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ITALIA 2020: LA RICETTA DEL GOVERNO È IL FAMILISMO

Il modello che il governo propone per l’Italia del prossimo futuro è ancora quello di una famiglia in cui la generazione dei nonni aiuta ad accudire i nipoti, per permettere ai neogenitori di rimanere sul mercato del lavoro. In cambio, figlie e nuore si prenderanno cura degli anziani quando diventeranno non autosufficienti. Per le famiglie si prevedono dunque obblighi formali di assistenza, senza però dare loro un adeguato sostegno economico e di servizi. E quindi senza raggiungere l’obiettivo primario: accrescere la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro.

“Sempre più numerose sono le famiglie nelle quali gli anziani, coabitanti o meno, offrono il loro aiuto nelle azioni di accompagnamento e di assistenza dei minori, assicurando così alla donna la possibilità di partecipare al mercato del lavoro, oppure mettono a disposizione la loro pensione nella vita familiare. E nello stesso tempo trovano nelle famiglie la risposta ai loro bisogni e alle loro paure. È questo il patto intergenerazionale che vogliamo promuovere”. Così sostiene a pagina 15 il recente documento congiunto del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e del ministero per le Pari opportunità intitolato “Italia 2020”.
Il modello quindi è quello di una famiglia in cui la generazione dei nonni aiuta i figli in età lavorativa ad accudire i nipoti, in modo da permettere ai neo genitori di rimanere sul mercato del lavoro. Poi un qualcuno non meglio specificato, ma sappiamo che sono quasi sempre le figlie e le nuore, si prenderà cura dei nonni quando questi diventeranno non autosufficienti.
Non è che sia qualcosa di nuovo, è ciò che vediamo tutti i giorni attorno a noi. Famiglie sotto pressione per coordinare i tempi e le necessità di cura di anziani e bambini, oppure donne che escono dal mercato del lavoro per non rimanere “schiacciate” dalle molte richieste di cura a cui devono rispondere con scarso aiuto dei mariti (come dice il documento) e dei servizi pubblici (come non dice il documento).
 
DAL FAMILISMO PER DEFAULT…
 
Analizzare i pro e i contro di questo modello di relazioni intergenerazionali ci porterebbe lontano. (1) Qui vogliamo invece tentare di rispondere a una domanda: cosa prevede di nuovo il “Programma di azioni per l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro” al fine di promuovere questo modello di patto generazionale?
Subito dopo il paragrafo citato, il documento fa riferimento a tre possibili misure per sostenere il patto intergenerazionale di cura reciproca: agevolazioni fiscali o trasferimenti monetari e in natura; possibilità di cumulare crediti per prestazioni sociali; dovere di assicurare a chi ha oneri di cura contratti e orari di lavoro flessibili.
Di fatto non c’è nulla dal lato dell’offerta pubblica di servizi. Da un lato, si persegue nella strada già battuta di (modeste) agevolazioni economiche per chi si prende cura dei propri cari; dall’altro si promette di stabilire un dovere per i datori di lavoro di offrire un’organizzazione temporale del lavoro compatibile con gli oneri di cura. Per altro, le tre misure appena evocate scompaiono del tutto nella parte “programmatica” del documento. Anche in questa sezione non si prefigura un ruolo dello Stato che vada al di là di un mero coordinamento del dialogo tra lavoratori e datori di lavoro affinché trovino loro una soluzione al rebus della doppia necessità di aumentare l’occupazione femminile e di venire incontro ai bisogni di cura di una popolazione sempre più anziana.
Il documento è quindi in linea con quello che gli studiosi chiamano il modello del familismo per default. Tradotto, significa che si prevedono obblighi formali per le famiglie di assistere i soggetti che necessitano cura, senza però dare loro un sostegno adeguato. Non v’è traccia dell’intenzione di fare ciò che la grande maggioranza dei nostri vicini europei ha fatto già negli anni Novanta (e anche la Spagna c’è arrivata in anni recenti), ovvero di sviluppare un sistema di protezione sociale che copra le necessità di cura di lungo termine di una popolazione che va invecchiando rapidamente.
L’indennità di accompagnamento, riservata solo alle persone totalmente non autosufficienti, rimane l’unica politica significativa in termini di supporto finanziario alle persone anziane con bisogno di cura.
In alcune regioni vi si affianca l’assegno di cura, che tuttavia ha una copertura inferiore al 2 per cento anche là dove più diffuso. In generale, si tratta di trasferimenti monetari di importo tale per cui non vi si può acquistare cura professionale sul mercato regolare dei servizi alla persona, o uscire dal mercato del lavoro per accudire un genitore senza timore di cadere in povertà. Sul lato dei servizi di cura i dati sono ancora più disarmanti: la copertura non supera mai il 3-4 per cento a livello nazionale, mentre nel 2000 le stime dell’Istat e dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali riportavano una incidenza dei disabili nella popolazione anziana tra il 20,6 e il 12,2 per cento. Se si vuole sostenere il modello intergenerazionale, è chiaro che bisogna fare molto di più.
 
