregolare, per sua stessa natura, sfugge ai tentativi di misura e rilevazione. Tuttavia, esistono banche dati che permettono di analizzare alcuni aspetti del fenomeno. Per esempio i dati del Naga descrivono l’inserimento di persone senza permesso di soggiorno nel mercato del lavoro milanese e lombardo. E ne evidenziano gli alti livelli di istruzione, con tassi di occupazione e di partecipazione superiori a quelli lombardi. Nonostante le difficoltà della loro permanenza in Italia, sono una forza lavoro decisa e dinamica. Ma quali prospettive hanno?

immigrazione irregolare è uno dei temi “caldi” del dibattito mediatico e politico in Italia. Il fenomeno, per sua stessa natura, tende a sfuggire ai tentativi di misura e rilevazione. Il che permette al dibattito e alle decisioni politiche di avere luogo senza alcun legame con un’analisi rigorosa dei fatti, e di fondarsi, invece, su indebite generalizzazioni, evidenza aneddotica e pregiudizi. Se è vero che le fonti di informazione sull’immigrazione irregolare non abbondano, molti suoi aspetti possono tuttavia essere conosciuti e analizzati. Basta sapere, e volere, cercare. (1)

LA BANCA DATI NAGA

Il Naga è un’associazione milanese che dal 1987 offre supporto legale e sanitario agli immigrati non in regola col permesso di soggiorno. (2) Nel solo 2008 ha raccolto informazioni socio-demografiche su quasi 4.400 immigrati che si sono rivolti per la prima volta all’associazione per ricevere assistenza sanitaria. Si tratta di una banca dati unica e particolare, che presenta evidenti questioni di selezione e rappresentatività del campione. Ciononostante, la sua analisi permette di approfondire importanti aspetti dell’immigrazione irregolare. Per esempio, i dati Naga descrivono dettagliatamente l’inserimento nel mercato del lavoro milanese e lombardo degli immigrati clandestini. 

IL TASSO DI OCCUPAZIONE DEI CLANDESTINI

Nel 2008 il 62 per cento degli utenti che si sono recati per la prima volta al Naga aveva un lavoro (tabella 1). Guardando alle differenze di genere, si nota come la percentuale di donne occupate sia leggermente superiore a quella degli uomini. D’altra parte, anche il tasso di inattività femminile (quasi 4 per cento) è più elevato di quello maschile (1 per cento), benché entrambi siano molto bassi rispetto ai livelli medi italiani.
Nello stesso 2008 il tasso di inattività della popolazione italiana tra i 15 e i 64 anni, infatti, era pari a circa il 37 per cento, per scendere al 30 per cento in Lombardia dove le prospettive di impiego sono migliori e la partecipazione al mercato del lavoro, in particolare delle donne, è più alta rispetto alla media del paese. (3)
Questa enorme differenza tra italiani e immigrati è solo in parte imputabile a fattori demografici (l’età media del campione Naga è di 33 anni) perché si riduce scegliendo un adeguato gruppo di confronto, ma non scompare e per le donne rimane di circa 16 punti percentuali. Piuttosto, è dovuta principalmente al fatto che gli immigrati (senza documenti) rappresentano un gruppo particolare di popolazione: sono generalmente in Italia da non molto tempo, sono stati probabilmente spinti a emigrare dalla volontà di cercare lavoro, non hanno accesso a prestazioni assistenziali e difficilmente possono avvalersi di fonti di sostentamento diverse dai redditi da lavoro, come risparmi, sostegno da membri della famiglia o rendite. Non sorprende pertanto che siano pressoché tutti alla ricerca di lavoro o già occupati.

QUANTO CONTA LA PERMANENZA IN ITALIA

Gli immigrati hanno bisogno di un po’ di tempo per “orizzontarsi”, imparare la lingua, capire dove e come cercare lavoro. La probabilità di occupazione dovrebbe pertanto aumentare con la durata della permanenza in Italia. Infatti, mentre la percentuale di occupati per coloro che risiedono in Italia da meno di un anno è solo del 34 per cento, dopo due anni di permanenza sale a circa il 65 per cento e continua ad aumentare fino al 76 per cento dopo quattro anni. L’aspetto più sorprendente di questa evoluzione è la rapidità con cui avviene – con un salto eccezionale dopo il primo anno di permanenza – e i livelli a cui arriva, che sono superiori a quelli degli italiani: in Italia il tasso di occupazione nella fascia di età 15-64 anni è del 58,7 per cento; il 67 per cento in Lombardia.
La figura 1 ne mostra l’andamento, distinguendo per genere. Le donne superano il 70 per cento di occupate già al secondo anno, dopodiché il profilo è piuttosto piatto, mentre per gli uomini si verifica una progressione più graduale. Il divario tra uomini e donne, a favore di queste ultime, si assottiglia all’aumentare degli anni di permanenza, raggiungendo il minimo tra il terzo e il quarto anno, quando le donne sono occupate al 76 per cento, mentre gli uomini al 75 per cento, ma non scompare mai.

