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POLI CULTURALI PER IL MEZZOGIORNO

Negli anni 60 e 70 la politica di sviluppo del mezzogiorno fu ispirata dalla teoria dei poli di sviluppo di François Perroux: localizzare una fabbrica (un polo) nell’area da sviluppare in modo che da questa per imitazione ne nascessero altre fino a contagiare l’intero territorio. Il successo di quella esperienza è dibattuto, ma è indubbio che dei risultati li abbia prodotti: anche grazie ai poli oggi il problema economico del Mezzogiorno non è più uno di sottosviluppo ma di sviluppo economico relativo. Riamane però intatto un sistema di valori e di credenze – di cui la scarsa fiducia reciproca, lo scetticismo dell’individuo nei propri mezzi e l’affidamento invece ai potenti per affermarsi sono i tratti più vistosi. Essi ostacolano il dispiegarsi delle energie economiche e impediscono il buon funzionamento della società. Una politica economica ambiziosa e utile dovrebbe oggi proporsi di intaccare e capovolgere quel sistema di valori per consentire
l’affermarsi e il lento diffondersi di un altro fondato sulla fiducia dell’individuo in se stesso e negli altri, il rifiuto del "padrinaggio" e il reclamo del merito come criterio di selezione, la disponibilità a cooperare
e a bandire chi non coopera. Come? Praticando l’idea di Perroux con la creazione di poli "culturali" in cui integrità morale, dedizione agli obiettivi della organizzazione, affermazione dell’individuo, cooperazione
reciproca e premio del merito individuale siano i valori ispiratori. Inizi lo Stato a creare questi poli nelle proprie amministrazioni localizzate nel Mezzogiorno. Non servono soldi, solo un grosso sforzo di riorganizzazione e la rinuncia ai benefici politici delle clientele.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

11 commenti

  1. Alessandro Azzone

    Il mezzogiorno non ha bisogno di poli "culturali" in cui integrità morale, dedizione agli obiettivi della organizzazione, affermazione dell’individuo, cooperazione reciproca e premio del merito individuale siano i valori ispiratori. Il mezzogiorno ha la necessità assoluta di una revisione della storia, perchè è quello il vero, unico e solo problema dell’ex Regno delle due sicilie, ovvero l’essere divenuti una colonia del nord Italia!

  2. Paolo Rebaudengo

    Caro prof. Guiso, sono d’accordo per i Poli culturali, ma quando si parla di valori occorre prima cambiare la testa. Ricorre quest’anno il 10° anniversario della scomparsa di Edward C. Banfield e il 50° dalla pubblicazione del suo lavoro “The moral basis of a backward society”, in Italia pubblicato dal Mulino col titolo “le basi morali di una società arretrata”, con una bella prefazione di Arnaldo Bagnasco. Il concetto sociologico di “familismo amorale” elaborato da Banfield (che a metà degli anni cinquanta del secolo scorso fece insieme alla moglie una indagine antropologico-culturale a Chiaromonte in Basilicata) descrive la tendenza a favorire i vantaggi materiali per il proprio nucleo familiare, a discapito dell’etica comunitaria e più in generale delle relazioni che compongono il capitale sociale. Quella cultura, magari in forme diverse, è ancora presente, penalizza una parte significativa del nostro Mezzogiorno e, anzi, è oggi riscontrabile, almeno in parte, anche in altri territori del nostro Paese. Come altrimenti spiegare la difficoltà ad affermare i valori del merito e dell’uguaglianza, senza i quali faremo fatica anche ad uscire dall’attuale crisi economica e morale?

  3. anna

    Il sistema degli anni 60 di cui parla, a mio avviso é stato un fallimento totale, non solo perché ha creato le cosiddette cattedrali nel deserto, quindi ha mancato il suo obiettivo di "effetto domino"; inoltre queste politiche non sono state accompagnate dai necessari controlli e meccanismi di accountability, ciò ha facilitato una infiltrazione delle organizzazioni criminali in tutti i poli di sviluppo creati nel meridione. la creazione di poli culturali sarebbe un ottimo punto di partenza per smuovere e far tornare alla ribalta quel senso civico a lungo assopito nell’animo dei miei concittadini del sud italia. É da qui che partirà una vera e sana crescita, dai calabresi, siciliani, campani e pugliesi. Gli studenti che lasciano il sud per andare a studiare nelle università del nord Italia vedono in maniera chiara questa differenza nel modo di vivere, di interessarsi, di essere coinvolti nella società, nella politica locale e di controllare continuamente dal basso l’azione dei dirigenti pubblici. Ciò garantisce la trasparenza di cui c’é bisogno per impedire le infiltrazioni mafiose nelle agenzie di governo, regionali e locali.

  4. Fabio Coda

    Sono pienamente daccordo con lei Professore. Sto effettuando uno studio sulla Puglia ed i pugliesi per la mia tesi di laurea specialistica ed è disarmante vedere quanto sia basso il livello di capitale sociale e quanto allo stesso tempo sia assente il trust. Risulta comunque incoraggiante notare che nel momento in cui chiedo agli intervistati a chi secondo loro dovrebbe spettare il compito in ordine di importanta di rilanciare le sorti della regione non si appellano allo Stato centrale o al Governo Regionale bensì affermano che devono essere i pugliesi i primi ad impegnarsi per uscire da questo stato di immobilismo.