…AL FAMILISMO ESPLICITO
 
I modelli alternativi non sono solo quelli defamilizzanti dell’Europa scandinava, ma anche quelli del familismo esplicito, sostenuto con risorse pubbliche, dell’Europa continentale. In questo ultimo modello la famiglia deve farsi carico di una larga parte del lavoro di cura, ma viene aiutata con trasferimenti degni di nota e servizi di accompagnamento. Ad esempio, i sistemi di cura di Austria e Germania sono regolati da principi molto simili a quelli italiani. Tuttavia, non solo la copertura dei servizi di cura residenziali e domiciliari è ben più alta che in Italia, ma vi sono anche sistemi assicurativi per le cure di lungo termine che forniscono alle famiglie un supporto significativo. Nel 2006, quando l’indennità di accompagnamento in Italia era pari a 450 euro, il trasferimento massimo previsto in Austria era di 1.562 euro, mentre in Germania il massimo era pari a 665 euro (o 1.432 euro se si optava per ricevere servizi). Inoltre nei due paesi si coprono in misura diversa diversi gradi di disabilità, non escludendo i casi meno gravi. E le famiglie sono libere di scegliere se ricevere servizi, soldi o un mix dei due.
Dal documento Italia 2020, purtroppo, non emerge alcune segnale che il governo si muova in questa direzione. E pare difficile che i ministri stiano pensando di allargare la platea di chi riceve aiuto economico e, allo stesso tempo, di portare i trasferimenti a un livello “europeo”. Se le famiglie dovranno continuare a occuparsi degli anziani non autosufficienti, senza che venga aumentata l’offerta di servizi pubblici o senza portare i trasferimenti monetari a un livello adeguato, è inevitabile che si accetti l’utilizzo di badanti assunte spesso fuori regola, oppure che molte figlie e nuore escano dal mercato del lavoro. Il familismo per default non aiuta ad aumentare la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro, che pure è l’obiettivo esplicito delle azioni menzionate nel documento Italia 2020. Il rischio è che per le famiglie e le donne) italiane, l’Italia del 2020 sia tragicamente uguale a quella del 2009.
 
 
(1) Si veda il recente libro di Alberto Alesina e Andrea Ichino L’Italia fatta in casa, Mondadori.

