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QUANDO L’IMMIGRAZIONE E’ GOVERNATA DAL PREGIUDIZIO *

Una politica restrittiva in tema di immigrazione, come quella adottata dal nostro governo, certamente riduce il numero dei lavoratori stranieri presenti in un paese, ma ha anche l’effetto involontario di allontanare di più gli immigrati qualificati rispetto a quelli meno qualificati. Si resta così intrappolati in una spirale di forti restrizioni e “cattiva” immigrazione. E di pregiudizi che si autoalimentano. Per l’Italia, la soluzione non è inasprire indiscriminatamente le norme sull’immigrazione, ma ripensarle coerentemente con le necessità del paese.

Il “pacchetto sicurezza” varato dal governo, e da poco approvato in Parlamento, contiene diversi provvedimenti sull’immigrazione, come le tasse sulla consegna e sul rinnovo del permesso di soggiorno per i cittadini stranieri e l’inasprimento delle norme sull’espulsione degli immigrati che hanno perso il lavoro. Un obiettivo di tali misure è di scoraggiare l’immigrazione nel nostro paese attraverso leggi più severe e che, nei fatti, rendono più difficile, o quanto meno più costosa, la vita in Italia dei cittadini stranieri. Il governo risponde così alla diffusa percezione, che si è indubbiamente acuita con la crisi economica, che l’immigrazione sia un fenomeno negativo e che pertanto vada limitata. Un recente sondaggio del Financial Times/Harris rivela che in Italia il 79 per cento degli intervistati è a favore dell’espulsione degli immigrati che hanno perso il lavoro, la più alta percentuale tra i maggiori paesi europei.

UNA POLITICA EFFICIENTE?

Queste misure possono essere valutate da diversi punti di vista. Uno è senz’altro l’equità, cioè la prospettiva dei diritti dei cittadini stranieri che vivono in Italia, e su questo punto diversi osservatori si sono espressi. Un altro aspetto riguarda il disegno di politiche migratorie globalmente efficienti, ossia politiche che massimizzano il benessere mondiale, di chi migra, di chi riceve e di chi rimane a casa. In questo articolo ci concentriamo su un punto più limitato: l’efficienza dal punto di vista dei nativi del paese di destinazione. La domanda che ci poniamo è semplicemente la seguente: politiche sull’immigrazione come quelle contenute nel pacchetto sicurezza migliorano o peggiorano il benessere (economico) degli italiani?
La risposta è meno ovvia di quanto si possa pensare perché, quando si parla di immigrazione, contano sia la quantità sia la qualità degli immigrati. In un nostro recente lavoro dimostriamo che misure che riducono indiscriminatamente il numero dei lavoratori stranieri, possono peggiorarne la qualità (per esempio misurata dal livello di educazione degli immigrati che risiedono nel nostro paese) e avere dunque un effetto negativo sul benessere del paese di destinazione. (1) Le misure appena varate corrono esattamente questo rischio perché rendono più difficile l’accesso e la permanenza in Italia di cittadini stranieri indipendentemente dalle loro qualità e competenze. Ciò di per sé non dovrebbe disincentivare i più qualificati a lavorare nel nostro paese più di quanto non disincentivi i lavoratori stranieri meno qualificati, però di fatto è esattamente questo che può accadere. Per l’immigrazione vale infatti il principio che "i migliori sono sempre i primi che se ne vanno": dal paese che non li sa attrarre! Il motivo è che gli immigrati "migliori", cioè i più qualificati, sono anche quelli che possono permettersi più facilmente di decidere dove emigrare e, quindi, rispondono più velocemente e in numero maggiore al peggioramento delle politiche in un paese.