…E IL LIVELLO DI ISTRUZIONE

Lo status di “irregolare” degli immigrati del nostro campione limita le loro possibilità occupazionali al solo mercato del lavoro nero. L’importanza dell’istruzione formale all’interno di questo mercato è assai ridotta per sua stessa natura. Ciononostante, un maggior livello di istruzione è chiaramente associato con un migliore inserimento nel mercato del lavoro: la percentuale di occupati, infatti, passa da circa il 36 per cento per gli analfabeti al 72 per cento per coloro che hanno qualche tipo di istruzione universitaria. Tale vantaggio non è probabilmente da attribuirsi alle competenze specifiche detenute dai migranti più istruiti, quanto ad altre caratteristiche che sono generalmente associate a un maggiore grado di istruzione (maggior facilità nell’apprendimento, in particolare della lingua italiana, maggior facilità nel venire a conoscenza e usufruire di servizi per gli immigrati, una migliore rete sociale e così via) e che favoriscono la ricerca e il mantenimento di un posto di lavoro. L’effetto del livello di istruzione sulla condizione lavorativa è analogo per uomini e donne (Figura 2). Per le donne, tuttavia, il miglioramento della condizione lavorativa all’aumentare del livello di istruzione è assai più marcato. Il tasso di occupazione femminile varia dal 17 per cento per le analfabete al 76 per cento per le donne con istruzione universitaria, mentre quello maschile è compreso tra il 43 per cento degli analfabeti e il 68 per cento di coloro che hanno frequentato l’università.

QUALE FUTURO PER I LAVORATORI CLANDESTINI?

Complessivamente, gli immigrati irregolari nell’area milanese evidenziano alti livelli di istruzione, un elevato tasso di occupazione e tassi di partecipazione al mercato del lavoro superiori a quelli lombardi. Nonostante le infinite difficoltà della loro permanenza in Italia, sono una forza lavoro decisa e dinamica. Quali sono le loro prospettive future? Rimanere “sommersi” per qualche altro anno, subire un’espulsione o un processo per il  reato di clandestinità recentemente introdotto. Oppure, riuscire a diventare regolari attraverso il prossimo decreto flussi, sempre che il governo decida di sospendere la moratoria sui nuovi ingressi per lavoro non stagionale. Con quasi 290mila domande e circa 40mila nella sola provincia di Milano, la sanatoria di badanti e colf si è appena conclusa. Ha stabilito un’incomprensibile gerarchia tra lavori più o meno meritevoli di regolarizzazione. Nel campione Naga del 2008, lavorano presso una famiglia il 60 per cento delle donne occupate e solo il 4 per cento degli uomini. Ci auguriamo che siano riusciti a fare domanda. E tutti gli altri?

(1) Si veda per esempio Blangiardo, G. C. e P. Farina (a cura di), Il Mezzogiorno dopo la grande regolarizzazione. Immagini e problematiche dell’immigrazione, 2006, Milano, Franco Angeli. Chiuri, M.C., N. Coniglio e G. Ferri, L’esercito degli invisibili – Aspetti economici dell’immigrazione clandestina, Il Mulino, Collana Studi e Ricerche, febbraio 2007. E Fasani F. “Undocumented Migration Counting the Uncountable. Data and Trends across Europe – A country report for Italy”, 2009, http://clandestino.eliamep.gr/wp-content/uploads/2009/10/clandestino_report_italy_final_3.pdf
(2) Per una descrizione dei dati Naga si vedano Devillanova, C.: “Social networks, information and health care utilization: Evidence from undocumented immigrants in Milan”, Journal of Health Economics, Volume 27, Issue 2, March 2008, Pages 265-286. E Devillanova, C., Fasani, F., e T. Frattini: “Cittadini senza diritti. Rapporto Naga 2009 – Ingombranti inesistenze”, 2009, http://www.naga.it/index.php/Studi_e_ricerche/articles/ingombranti-inesistenze-rapporto-naga-2009.html 
(3) Tutti i riferimenti al mercato del lavoro italiano e lombardo sono relativi alle medie 2008 dall’Indagine Istat delle forze di lavoro. Nel confronto, occorre sottolineare le differenze nelle definizioni e nella compilazione del questionario Naga: per esempio, è possibile che parte degli individui, donne in particolare, che si dichiarano “disoccupati” verrebbero classificati come “inattivi” dall’Istat.

Tabella 1 – Condizione lavorativa per genere

  Donne Uomini Totale
Occupati 65 59.2 61.6
Disoccupati 31.3 39.9 36.4
Inattivi 3.7 0.9 2.1
Ogni colonna riporta la distribuzione (in percentuale) per situazione lavorativa del campione nel 2008.
Fonte: elaborazione su dati Naga 2008

 

Figura 1 – Condizione lavorativa per genere e anni di permanenza in Italia, 2008.

Figura 2 – Condizione lavorativa per genere e livello di istruzione, 2008.

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  1. Bruno Stucchi

    Se ho ben capito, la Naga (nome abbastanza infelice e quasi inquisitorio) ha schedato, illegalmente, almeno 4200 persone. Suppongo che la Prefettura e il Ministero degli Interni non ne siano al corrente. Perchè se lo avessero fatto loro, apriti cielo! Eh già, la privacy e altre bischerate qui non contano. Ps. Sul sito ufficiale della Naga, alla voce "Chi siamo", non si da nessuna risposta. Fuori i nomi. Saranno mica la P2, vero?

  2. Luca Neri

    L’associazione tra tempo di permanenza in Italia e status occupazionale e’ probabilmente viziata da un potente effetto di selezione. I migranti sono una popolazione per definizione molto mobile. Dopo un certo periodo senza occupazione e’ probabile che "cambino aria". Essendo l’analisi trasfersale non e’ possibile cogliere questo effetto e si e’ tentati di attribuire l’aumento di occupazione interamente ad un processo di apprendimento. Il contributo relativi di questi due fattori non è distinguibile con i dati disponibili.

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