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15 commenti

  1. Erica

    Il panorama che presenta è tanto sconfortante quanto vero, quanto ancor di più intuibile se solo le persone si fermassero a riflettere e a fare un po’ due più due. Purtroppo oltre a mancare un adeguato sostegno economico e di servizi ai nuovi adulti, manca da parte di questi ultimi anche un po’ di sensibilità sociale. Purtroppo, in Italia, c’è anche questo fattore da considerare e cioè l’abitudine dell’italiano medio a guardare il proprio orticello e a cercare di renderlo più verde di quello del vicino. Se poi riesce a scaricare le sue acque nere nell’orto di qualcun altro è ancora più contento. Sono molti quelli che prendono assegni familiari ma che in realtà non ne hanno bisogno, sono molti quelli che intestano un bene a un parente disabile e poi lo usano come fosse loro. Così come sono molti quelli che non pagano le tasse, bloccando completamente le entrate che dovrebbero andare a rimpinguare le casse dello Stato. (Che poi lo Stato assorbe quel poco che può e poi ci paghi i debiti di Alitalia, questo è un altro conto). Grazie per l’articolo, molto interessante! Erica

  2. Franco M.

    Non c’è nulla di nuovo. Anche in questo caso il Governo dimostra illimitata fiducia nel cardine della sua azione economica che è: "tirate a campare" oppure "arrangiatevi". Con gli enti locali sempre più alle prese con vincoli di bilancio insostenibili, con le famiglie che non vengono sostenute da politiche fiscali coraggiose, ditemi voi come può una famiglia farsi carico dei bambini, dei disabili e degli ammalati? E chi penserà agli anziani che vivono soli o hanno i propri figli e nipoti che vivono lontani? Una possibile -inevitabile- soluzione sarà aumentare l’"importazione" di badanti. Così, da una parte, si fa la faccia dura contro l’immigrazione clandestina e dall’altra la si incentiva nei fatti. Che ipocrisia!!

  3. Carlo Cipiciani

    Oltre ai complimenti per l’articolo, che centra i punti più controversi del documento Sacconi-Carfagna, mi permetto di aggiungere le scelte fatte in materia di organizzazione scolastica. Lo aveva scritto su La voce di Daniela del Boca: il governo con gli interventi sull’orario scolastico e sul tempo pieno nelle materne (fatto per far cassa) si è mosso in direzione esattamente opposta a quella indicata dal Prof. Albertini. Un caro saluto.

  4. marta

    Il familismo di default presuppone che l’assetto sociale non muti. La struttura familiare dovrebbe rimanere stabile per garantire parità di cura e servizi. Uno dei problemi di cui non si tiene conto in questo modello è che "la famiglia" non è un’unità sempre uguale a se stessa. Negli ultimi 20 anni è cambiata molto e tra 10 anni sarà tutt’altra cosa rispetto a quella che conosciamo noi. I tassi di natalità sono bassi, le famiglie disgregate, spesso mononucleari. Non solo: i redditi dei futuri pensionati non saranno pari a quelli degli attuali che garantiscono un cuscinetto alle nuove generazioni. Inoltre, il dover stare al lavoro più a lungo non renderà disponibili "i nonni" per la cura dei bambini. Insomma, non si tiene conto che il modello su cui stiamo ragionando non esisterà più, perchè è già profondamente cambiato.

  5. marco tesei

    La societá è cambiata…a figlie e nuore va aggiunto figli e generi ed allo stesso tempo con i ritmi di lavoro e la necessitá di lavorare a migliaia di chilometri da casa rende impossibile l’assistenza ai cari anche quando lo si volesse con tutto il cuore. E`ora che le istituzioni inizino a valutare inanzitutto di non continuare a vendere i patrimoni dello stato (ma come fanno tutti cercare di trarci profitto) ed incentivare politiche per la terza etá, ad esempio iniziando anche con incentivi su prodotti assicurativi tipo le polizze "long term care" per poi arrivare ad attivarle all’interno del sistema di previdenza nazionale. Purtroppo, il governo si dimostra anacronistico e figlio di una societá maschilista che speriamo scompaia.

