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LE POLITICHE INDUSTRIALI MIGLIORI? QUELLE CHE FUNZIONANO *

La Finanziaria ha disposto l’aumento di 400 milioni di euro per il prossimo biennio delle risorse destinate a finanziare il credito d’imposta per gli investimenti in ricerca. Si tratta di un segnale di attenzione verso una problematica importante. Tuttavia è essenziale che ogni misura di incentivazione si basi su una rigorosa valutazione dell’impatto di analoghi interventi precedenti. Per questo è necessario che si diffonda anche nel nostro paese una nozione standard del concetto di valutazione. E divenga più facile l’accesso ai dati.

Gli effetti della crisi finanziaria sull’economia reale hanno stimolato un rinnovato interesse verso la politica industriale come strumento che li possa attenuare. Da più parti si richiede un intervento pubblico che aiuti le nostre imprese a recuperare competitività, spesso senza riconoscere che i problemi dell’economia nazionale sono strutturali e che la crisi li ha solo resi più gravi. La vecchia logica degli aiuti di Stato diretti a specifiche imprese o settori è stata progressivamente superata grazie alla spinta della Commissione europea. Nell’ultimo decennio l’attenzione si è così spostata dalle politiche verticali alle politiche orizzontali, che privilegiano la riduzione degli squilibri territoriali, la tutela dell’ambiente, la ricerca e sviluppo, l’innovazione, gli investimenti, la formazione. L’eventuale adozione di misure specifiche nell’attuale fase congiunturale non può e non deve essere un modo surrettizio per tornare agli aiuti di Stato.
 
PAROLA D’ORDINE: INNOVAZIONE
 
Al di là degli annunci, le risorse che il governo italiano ha messo in campo non potevano che essere esigue, dati i vincoli stringenti del bilancio pubblico e la priorità degli ammortizzatori sociali rispetto alle politiche industriali. La parola chiave gridata da più voci per uscire dalla crisi è innovazione. E nella Finanziaria 2010 si dedicano risorse aggiuntive a questa finalità. È stato infatti incrementato di 400 milioni di euro per il prossimo biennio il fondo destinato al credito d’imposta per gli investimenti in ricerca delle imprese, introdotto nel nostro paese già con la Finanziaria 2007, ma sull’efficacia del quale non sono state ancora diffuse evidenze.
Per evitare scelte che potrebbero rivelarsi non ottimali, è assolutamente necessario tenere in considerazione l’impatto di interventi analoghi varati in passato. È anche necessario specificare chiaramente gli obiettivi che si vogliono perseguire. È qui di ostacolo la mancanza nel nostro paese di una diffusa cultura della valutazione, senza la quale si rischia di indirizzare risorse laddove gli strumenti di incentivo si sono già rivelati inadeguati.
Ma chi fa valutazione delle politiche industriali in Italia? Per quali strumenti di agevolazione? Con quali scopi? Una pluralità di soggetti: si va dai nuclei di valutazione, costituiti presso le amministrazioni regionali, le due province autonome e undici amministrazioni centrali, a vari istituti pubblici – Ipi, Isfol, Formez – a una serie di consulenti e studiosi di varia estrazione. (1) Con attenzione prevalente per gli interventi diretti attuati attraverso l’erogazione di sussidi (su tutti la legge 488 del 1992). Sovente con lo scopo di individuare l’impatto socio-economico complessivo dell’azione di policy, trascurando di valutarne gli effetti addizionali e di ricorrere al termine di paragone del controfattuale, cioè al confronto tra il valore che la variabile-risultato avrebbe ottenuto in assenza dell’intervento e il suo valore attuale. Succede così che interventi che appaiono inefficaci a una rigorosa analisi controfattuale, indipendente ed effettuata con metodologie adeguate, vengano giudicati assai più benevolmente da soggetti legati da vincoli istituzionali o contratti di consulenza con l’ente preposto all’attuazione degli interventi stessi.
Per esempio, gli strumenti agevolativi del Fondo per l’innovazione tecnologica (legge 46 del 1982) destinati all’attività di R&S, sono stati sostanzialmente apprezzati dalle imprese e percepiti dalle stesse come addizionali, ovvero in grado di promuovere investimenti superiori a quelli che si sarebbero realizzati in assenza di incentivo. Questo giudizio non può essere evidentemente assimilato a un esercizio di valutazione, basandosi sulle dichiarazioni delle imprese beneficiarie dell’agevolazione. Un’analisi di valutazione rigorosa evidenzia infatti che non ha avuto effetti nello stimolare investimenti innovativi. (2)
Ancora: alcuni studi hanno mostrato la scarsa efficacia nello stimolare gli investimenti della legge 488 del 1992. (3) Facendo una semplice ricerca della frase “valutazione dell’efficacia” 488/92 su Google si ottengono circa 13mila risultati. Nei primi cinquanta figurano articoli su riviste, working paper, tesi di laurea. Sappiamo poco, tuttavia, della valutazione data dalle istituzioni che l’hanno gestita.
 
