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VIA IL VINCOLO ALLE RETTE UNIVERSITARIE

Le rette universitarie sono molto inferiori al costo che lo Stato sopporta per offrire un’istruzione universitaria. In prima approssimazione uno studente universitario costa allo Stato circa 7mila euro l’anno. Le rette variano, ma raramente superano i 3mila euro l’anno. Rette tanto inferiori al costo medio dell’istruzione non sono in primo luogo un problema finanziario. Riducono gli incentivi degli studenti e delle loro famiglie a vigilare (e quando necessario a protestare) se la qualità del servizio è scadente. Sono anche, soprattutto nel Mezzogiorno, un trasferimento dai poveri ai ricchi, come mostra Roberto Perotti nel capitolo 3 del suo "L’università truccata" (Einaudi, 2008).
Le università non possono determinare liberamente le loro rette poiché la legge impedisce che questa fonte di ricavi superi il 20 per cento del Fondo di finanziamento ordinario (l’ammontare che esse ricevono dallo Stato.)
Il ministro dell’Economia ha ridotto i finanziamenti alle università e ha loro detto sostanzialmente "arrangiatevi!". Ottimo, ma se è coerente e vuole che davvero "si arrangino" elimini il vincolo sulle rette.

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16 commenti

  1. gaia scienza

    Ciclicamente torna la proposta di lasciare gli atenei liberi di aumentare le tasse, con la solita tiritera sul fatto che oggi non coprono che una parte dei costi ecc. Il professor Giavazzi può dire a quanto ammontano in altri paesi europei quali Germania, Francia, Olanda? Anche il dato UK va bene, specificando però che sono state introdotte da pochi anni e quante sono le borse di studio o gli alloggi per studenti nel Regno Unito. Basta dire che ad Harvard si pagano 50mila dollari all’anno, perché i nostri atenei non sono Harvard! (A proposito: quante sono e a quanto ammontano borse/prestiti/scholarship varie in US?)

  2. Francesco Burco

    ..ho studiato nella giungla della Sapienza di Roma, facoltà di Economia, seconda metà degli anni ’90 (circa 20.000 iscritti). Il livello della didattica che ho sperimentato è stato elevato mentre le infrastrutture e i servizi amministrativi scadenti. Ho avuto modo di conoscere la gran parte di quelli del mio anno che davano esami con rapidità e voti alti, sia dell’ala snob degli economisti politici, sia di quella yuppie degli "economisti" di azienda. Devo dire che di ragazzi con le palle da quella università pubblica io ne ho visti uscire parecchi. E dopo essere usciti dall’università sono pure usciti dall’Italia. Stanno quasi tutti a Londra! La mia è un’esperienza limitata e personale però non sono del tutto convinto che nell’università italiana, che poi le situazioni cambieranno a seconda della facoltà, risiedano tutti questi mali. Il male secondo me è fuori, dove l’immortale generazione gianni morandi, la gerontocrazia incrostata che comanda questo paese da venti trent’anni, non solo non passa la barra, non solo non molla un centimetro, ma continua indomita a sconquassare il paese. La generazione precedente ci vorrebbe, quella delle Rita Levi Montalcini e dei CA Ciampi.

  3. Tommaso

    Le università si stanno già arrangiando aumentando le rette ben oltre i 3000€ e senza rispettare più il limite del 20% sull’Ffo. Ad oggi tale incremento va a colmare i tagli e non si traduce in un reale aumento dei servizi, l’importo della retta diviene così un metro delle inefficenza scaricate sugli studenti. E’ possibile, ad esempio, che un’università di provincia come l’Insubria chieda rette ben maggiori rispetto a Pavia? Inoltre i poteri di vigilanza dei contribuenti sono nulli e , ad, oggi non esistono sistemi di misurazione della qualità della formazione in uscita. Ciò significa che liberalizzando le rette permetteremo al sistema universitario di togliersi dei tetti di spesa, fin’ora imposti, che sono gli unici vincoli a comportamenti non virtuosi. Ci sarebbe poi il problema dei corsi a numero chiuso e delle lauree abilitanti (agiscono in monopolio), dove la retta sarebbe determinata dalla capacità contributiva dei genitori. In generale, se si riformasse seriamente il sistema universitario inserendo forti poteri di controllo, la liberazzione non sarebbe affatto male; a patto di utilizzare un sistema contributivo a scalare basato in parte sul reddito e sul merito.

  4. Fabio Ranchetti, professore di Economia politica, Università di Pisa

    Assolutamente d’accordo. Ancora più d’accordo, se l’abolizione del vincolo alle rette venisse associata all’istituzione di un serio numero chiuso, in modo da garantire un’effettività equità e l’effettivo accesso all’università di tutti (e soltanto) “i capaci e meritevoli”.

  5. Hans Suter

    Fra i danni a lunga durata di una recessione quelli che riguardano l’educazione sono fra i peggiori. EPI’S John Irons ne parla in questo convegno.