  6. Giuseppe

    Il modello ha una mancanza: non prevede che i figli si possano trasferire in un’altra città/regione. Chi assiste i genitori se i figli, per esigenze di lavoro, sono costretti a trasferirsi altrove? Siccome il mercato del lavoro è diventato molto flessibile, spesso i giovani sono costretti a lasciare la propria città e a trasferirsi in altre regioni d’Italia (o anche d’Europa). Chi assisterà i loro genitori quando saranno anziani? Gli eventuali fratelli/sorelle rimaste nella città d’origine? E se uno è figlio unico oppure anche il fratello si è trasferito altrove, che succederà? Il modello del Governo immagina un’Italia immobile, in cui non c’è alcuna mobilità geografica, in cui non si esce mai neanche dalla casa dei genitori. Tutto questo contrasta col mercato del lavoro, che ti impone spesso una forte flessibilità geografica. Governo svegliati!

  7. Luca Neri

    Nelle sue conclusioni il prof. Albertini suggerisce che piu’ alti trasferimenti comportino una maggior partecipazione femminile al mercato del lavoro. Questa conclusione mi pare controintuitiva e andrebbe meglio supportata. Avendo un reddito per la cura degli anziani la famiglia potrebbe decidere di ridurre il tempo dedicato all’impegno lavorativo remunerato; e’ anche vero pero’ che un trasferimento sufficientemente alto protrebbe incoraggiare l’acquisizione di servizi di cura e di utilizzare una maggior quantita’ di tempo per attivita’ lavorative remunerate. Il rischio che un aumento dei trasferimenti per la cura dei familiari non autosufficienti incentivi una riduzione della partecipazione lavorativa non puo’ essere sottovalutato. Il punto di equilibrio di questi due effetti contrastanti non e’ teoricamente determinabile e dovrebbe essere valutato empiricamente.

  8. Massimo GIANNINI

    Dal momento che il governo é gerontocratico e il suo modo di pensare riflette la percentuale di elettori over 60 che lo hanno votato (estremamente elevata), non é un caso la ricetta proposta. D’altra parte quella generazione ci ha in generale indebitato (o meglio si é indebitata) e ora passa alla cassa visto che é generazione di nonni. Questo dimostra l’ennesimo conflitto d’interessi, questa volta intergenerazionale dove anche la generazione di chi ci governa pensa a se stessa.

  9. cazzaniga maria nella

    Dal mio osservatorio privillegiato se così si può dire dello sportello n.a. del comprensorio Spi Brianza, gli aspetti sottolineati dal professore sono molto veri, sia sulle politiche governative e regionali, sia delle difficoltà che spesso nella cura tornano in capo alle donne. Il dramma che si vuole ignorare è che con palliativi come i vaucher etc non si va da nessuna parte, il dramma vero riscontrato ogni giorno sono la compartecipazione alla spesa per le rette troppo alte nelle Rsa della nostra provincia, nei CDI e sopratutto un progressivo impoverimento nel ruolo dei servizi Asl, comuni, ormai quasi tutti vaucherizzati. Inoltre, un altro grosso problema riguarda per i n.a. il trasorto sociale, a volte per mancanza di aitui si rinuncia alla cura anche di gravi patologie, certo se una persona avesse i mezzi finanziari forse riuscirebbe a fruire della continuazione dell’assistenza. Grazie per l’ascolto. Marianella Cazzaniga

  10. Luca Santini

    Non vede "scandoloso" che i figli si prendino in carico i genitori quando questi diventano non autosufficienti o i nonni devono (possono) accudire i nipoti per permettere ai figli di lavorare. La nostra società per anni è andata avanti così e sta andando ancora avanti in questa maniera; generalmente l’amore che i nonni danno ai nipoti o che i figli danno ai genitori è insostituibile da strutture (asili, istituti, ecc.) sia pubbliche che private (anche eccellenti). Il problema, però, se si vuole questo modello, e ripeto, penso sia il migliore, deve essere supportato dallo Stato con politiche sociali ad-hoc. Gli sgravi fiscali dovrebbero essere associati anche da politiche di aiuto concetro alle famiglie come un potenziamento dell’assistenza domiciliare in modo che le strutture assistenziale diventino più snelle, cioè che si occupino in prevalenza di casi difficili da far gestire alla famiglia. Per quanto riguarda l’infanzia il problema è quello del potenziamento degli asili, un problema cronico che ha una sola soluzione: crostruirli o potenziare quelli esistenti. Nel modello la famiglia è interessata tutta: uomo e donna, marito e moglie con figli/e e nonni/e.

