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ALFANO, FERROTTI E LA QUERELLE ENNA

L’articolo precedente è firmato da Calogero Ferrotti, procuratore della Repubblica di recente fama mediatica. In breve, i fatti sono questi. Qualche giorno fa, di fronte al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e ad altri magistrati, Ferrotti ha lamentato il progressivo impoverimento di organico della procura di Enna: in cinque anni è sceso da cinque pubblici ministeri a uno, lo stesso Ferretti. E ha minacciato di mettersi in pensione. La risposta del ministro non si è fatta attendere. Poche ore dopo, Alfano ha dichiarato all’agenzia Ansa: “Ho già fatto presente a Ferrotti che amministrare la giustizia è compito difficile e quindi, se non se la sente, è meglio che si goda una meritata pensione. Io chiederò al Csm l’immediata nomina del nuovo procuratore”.
 
ASPETTANDO LA RIFORMA
 
Sono parole forti perché vengono dal ministro della Giustizia. Particolarmente forti quando il magistrato è impegnato in prima linea, in una sede difficile e in condizioni difficili. Ferrotti, tra parentesi, non è coscritto, ma volontario: viene dalla procura di Orvieto, una sede presumibilmente meno problematica, perché ha espressamente richiesto il trasferimento a Enna. Insomma, la reazione del ministro sembra proprio fuori luogo.
La “querelle Enna” ha attirato una certa attenzione da parte dei media, giustificata non soltanto dalla reazione inappropriata del ministro, ma anche e soprattutto perché la perdita di organico delle procure del Sud è un fenomeno importante e grave. (1) Come mette in rilievo un recente articolo del Sole24Ore e come peraltro è sottolineato nell’articolo di Ferrotti. (2)
Ferrotti però aggiunge un elemento importante per comprendere le cause della fuga dei pm dal Sud, e cioè la norma del 2007 che vieta i posti di procura ai magistrati di prima nomina. La norma priva le procure di giovani validi. Inoltre, è difficile che pubblici ministeri “svezzati” si trasferiscano dalla magistratura giudicante, a causa di un nuovo divieto di trasferimento all’interno della stessa provincia. Il profilo normativo, quindi, è diventato ostile alla figura del pm: sembra ormai essere quasi un ruolo “a esaurimento,” in attesa di una riforma che separi i pubblici ministeri dalla magistratura giudicante e, possibilmente, li ponga sotto il controllo del potere esecutivo.
La norma del 2007 è stata approvata con consenso bipartisan, l’attuale governo non è dunque l’unico colpevole. E, invero, una eventuale riforma del ruolo del pm potrebbe avere i suoi vantaggi.
Nel frattempo, però, mentre di riforme si discute e ridiscute, le procure del Mezzogiorno si spopolano. Chi ha vissuto al Sud capisce l’importanza di lanciare un segnale forte alla criminalità, in zone dove spesso il potere dello Stato fa fatica a estendersi oltre le mura del palazzo di Giustizia. Quindi, la progressiva mancanza di azione da parte dello Stato fa paura ai cittadini onesti e rincuora quelli disonesti. Se dunque la depopolazione delle procure è una politica perseguita razionalmente, è quanto meno rischiosa.
 
QUESTIONE DI EQUILIBRI
 
Perché è una politica rischiosa? Per via della teoria del “tipping point,” sviluppata dal premio Nobel per l’Economia Thomas Schelling. In parole povere, l’idea è che in una situazione come quella della giustizia ci sono due “equilibri”: nel primo, quello buono, quasi nessun cittadino commette un crimine perché ci sono abbastanza magistrati per perseguire tutti i crimini che vengono commessi, e anche personale extra per perseguire un cittadino qualora decidesse di commetterli. Nel secondo equilibrio, invece, moltissimi cittadini commettono crimini perché la probabilità che ogni singolo cittadino venga perseguita è minuscola. È il tipo di equilibrio che prevale in certi ghetti delle città degli Usa, o in alcuni stati, tipo Haiti. Si noti che nei due equilibri il numero di magistrati può anche essere lo stesso, ma nel secondo i cittadini si coordinano sull’azione criminale, dando così luogo a una situazione di “uovo e gallina”: si commettono tanti crimini perché ogni magistrato è oberato di lavoro perché si commette troppo crimine.
È facile capire che per uscire da questo equilibrio bisogna investire una quantità di risorse molto maggiore di quante ne siano necessarie per mantenersi nell’equilibrio “buono”. E perciò, se assumiamo di essere ancora vicini all’equilibrio “buono” nel Sud, una diminuzione delle risorse destinate alla giustizia rischia di farci cadere in un equilibrio “di Haiti”, da cui sarebbe estremamente difficile uscire.
Concludo tornando a Ferrotti. Come pensate sia finita la querelle? Magari con le scuse del ministro per una esternazione impetuosa, ma non indicativa di un vero convincimento? No, naturalmente. Il ministro tace. Invece, Ferrotti ha raccolto il sostegno dei suoi colleghi magistrati e, con senso dello Stato ma, immagino, una punta di umiliazione, ha scelto di ritirare le sue dimissioni: continuerà a servire lo Stato (e tutti noi) a Enna. Da solo.
 
