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NON TUTTI I QUANT VENGONO PER NUOCERE

Considerare i quant come principale colpevole della crisi non rende giustizia alla realtà dei fatti perché la categoria ha fatto parte di una complessa macchina da soldi per pochi e da rischi per tutti. Ma non c’è bisogno di una matematica nuova per la finanza, basta un uso intelligente degli strumenti quantitativi, anche sofisticati, che la finanza matematica acquisisce e sviluppa. Per esempio, il Regolamento emittenti della Consob fa esplicitamente il ricorso alle metodologie dei quant per la quantificazione del grado di rischio degli strumenti offerti ai risparmiatori.

 

Su questo sito, Federico De Vita ha di recente affrontato il tema delle responsabilità della categoria dei “quantitativi”. Vorrei qui aggiungere due considerazioni: entrambe hanno implicazioni per le prospettive professionali e il ruolo etico-sociale dei quant nell’industria finanziaria quale sta emergendo dal dopo-crisi. Non c’è bisogno di una matematica nuova per la finanza, ma di un uso intelligente degli strumenti quantitativi, anche sofisticati, che la finanza matematica acquisisce e sviluppa.
 
LE RESPONSABILITÀ DEI QUANT
 
Negli anni Settanta, Black, Scholes, Merton e altri hanno importato nella finanza alcuni sofisticati modelli probabilistici, piuttosto noti nelle scienze fisiche. Si è perciò pensato che un bravo fisico, abile nella modellistica quantitativa, seppure incapace di distinguere la matematica dalla finanza, fosse ciò che serviva per stabilire prezzi e coperture dei derivati finanziari e delle strutture “esotiche” concepite nei decenni successivi.
In ciò si sono commessi alcuni gravi errori culturali.
Uno è aver dimenticato la lezione impartita, in primis, da J. M. Keynes sulla “pseudo-analogia” tra economia e scienze fisiche. Scriveva l’economista inglese (nel 1938) che, in economia, “è come se la caduta della mela a terra dipendesse dalle motivazioni della mela, dall’esame se vale davvero la pena cadere a terra e se la terra vuole che la mela cada e dagli errori di calcolo da parte della mela circa la sua distanza dal centro della terra”: aspettative, utilità, rischi, interazioni, errori di calcolo e libero arbitrio che non hanno equivalenti nelle scienze fisiche.
Il secondo grave errore è aver esteso le (fragili) regolarità osservate sui mercati finanziari alle situazioni di scambio in condizioni non-di-mercato(over-the-counter) tipiche dei derivati finanziari impacchettati negli ultimi anni.
Qui, la mano invisibile di Adam Smith non compie il miracolo e nessuna legge dei grandi numeri, per restare ai modelli probabilistici, fa emergere dalle micro-situazioni individuali macro-regolarità affidabili.
Altro problema è stata la sistematica sottovalutazione dei rischi (una “cantonata epocale” secondo l’espressione di De Vita): la stagione dei bassi tassi d’interesse ha portato a non apprezzare le rischiosità, considerando come gestibili i risk driver più noti (mercato azionario, tassi, inflazione, credito) e ignorando del tutto quelli meno noti (default, liquidità, correlazioni).
Poi, c’è stata l’incredibile complessità dei titoli strutturati che si è preteso di gestire e distribuire sui mercati internazionali.
Un conto è emettere una call option (il cosiddetto plain vanilla) con dato strike su un indice azionario ben noto e trattato sul mercato (per esempio S&P500), un conto è emettere una call sul peggiore di un paniere di dieci titoli di diversa capitalizzazione, strike variabili dinamicamente e basket sottostante definito a rotazione secondo criteri cervellotici.
Il pricing del primo caso, tenuto adeguatamente conto del rischio emittente, può fare riferimento a una metodologia propriamente scientifica, con tutte le attenzioni che richiedono le scienze umane. Il pricing del secondo caso rischia di assomigliare più a una cabala, un rito propiziatorio o peggio un raggiro che nasconde finalità al limite del codice penale. (1)
A parziale difesa, vanno tuttavia considerate le numerose corresponsabilità di chi, sopra, sotto e accanto ai quant, operava negli anni della bolla.
I quant hanno fatto parte di una complessa macchina da soldi (per pochi) e da rischi (per tutti) in cui agivano con pari importanza e responsabilità assemblatori di nuovi prodotti finanziari, distributori alla clientela retail, spesso in spregio alle sue effettive esigenze, agenzie di rating di manica larghissima, legislatori pregiudizialmente orientati alla deregulation e controllori quantomeno distratti. Considerare i quant come unico o principale colpevole non rende giustizia alla realtà dei fatti.
 