  6. Jetmiri

    L’idea di fare pagare di più i studenti è fino a un certo punto condivisibile. Se il costo medio per un studente è di 7000 € all’anno e le rette non superano i 3000 € è evidente che c’è qualcosa che non va. Ma io mi chiedo se sia giusto dire aumentiamo le tasse e non dire che insieme all’aumento delle tasse si devono adeguare le borse di studio. Poi mi chiedo se il problema finanziario è cosi grande non si possono tagliare le sedi delle università. Non pretendo che si chiudono del tutto delle università (dato che per il 18 italiano è difficile immaginare la vita fuori dalla casa), ma almeno i corsi della specialistica siano organizzate in poche sedi selezionate (Udine e Trieste che sono a pochi km di distanza hanno corsi delle specialistiche identici) . Cosi facendo colui che vuole fare la specialistica va fuori dalla casa e in teoria e anche più maturo. Si risparmia (cioè si tagliano cattedre inefficienti) e finalmente si incentiva la mobilità universitaria in Italia che secondo me è fondamentale.

  7. Carlo Gamurri

    Stando ai dati dell’OECD in Italia non abbondiamo proprio di laureati, e neppure risulta vera la favola delle laurea inutili: è il sistema produttivo (incentrato su PMI che producono rubinetti) a essere sbagliato per un paese che vuole sostenere consumi da primo mondo. La liberalizzazione delle rette non sarebbe dunque una soluzione molto corretta, specialmente adesso, in un periodo problematico per le famiglie. Certamente i tagli di tremonti non aiutano: ma questi devono essere visti all’interno di una legge programmatica di stampo eversivo basata su cio’ che gia’ il buon Gelli suggeriva negli anni ’70. In altri termini, i tagli dovranno essere tolti se volgiamo sopravvivere e non perdere sempre ogni treno dello sviluppo non basato su piastrelle e rubinetti.

  8. PriceDiscrimination

    Premesso che forse il livello delle tasse é basso, il problema vero é che un tale basso livello é la naturale conseguenza di una bassa qualitá del servizio. Giavazzi trascura questo aspetto: se in Italia si iniziasse ad offrire lauree specialistiche mirate ad un mercato internazionale, di qualitá tale da essere attraenti ai migliori studenti italiani e stranieri, una liberalizzazione delle tasse sarebbe la logica e naturale conseguenza. Ma Professore, glielo dice lei ai suoi colleghi che questi corsi vanno insegnati in una lingua straniera? Ci sono abbastanza docenti in grado di farli? Dubito.

  9. Carlo Cipiciani

    Non sono d’accordo. Primo: Si dà per scontato che ridurre le risorse per l’Università vada bene. Ma neanche per sogno! La proposta da fare sarebbe: Aumentare le risorse per l’Università, tagliando i 100 rivoli di psesa improduttiva che ci sono in questo paese (che invece, con l’ultima finanziaria si aggiungono) Secondo: in un paese dalla bassa mobilità sociale e con un consistente numero di evasori, dato che alle borse di studio si accede per reddito dichiarato, con questa proposta si ottiene il bel risultato di favorire i figli dei più abbienti (spesso imprenditori e liberi professionisti) sfavorendo quelli dei lavoratori dipendenti. Davvero un bel risultato! Se poi ci aggiungiamo, come ha suggerito qualcuno in un commento (se non erro, un professore universitario), pure una stretta sui numeri chiusi, che com’è noto favoriscono il merito e non i figli di baroni e baronetti, siamo davvero a posto.

  10. Nicola Fanizzi

    Sono contrario a dare la possibilità di variare le rette in maniera indiscriminata. Tuttavia il contributo statale alla copertura della spesa effettiva sostenuta per ogni studente deve essere (meglio) commisurato al merito ed alle spese effettivamente sostenute dalla famiglia con un sistema di detrazioni (non nella maniera attuale in cui hanno buon gioco anche i figli degli evasori). Inoltre, invece del numero chiuso che spesso finisce per favorire i raccomandati preferirei un sistema simile a quello delle università brasiliane. Fissate delle conoscenze minime propedeutiche al corso di studi, queste vanno verificate in un apposito esame vestibolare, ammettendo al corso solo a coloro che lo superano. In tal modo si dovrebbe avere un maggiore controllo sul livello degli studenti in ingresso, per cui sarebbe anche più veritiera la valutazione sulla qualità ed il numero di quelli in uscita. Inoltre questo avrebbe l’effetto di responsabilizzare maggiormente i docenti nella scelta dei criteri minimi che non lascerebbe più l’alibi del basso livello iniziale degli studenti.