VALUTAZIONE CORRETTA, INCENTIVO EFFICACE
 
Che lezione possiamo trarre da questi due esempi?
1. Per capire se uno strumento di incentivazione ha funzionato si deve innanzitutto diffondere una nozione standard del concetto di valutazione. Nell’obiettivo dichiarato dell’incentivo vanno ricercate le “variabili chiave” rispetto alle quali vanno valutati i fenomeni di addizionalità e di spiazzamento. Se un incentivo per stimolare gli investimenti non ha generato investimenti aggiuntivi ma ha fatto aumentare l’occupazione, ha comunque fallito l’obiettivo prefissato.
2. Le metodologie di valutazione per mezzo del controfattuale (o quasi-experimental) hanno beneficiato enormemente dei progressi registrati dall’econometria negli ultimi anni, tanto da essere ormai considerate procedure standard nella letteratura economica.
3. Last, but not least, l’accesso ai dati. Valutare l’efficacia degli incentivi basandosi su dati che non siano stati raccolti con quell’obiettivo può essere rischioso, perché portando spesso a risultati contrastanti, rischiano di svuotare di significato l’attività di valutazione. Sarebbe auspicabile che le istituzioni alle quali si affida l’erogazione degli incentivi rendessero totalmente pubblici i dati sui destinatari, sui criteri di assegnazione dei punteggi, sulle intere graduatorie e sulle somme erogate. In questo modo, oltre che compiere un atto di trasparenza verso la collettività, si metterebbero a disposizione della comunità scientifica le informazioni necessarie a svolgere attività di valutazione indipendente di cui i responsabili di quelle politiche potrebbero beneficiare in modo completamente gratuito.
 
 
(*) Francesca Lotti è economista al Servizio Studi di struttura economica e finanziaria della Banca d’Italia. Le opinioni espresse sono esclusiva responsabilità dell’autrice e non impegnano in alcun modo la Banca d’Italia.
 
(1) Si veda, per una discussione critica, E. Barbieri e E. Santarelli, “La valutazione delle politiche industriali”, in P. Bianchi e C. Pozzi (a cura di), Le Politiche industriali alla prova del futuro, Bologna: il Mulino, in corso di stampa (inizio 2010).
(2) Si veda G. de Blasio, D. Fantino e G. Pellegrini, “Evaluating the Impact of Innovation Incentives: Evidence from an Unexpected Shortage of Funds”, mimeo, 2009.
(3) Si veda in proposito l’evidenza raccolta nel volume a cura di G. de Blasio e F. Lotti “La valutazione degli aiuti alle imprese”, Bologna: Il Mulino, 2008.

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UNA NUOVA GOVERNANCE PER GLI ATENEI. MA QUALE?

  1. Roberto Camporesi

    Visto che è difficile eliminare l’IRAP e/o ridurre significativamente le tasse per tutti, può essere molto interessante l’utilizzo della leva fiscale per sostenere quelli che si ritengono poter essere i comportamenti virtuosi delle imprese. Credo che ci si possa applicare in diverse direzioni: visto che quasi tutte le nostre aziende sono sotto-capitalizzate ed escono male da una valutazione con i criteri di Basilea2, perchè non detassare gli utili re-investiti per sostenere un processo di capitalizzazione delle imprese? Altro strumento può essere quello del credito di imposta sulla R&S e per sostenere i processi di innnovazione aziendali; l’idea elaborata ai tempi di Bersani/Prodi è stata poi ridimensionata negli stanziamenti e ridotta ad una lotteria con il click day senza che il mondo delle imprese abbia protestato significativamente. In relazione a quello che c’è da fare per uscire dalla crisi, ho verificato che uno strumento di questo tipo può essere di aiuto. Ben venga la valutazione degli effetti, ma mi pare che non ci sia stato il tempo di una attuazione compiuta; annoto che questo specifico tema va accompagnato da un forte sostegno culturale al come produrre innovazione.

  2. pietro gussio

    Vorrei soffermarmi sulla valutazione di progetti relativi a ricerca. Chi in Italia (e non solo) valuta le imprese? Le banche. Bene, perchè non demandare alle banche la valutazione di progetti. Le banche non sono attrezzate? Bene, perchè lo Stato non le aiuta a creare quel ‘department’ attualmente mancante. Le banche ne beneficierebbero imparando un nuovo lavoro. Giovani laureati, magari in materie scientifiche, potrebbero trovare lavoro in banca e finalmente avremmo anche in Italia qualcuno in grado di valutare non solo finanziariamente le imprese.

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