I QUANT IN UNA PROSPETTIVA ETICO-SOCIALE: IL CASO CONSOB
 
Nel settembre 1988 un gruppo di autorevoli economisti italiani scrisse una lettera aperta per denunciare “un pericolo che insidia l’economia politica”, vale a dire “che l’uso di strumenti raffinati di analisi venga scambiato, a prescindere dai contenuti, per una prova di maturità e competenza professionale o, peggio ancora, per il segno di riconoscimento del moderno studioso di economia politica”. (2) Al contrario “i maestri che illustrarono in passato questo ramo di studi si dedicarono ai grandi problemi della società in cui vivevano e dettero ai loro insegnamenti un contenuto e una forma tali da offrire lumi per la coscienza civile e l’azione politica”, creando una disciplina “che ha contenuti e responsabilità sociali”.
La finanza matematica è inevitabilmente legata all’uso degli “strumenti analitici più raffinati” ma, nel contempo, non può sottrarsi ai compiti originari dell’area, l’economia politica, cui altrettanto necessariamente appartiene.
Il grado di complessità raggiunto da strumenti analitici, che sono un mezzo per affrontare problemi non meno complessi, e non un fine, non deve far dimenticare i loro limiti, gli ambiti di validità, le condizioni oltre le quali l’uso dei risultati non garantisce più un sufficiente grado di confidenza.
Se tuttavia i modelli analitici vengono utilizzati in modo intelligente, pur nei limiti indicati, possono essere di grande ausilio per perseguire con efficacia le finalità di una disciplina umanistica come l’economia politica.
Un esempio illuminante è l’uso dei risultati della finanza matematica che la Consob fa per rafforzare e rendere concreta la battaglia a favore della correttezza e trasparenza nelle transazioni finanziarie.
Il Regolamento emittenti contiene esplicitamente il ricorso alle metodologie dei quant (risk-neutral pricing, martingale, simulazioni Monte Carlo) per la quantificazione del grado di rischio degli strumenti, spesso molto complessi, offerti al pubblico dei risparmiatori (LINK La fiducia abbassa i tassi, www.lavoce.info del 7.4.2008). (3)
Una tabella riassuntiva con gli “scenari probabilistici dell’investimento finanziario” (rendimento negativo, rendimento positivo ma inferiore/in linea/superiore al risk-free) consente una facile e uniforme lettura comparata dei prodotti emessi.
Nella stessa, auspicabile, direzione sembra si stia muovendo il Cesr (Committee of European Securities Regulators) nel suo sforzo di costruire un prospetto (Kid – Key Information Document) che rappresenti un minimo comune denominatore per tutti i prodotti d’investimento offerti in Europa alla clientela retail.
Ad esempio, prendendo in considerazione la recente offerta al pubblico di obbligazioni a conversione obbligatoria in azioni Bpm con abbinati warrant (il cosiddetto convertendo Bpm 2009/2013 6,75 per cento) lo strumentario analitico messo a punto dai quant produce una tabella pubblicata nel prospetto. Eccola:
 

 
 
Scenari probabilistici dell’investimento finanziario
Probabilità dello scenario
Valori centrali su 100 euro investiti
Il rendimento è negativo
68.5%
59.2
Il rendimento è positivo ma inferiore a quello di un risk free asset
2.8%
103.8
Il rendimento è positivo ed in linea con quello di un risk free asset
4.4%
113.7
Il rendimento è positivo e superiore a quello di un risk free asset
24.3%
162.3

    

 
Come si vede, un “titolo strutturato ad elevata complessità” viene quantificato nel suo grado di rischio (68,5 per cento di rendimenti negativi) come nella sua redditività risk-adjusted (162,3 euro di montante finale su 100 investiti nel 24,3 per cento dei casi).
Su questa base, la finanza matematica può ribattere alla demagogia, riconciliarsi con gli investitori non professionali, tornare a servire le finalità “economiche” di “comprensione dei problemi della società nella loro concretezza e completezza, nella prospettiva storica, nel loro quadro istituzionale” e, con eguale efficacia, gli obiettivi più “politici” di responsabilità sociale verso tutti i cittadini.
 