  11. Stefano Bandiera

    Il vero problema italiano è l’università per tutti. Lotte in stile sessantottine – ormai anacronistiche – continuano ad affermare un principio insostenibile, quello di garantire un istruzione universitaria a chiunque. E’ necessario invece ripristinare il numero chiuso per ogni facoltà (con valutazioni che tengano conto anche del percorso di studi precedente dello studente) determinato in base alla domanda di lavoro per quel settore. Solo "ottimizzando" il numero di studenti, cioè garantendo un’istruzione universitaria solamente ai più meritevoli, si possono ottimizzare le risorse e garantire rette che siano proporzionali ai costi unitari per studente. Pensate allo spreco di risorse per quelli studenti che frequentano l’università solo come "parcheggio" temporaneo in attesa di prima occupazione. Inoltre, la selezione con questo sistema viene fatta dal mondo del lavoro rispetto a laureati (in eccesso) 25-30 enni, con le note conseguenze del laureato-spazzino. La selezione, "l’imbuto", dovrebbe essere anteriore agli studi universitari, a 18-19 anni, quando un ragazzo "non meritevole" è in tempo a ridisegnare la propria vita e il proprio percorso verso il mondo del lavoro.

  12. marco tesei

    Cavolo! Il suo ragionamento é condivisibile, ma dimostra che lei non abbia molto in mente la funzione dello stato! La possibilitá di studiare va data a tutti anche a chi non ha possibilitá, ma oltre a chi non ha possibilitá economica va data anche a chi oltre a non avere la possibilitá (magari con borse di studio ed aiuti della propria famiglia) non riesce a laurearsi nei 3 anni impiegandocene qualcuno in piú. Per esperienza vissuta dico che fare l’universita e dover finire in 3 anni permantenersi gli aiuti dello stato non é neanche una situazione "ideale".

  13. Aram Megighian

    Io non credo che serva. Il punto di arrivo di una riforma universitaria (non quella della Gelmini, per carità) dovrebbe essere aumentare la competizione tra le varie università. Perchè ciò avvenga chi si laurea nell’Università x deve aver maggior "peso" di chi si laurea all’Università y. Ciò perchè la didattica e i docenti sono migliori. Il valore legale del titolo di laurea crea una omogeinizzazione (di toglierlo non si discute). I docenti dovrebbero essere reclutati dai Dipartimenti mediante colloqui e non tramite complessi sistemi centrali. In tal modo tutto il Dipartimento partecipa alla scelta della persona più giusta per quel dipartimento, non necessariamente la migliore d’Italia. Una valutazione successiva farebbe ricadere direttamente sul Dipartimento la responsabilità della scelta (ad es. tagli di budget, docenza e/o economici). La valutazione dell’insegnamento da parte degli studenti dovrebbe avere peso uguale (almeno) alla valutazione scientifica. Utopie? Scusate, Professori, ma quando avete passato un periodo nelle Università americane (anche pubbliche) vi siete accorti in quale realtà vi trovavate?

  14. Piero Nasuelli

    La proposta è condivisibile ma deve far parte di una più organica revisione delle modalità di finanziamento dell’Università. Il costo di 7 mila euro è un dato medio. Credo che il costo presenti una variabilità molto accentuata da Ateneo ad Ateneo da Facoltà a Facoltà. Un altro aspetto importante che influenza il costo medio è il numero di studenti “fuori corso”, questi si possono considerare come studenti “finanziatori”. Non utilizzano docenti e strutture e continuano a pagare. Il “costo” andrebbe calcolato non sugli studenti iscritti, ma sui laureati. Teniamo presente la drammatica percentuale degli abbandoni tra il 20 e il 30% sugli iscritti al 1° anno. Se si vogliono “liberalizzare” le tasse di iscrizione si dovrebbe mettere un tetto alla durata dell’iscrizione nell’Università. Ci sono studenti che risultano iscritti in corsi triennali da oltre 6 anni. È giusto prevedere eccezioni per particolari situazioni, es studenti lavoratori, problemi di salute, ecc, ma per la maggior parte va posto un limite. Il processo formativo nell’Università deve tener conto del processo di apprendimento.

  15. Marta

    Sono tendenzialmente d’accordo con questa proposta. Soprattutto se confrontate con le rette di università estere i 2-3 mila euro che si pagano in Italia sono davvero pochi. Ovviamente mi rendo conto che per certe famiglie potrebbe essere una spesa troppo elevata da sostenere. Per questo dico sì all’aumento della retta, ma con l’obiettivo di utilizzare (per lo meno in parte) il ricavato per istituire nuove borse di studio, basate sul reddito e soprattutto sul merito.

  16. Summa

    Perchè non viene proposya una vera riforma nel reclutamento dei docenti ordinari? Che oggi in Italia è uno scandalo. Perchè non si dice nulla su parentopoli e sugli altri problemi gestionali dell’università? Perchè invece di discutere se aumentare il contributo delle famiglie all’università che ha indubbi effetti negativi non si propongono meccanismi in grado di aumentare l’efficienza della spesa dell’università? Quanti soldi finiscono in didattica e/o ricerca nelle nostre Università?

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