 
(1) Una ricerca su Google al 14 dicembre 2009 dei termini "Ferrotti Alfano Enna" restituisce 1.400 hit.
(2)Il Sole 24Ore del 14 dicembre 2009 http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Italia/2009/commenti-sole-24-ore/14-dicembre-2009/capi-solitari-procure-siciliane.shtml

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Un visto per gli studenti stranieri

  1. Luigi Calabrone

    Le conclusioni del prof. Persico sono distanti anni luce dai veri problemi del servizio giudiziario italiano. Quantità di magistrati, stipendi degli stessi e spese pro capite per cittadino italiano sono paragonabili, se non superiori, a quelle di Germania, Francia e Gran Bretagna. Da decenni esiste un enorme spreco, in termini soprattutto organizzativi – come ben sanno coloro che hanno avuto la sorte di frequentare le sedi giudiziarie di tutta Italia. Personale eccedente dove non serve e viceversa, attrezzature inadeguate, nessun controllo sulle prestazioni, promozioni per anzianità e per motivi politico-sindacali, ecc., nessuna considerazione (a parte il Tribunale di Bolzano) del rapporto tra operato dei singoli, costi e risultati. Questo disordine anarchico è stato finora funzionale al sistema ed ha contribuito ad accrescere il potere di alcuni singoli politicizzati. La cogestione organizzativa tra Ministero della Giustizia e Consiglio superiore della Magistratura ha sempre avuto effetti disastrosi, come rilevava anche un testimone credibile come il Prof. Vassalli. Non un euro in più, ma riallocazione delle risorse attuali e controllo dei risultati!

  2. Oscar

    Purtroppo da un Ministro come Alfano "sicialiano che ha a cuore la sua terra" cosa potete aspettarvi? Saluti.

  3. un siciliano

    Certamente la difesa della legalità non rientra tra le immediate priorità del governo Berlusconi, certamente la risposta del ministro Alfano risulta stonata sia rispetto alla sua carica istituzionale che alle reali esigenze della Procura di Enna. Tuttavia in Sicilia, in generale, investire “quantità di risorse” non si traduce direttamente in benefici per il cittadino comune. A titolo di esempio vorrei ricordare che l’enorme numero di dipendenti della Regione Sicilia (rispetto a regioni di pari popolazione), i cui stipendi gravano per circa il 90% sul bilancio regionale, non riesce ad assicurare un servizio al cittadino degno di questo nome. Da contribuente siciliano, dunque, il pensiero di aumentare le risorse per le inefficaci e sprecone istituzioni dello Stato nella mia regione non mi rallegra affatto.

  4. Flavio

    Domando, e vorrei una risposta: chi ha fatto la Legge del 2007? Ma possibile che allora non ci sia stata una protesta?

    • La redazione

      La legge del 2007, modificativa dell’ordinamento giudiziario, voluta dal ministro della giustizia dell’epoca Mastella, fu approvata con voto unanime da maggioranza e opposizione. La magistratura non si dimostrò aprioristivamente contraria, ma poi, di fronte alle sopravvenute difficoltà, si è impegnata a proporre all’attuale governo alcuni correttivi e deroghe, che non hanno tuttavia avuto seguito, determinandosi così il blocco della situazione di criticità delle procure del sud

  5. Roberto A

    Invece di entrare nelle polemiche, perché l’esimio studioso non ci fa una vera analisi del perché del malfunzionamento della giustizia italiana e del come mai ci sono uffici giudiziari che funzionano e sono organizzati bene e altri invece no…non credo che tutta la colpa sia della politica, ma anche di molti magistrati che non hanno capacità organizzative. Se non sbaglio, questo governo proponeva l’ìsitituzione negli uffici giudiziari di figure competenti, manager in organizzazione per migliorare l’efficienza. Forse non sarebbe una cattiva idea, ma ho come la sensazione che la casta autoreferenziale dei magistrati, non riconscendo mai le proprie debolezze, non ne sarebbe favorevole…

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