 
(1) Si veda E. Barone e G. Olivieri, Derivati e usura: l’utilizzo delle opzioni nella costruzione di negozi in frode alla legge, Luiss, aprile 2009.
(2) Si tratta di una lettera aperta firmata da Giorgio Fuà, Paolo Sylos Labini, Giacomo Becattini, Onorato Castellino, Orlando D’Alauro, Siro Lombardini e Sergio Ricossa pubblicata su La Repubblica del 30 settembre 1988.
(3) Il Regolamento emittenti è contenuto nella delibera n. 11971 emanata da Consob nel maggio 1999 e progressivamente modificata e integrata fino alla versione in vigore, comprensiva della Comunicazione sulle istruzioni metodologiche del marzo 2009.

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LE MONTAGNE RUSSE DEI DATI CONGIUNTURALI

  1. Stefano Lugo

    L’enorme difficoltà nel quantificare correttamente il rischio di strumenti strutturati complessi è risultata essere comune a tutti gli attori in gioco. Le critiche mosse alle agenzie di rating, certo non infondate, sembrano tuttavia sempre basarsi sul presupposto che esse potessero possedere strumenti di analisi del rischio migliori di quelli nelle mani degli stessi creatori di tali strumenti (in primis le banche d’affari che in RMBS CDOs hanno investito – e perso – parecchio). La possibilità di cedere senza vincoli asset rischiosi da parte di chi li ha generati crea un rischio sistemico semplicemente impossibile da quantificare utilizzando modelli matematici, in quanto la correlazione rimane stabile (e bassa) finché la bolla si autoalimenta per poi tendere quasi istantaneamente a valori alti quando la bolla scoppia. L’unico rimedio possibile è dato da scelte previdenti del regolatore nella regolamentazione delle cartolarizzazioni e della cessione del rischio generato. Il regolatore risulta dunque il principale colpevole; le sue responsabilità vengono però troppo spesso sminuite in nome della difesa della deregulation dei mercati.

  2. lormar

    Mi complimento per un articolo così chiaro su un argomento complesso. Da risparmiatore mi piacerebbe che anche sulle pagine economiche dei giornali non specialistici si desse una visione "terra terra" di cosa significhino in termini di rischio per il risparmiatore i prodotti strutturati nei quali la probabilità di un beneficio è di 25%. La chiusa dell’articolo dovrebbe rappresentare la vera mission della finanza matematica per "riconciliarsi con gli investitori non professionali … [e perseguire] con eguale efficacia, gli obiettivi più “politici” di responsabilità sociale verso tutti i cittadini".

  3. Federico De Vita

    Genitle professore, mi sembra che le nostre opinioni non divergano piu’ di tanto. Anzi, sono ben felice di vedere che lei riesce a presentare (meglio di me) varie idee sulle quali non ero riuscito ad esprimermi. Mi preme solo rimarcare alcuni punti: 1. sono convinto che noi quant non siamo certamente i principali colpevoli della crisi; varie persone sembrano aver letto il contrario tra le righe del mio articolo, posso solo dedurre che mi sono espresso male e chiedo scusa; 2. la "matematica nuova" di cui parlo e’ proprio quella che possa descrivere la mela di Keynes, e non quella di Newton; nella mia quotidianeita’ di quant, sento il bisogno di un modo nuovo di pensare; la "nuova matematica", se si vuole, e’ fare matematica in finanza superando i "gravi errori culturali" che lei elenca con chiarezza; 3. I quant vanno distinti dagli accademici, come lei, che si occupano di matematica finanziaria. Non c’e’ alcun giudizio di merito in cio’, solo una constatazione della diversita’ dei ruoli. Un quant, in quanto parte dell’industria, deve assumersi responsabilita’. Cordiali saluti, Federico De Vita

  4. mirco

    E adesso nessuno è colpevole! Il clima sta cambiando… ma se si continua così senza regole finanziarie internazionali cogenti è solo una schiarita senza prospettive.