  5. alessandra de santis

    La rinuncia dei benefici dei politici (clientele). E’ questa la vera difficoltà per cambiare la cultura, per fare ciò ci dovrebbero essere partiti che investano davvero sulla formazione politica, leggi elettorali, regionali, che impediscano al politico di crearsi clienti e non elettori, per esempio, perchè nelle regioni più piccole non si pensa a circoscrizioni regionali invece che provinciali? Poi bisognerebbe investire nella cultura in generale…altro ostacolo visto che anche l’attuale legge finanziaria non prevede aumenti nel settore. Inoltre, il sud ha prima di tutto bisogno di mettersi in "circolo" con il sud. Lo sviluppo dei mezzi di trasporto nelle regioni meridionali sono tutti concentrati su rotte che portano facilmente al nord, ma non si sviluppano per mettere in comunicazione i territorio per esempio, per attraversare la linea jonica c’è un solo binario per i treni, un cittadino di Potenza fa prima ad iscriversi all’università a Roma (ben collegata con autobus) che non a Bari o a Cosenza. Progettare lo sviluppo costa, ma meno di quanto ci costa il sottosviluppo!

  6. Adriana Canclini

    Condivido la proposta: il problema di base da risolvere sarà come impedire il solito inquinamento e rendere veramente efficace la conduzione dei poli culturali. Come e da parte di chi recuperare le energie, pur presenti sul territorio e generalmente marginalizzate, per avviare il circuito virtuoso? Tra i fruitori degli insegnamenti propongo invece tutti coloro che intendono candidarsi per le elezioni amministrative, sindaci compresi, dato il livello di progressiva incompetenza dimostrato.

  7. Beppe Russo

    Chiedo scusa ma io non ho capito cosa sia il capitale sociale, mi pare davvero un concetto metafisico. Dal mio punto di vista, il "familismo amorale" – ma esiste la moralità nei comportamenti economici? – consiste in una massimizzazione dell’utilità con altruismo intergenerazionale: massimizzo l’utilità della mia dinastia. Al limite la relazione di causalità va nel senso opposto: la cooperazione, la fiducia sono un lusso che emerge quando ci sono risorse sufficienti. Ma sto dicendo banalità. Tutto sommato la storia del "familismo amorale" ha venature razziste. Esiste forse un "familismo morale"? Dove sto sbagliando?

  8. Riccardo Colombo

    Ho sempre pensato che l’idea dei poli culturali fosse una buona idea. Nel nostro paese è stata bruciata dal clientelismo e da critiche spesso ingiuste. Avessimo ancora delle " cattedrali nel deserto" al Sud! Temo tuttavia che il degrado sociale del sud e la debolezza istituzionale e morale del nostro paese siano tali da rendere inefficace un intervento " dall’alto", quali erano i poli culturali. Credo che si debba, invece, pensare ad una sorta di " micro credito": dare finanziamenti a piccole iniziative, soprattutto di giovani, in modo da avviare tante piccole imprese. I criteri potrebbero essere quelli dell’innovazione che faccia leva su risorse locali. Può darsi che su 100 iniziative finanziate si possa conseguire una percentuale sufficiente di " buone" iniziative.

  9. luigi zoppoli

    Chi come me ha memoria di alcune zone del Mezzogiorno, ricorda le pubbliche mministrazioni di 40 anni fa. Non brillavano certo ma circolava un discreto e positivo spirito di appartenenza all’amministrazione dello Stato. Ci sono voluti 40 anni per arrivare all’oggi. La situazione rende indispensabile intervenire ed i poli culturali potrebbero ben servire allo scopo. Poi si ptrà discutere il come. Non c’è nessuno però che sia disposto neppure a pensarci e le uniche iniziative che vengono in mente sono o soldi reglatati alla Siicilia o il ponte di Messina o la BanCa(ssa) del Mezzogiorno. Credo che bisogna convincersi che IL problema che affligge il paese è quello di una classe dirigente priva degli strumenti utili ad individuare le soluzioni che davvero servono ed incapace perfino di rilevare quali sono i problemi da risolvere.

  10. giuseppe mazzara

    Il sud dispone di molte energie, soprattutto di giovani a scolarizzazione medio alta (sia pure spesso di qualita’ inferiore al centro-nord). E’ gente in grado di cooperare e progettare a patto che siano "difesi" nella loro autonomia dal sistema oligo-geronto-clientelare che detiene il potere. Lo stato centrale dovrebbe semplicemente disseminare micro-infrastrutture (non soldi) e bandire concorsi per titoli e meriti per trovarne gli esercenti. Dopodiche’ se la dovrebbero cavare da soli. Alcuni falliranno ma la maggioranza trovera’ la propria strada e costituiranno un segno sociale forte alternativo al sistema politico-assistenziale.

  11. Condello Giuseppe

    Il problema dei poli implica la concettualizzazione della concentrazione delle risorse e degli sforzi, ma anche l’individuazione su base micro-territoriale dei fattori potenziali di sviluppo diffusivo a livello culturale, nonchè di quelli ostativi. Il problema dei poli culturali implica pertanto un diverso approccio alle politiche di sviluppo del mezzogiorno che tenga conto dei valori e dell’etica nei rapporti tra cittadini e cosa pubblica e nell’ambito delle relazioni interpersonali. Uno dei punti cardine dovrebbe essere secondo me la costituzione di poli diffusivi per la partecipazione democratica e la trasparenza ovvero per la legalità. Con ciò si risponderebbe, all’interno di un ridisegno del ruolo dello Stato nel sud, al primo problema che ostacola lo sviluppo corretto sul piano civile di vaste aree della società meridionale come la vicenda di Rosarno dimostra.

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