  11. Paola Damiani

    Il governo considera un’Italia unica e omogenea, mentre molto diversa è la realtà. Sarebbe molto meglio una completa delega alle regioni, che potrebbero, in materia di welfare dare un migliore contributo al proprio territorio. La percentuale di donne che lavora è infatti molto diversa tra regioni e punto dolente dell’economia italiana. Un assegno di cura o assistenza sarebbe un ulteriore disincentivo nella ricerca dello stesso. Se proprio si vuole scegliere il familismo almeno lo si colleghi a condizioni lavorative dei soggetti interessati, comprovate da controlli efficaci. Buona giornata a chi legge…

  12. Gualtiero Bonera

    E’ da più di vent’anni che si discute sulle conseguenze negative che le politiche sociali improntate sul familismo provocano ad un sistema economico, quando in quest’ultimo il lavoratore standard -che è il presupposto essenziale per il familismo- è ormai estinto. Nella fase attuale, in condizioni di bassissima crescita, di precarie condizioni dei conti pubblici, ecc, probabilmente il familismo è la ricetta giusta, ma solo per un politica di breve respiro ed incapace di pensare alle esigenze dei lavoratori futuri. In tal senso giocano un ruolo antiriformistico, assieme ai politici, i sindacati: vogliono dare l’immagine di essere i veri protettori della classe lavoratrice, ma nella realtà proteggono i propri interessi legati indissolubilmente ai pensionati ed ai lavoratori più protetti, abbandonando a se stesse le classi più giovani. Se veramente si vogliono fare uscire le donne dagli impegni full time della famiglia, forse è venuto il momento di adottare il modello svedese, nel quale alle donne sono riservati posti di lavoro statali ad orario ridotto, forniti di molte agevolazioni per le mamme lavoratrici. Ma siamo in l’Italia, non in Svezia!

  13. M. Cristina Caimotto

    Agli altri interessanti commenti aggiungerei ancora un aspetto: l’età media in cui una giovane coppia riesce a raggiungere la minima sicurezza economica necessaria per pensare a un figlio si sposta sempre più avanti, quindi invece del modello descritto si rischia una situazione in cui i genitori (le mamme / nuore) devono occuparsi contemporaneamente di genitori anziani e figli piccoli e le pensioni che dovrebbero dare un aiuto servono in realtà per pagare le badanti. Grazie per l’interessante articolo.

  14. oristazzi achielle

    E chi non ha figli cosa farà?

  15. Condello Giuseppe

    E’ chiaro che vi sia una incomprensione esplicita dei processi socialmente rilevanti e del loro divenire. O più semplicemente una impostazione ideologicamente menefreghista riguardo alla vera soluzione di problemi strutturali della società italiana. Dovrebbe privilegiarsi in termini di politiche pubbliche la possibilità di permettere un mix di opzioni alle famiglie in ragione di precise esigenze. Servizi pubblici di sostegno alle famiglie in cui vi sono infanti e persone non autosufficienti e trasferimenti monetari, come anche servizi di consulenza legale e contrattuale, specie per quest’ultima misura in zone a forte disagio sociale, culturale ed economico, penso ad esempio al mezzogiorno e alle grandi periferie urbane delle città del centro e del nord. Il vero problema è che ci deve essere linearità e coerenza tra obiettivi e mezzi. Far partecipare le donne al mercato del lavoro significa anche investire in politiche pubbliche di sostegno e, quindi, investire, ma per un presunto rigore di bilancio si assume l’incoerenza nei documenti programmatici. Come dire alla fine: ma il disegno, il progetto dov’è? Quindi ormai si viaggia col modello formato contingenza e precarietà.

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