  5. UMBERTO CARNEGLIA

    Ho trovato l’articolo del Prof. Cesari di elevato interesse ed utilita’ . Mi e’ rimasto tuttavia un dubbio. Il Professore critica il modello di Black e Scholes definedolo – con altri consimili – affetto da gravi errori culturali. Poi pero’ mi e’ sembrato che lo ritenesse almeno in parte valido in alcuni specifici e limiati casi, come la call option su un indice azionario noto e trattato come lo S&P 500. Al riguardo io ho un dubbio teorico (simile peraltro a quelli espressi dallo stesso Professore e da Keynes da lui citato): i modelli matematici probabilistici non presuppongono una popolazione di dati si’ casuali ma perfettamente omogenei per la probabilita’ di accadimento, come le palline nell’urna tutte uguali? Negli andamenti degli indici di Borsa (o peggio ancora di un singolo titolo) questa fondamentale circostanza ricorre? Io ho dei dubbi da trader occasionale: in Borsa le quotazioni sono influenzate da eventi esterni irregolari (notizie) e c’e’ spessissimo una tendenza all’imitazione ed una polarizzazione. Qualcosa di simile mi sembra abbia detto anche un trader piu’ esperto di me: Soros.

    • La redazione

      Gent.mo dott. Carneglia,
      il modello di Black-Scholes come tutti i modelli matematici ha validità nell’ambito delle ipotesi sottostanti.
      L’errore culturale di cui parlavo nell’articolo non è del modello ma della sua applicazione in situazioni molto (troppo) distanti dalle sue condizioni di validità. In particolare, l’applicazione a scambi non di mercato (otc) e la sottovalutazione di importanti fattori di rischio ha alimentato la bolla dei derivati.
      A mio avviso l’approccio quantitativo può avere gli strumenti per affrontare (giudiziosamente) le complessità: nel suo esempio le urne possono essere (casualmente) scambiate (switch), sottoposte a shock, attraversate da fattori polarizzanti etc. C’è un limite alle complicazioni ma lo strumento matematico resta una grande risorsa conoscitiva. L’economista non potrà mai dire col fisico che "il grande mistero del mondo è la sua comprensibilità" tuttavia certe regolarità probabilistiche possono essere riscontrate e l’economia, a mio avviso, essere considerata una disciplina scientifica.
      Cordiali saluti.
      Riccardo Cesari

  6. marco

    Ho letto ora con molto interesse questo articolo e quello precedente del 22 sett al quale si fa riferimento (che mi era sfuggito!). Due testi che già in passato hanno affrontato (molto bene secondo me) le problematiche discusse nei due articoli sono: – "Il disordine dei mercati. Una visione frattale di rischio, rovina e redditività" – Mandelbrot Benoît per quanto riguarda gli aspetti più che altro matematici e probabilistici – "Euforia irrazionale. Analisi dei boom di borsa" – Robert J. Shiller anche per quanto riguarda gli aspetti sociali e psicologici

  7. Luigi Di Falco

    Concordo sull’estrema utilità degli strumenti quantitativi che la finanza matematica acquisisce e sviluppa. Ma non è detto che tali strumenti o la loro sofisticazione siano di per sé una garanzia. Non mi sembra che lo siano, in particolare, per lo strumento introdotto dalla CONSOB e da Lei preso ad esempio, che non consente di rappresentare all’investitore le caratteristiche del prodotto in quanto: a) imponendo l’approccio “risk-neutral” non tiene conto del “premio al rischio” e della dinamica evolutiva dei fattori di rischio/rendimento del prodotto; b) nel confronto con il risk-free impone al prodotto lo stesso rendimento del risk-free (?) mantenendo la propria volatilità (generalmente, com’è ovvio, più elevata del risk-free); c) non tiene conto di costi nel risk-free. Quindi propone i risultati di un confronto “forzato” in più punti. In definitiva, l’esercizio può essere utile per valutare il pricing del prodotto o per costringere chi lo offre a ridurre i costi se vuole avere probabilità più alte di battere il risk-free nel confronto, ma dà al risparmiatore la giusta consapevolezza sulla preferibilità dell’investimento? Mah…

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