IL CIRCOLO VIZIOSO DEL PREGIUDIZIO

Ci sono diversi fattori che spiegano il diverso comportamento dei migranti e che sono stati analizzati in un’ampia letteratura empirica. (2)
I dati dimostrano che i lavoratori meno qualificati sono più condizionati nelle loro scelte da fattori come la distanza geografica e i costi economici che essa comporta e dalle barriere culturali e linguistiche che li rendono più dipendenti dal network di parenti e amici. Per dirla brutalmente, questi vincoli fanno sì che un lavoratore più qualificato abbia anche maggiori opportunità e alternative. Se l’Italia pone in atto una polica restrittiva, ciò ha l’indubbio effetto di ridurre il numero di lavoratori stranieri, ma ha anche l’effetto involontario di allontanare più immigrati qualificati rispetto ai lavoratori meno qualificati, di cambiare cioè la composizione dell’immigrazione in Italia.
Questi effetti sulla qualità degli immigrati si realizzano nel breve periodo, ma le loro implicazioni possono ridurre il benessere dei nativi per un lasso di tempo ben maggiore perché intrappolano un paese in una spirale di alte restrizioni e “cattiva” immigrazione. La chiave per capire questo punto è studiare la relazione tra pregiudizi e immigrazione. (3)
Le percezioni sugli effetti dell’immigrazione sono indubbiamente un’importante determinante delle scelte politiche. Se i cittadini sono contrari all’immigrazione, perché si aspettano una riduzione del loro benessere dall’arrivo di lavoratori stranieri (attraverso una riduzione dei salari o l’aumento delle tasse per le spese sociali), il governo ha l’indubbio incentivo a ridurla, come sta avvenendo in Italia. Il processo ha tuttavia qualcosa di perverso perché rischia di innescare un circolo vizioso. I pregiudizi anti-immigrazione influenzano le scelte politiche in una direzione restrittiva, e a loro volta le maggiori barriere hanno effetti sulle scelte degli immigrati e peggiorano la composizione dell’immigrazione. Il benessere dei cittadini nativi finisce così col peggiorare proprio per l’effetto (involontario) delle politiche restrittive che cercano di rispondere alle loro paure. In questo modo i pregiudizi si autoalimentano e sono difficili da estinguere perché i timori sono via via confermati dal progressivo peggioramento della qualità dell’immigrazione.
Che fare? La soluzione non è inasprire indiscriminatamente le misure sull’immigrazione, ma ripensarle coerentemente con le necessità del nostro paese. Le politiche migratorie devono tenere conto di come i lavoratori stranieri rispondono agli incentivi. Sarebbe necessario incoraggiare l’immigrazione dei lavoratori che il nostro paese vuole attrarre, non scoraggiare chiunque abbia interesse a lavorare in Italia. Scelte selettive e motivate dal buon senso più che dalla paura hanno il potenziale di migliorare il benessere degli italiani e il giudizio che hanno sui benefici dell’immigrazione.

* Le opinioni espresse dagli autori sono personali e non riflettono necessariamente quelle delle istituzioni di appartenenza.

(1)Giordani P. e M. Ruta, 2009, “Prejudice and Immigration”, mimeo Luiss e WTO.
(2)Si veda per esempio Belot, M. and T.J. Hatton (2008). "Immigrant Selection in the Oecd", Cepr Working Paper No. 6675.
(3)Le analisi empiriche mostrano che le opinioni sull’immigrazione sono il risultato di una combinazione di fattori economici (quali i timori per la competizione sul mercato del lavoro con i lavoratori stranieri) e non-economici (ad esempio, la paura delle diversità culturali). In proposito si veda, tra gli altri, Dustmann, C. e I.P. Preston, 2007, “Racial and Economic Factors in Attitudes to Immigration”, The B.E. Journal of Economic Analysis & Policy, Vol. 7, Issue 1.

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10 commenti

  1. Sara Guerra

    Buongiorno! Non va di moda adesso parlare degli USA ma riguardo la gestione dell’immigrazione sono da ammirare e, perché no, da imitare: alcuni visti per i laureati si ottengono con procedure minuziose ma snelle, sono più lunghi -quindi consentono maggiore stabilità per una famiglia e consentono ai familiari di godere dello stesso status di colui che lavora (es.fare documenti di identità, la patente etc).

  2. erio da rimini

    Mi voglio cimentare sul peggioramento della qualità dell’immigrazione: se prima avevamo 100 immigrati di cui 20 di buona qualità, ora ne avremo 50 ? di cui 5 di buona qualità. Prima avevamo 80 non qualificati e dediti ad attività non tanto legali, ora diventano 45. Avremo quindi ripercussioni sul minor affollamento delle carceri? Se prima dovevamo in un modo o nell’altro almeno per un certo tempo..100 immigrati, ora sono 50. Quindi un risparmio secco del 50% che tradotto in euro. Per massimizzare il benessere di noi italiani, penso, come ho già considerato in precedenza che l’immigrazione ed i loro discendenti vada contenuta nel 5% della popolazione italiana momento per momento. Tutto questo per preservare l’identità se non del nostro stato nazionale, almeno delle nostre regioni.

  3. Stefano

    Quanto espresso dagli autori può essere corretto, ma non mi convince del tutto. Credo che una politica rigorosa in termini d’immigrazione sia necessaria, non solo per l’Italia ma per tutta l’Europa. Rigore che io intendo come applicazione delle regole serio e sistematico. Si può discutere a lungo se le scelte del governo siano corrette, ma solo ex post a mio avviso. Credo che l’attrazione degli immigrati migliori passi soprattutto attraverso l’innovazione nell’impresa, e quindi, a monte, dalla riqualificazione profonda del disastrato sistema universitario italiano.

  4. luigi zoppoli

    Sorvolo sul fatto, per me incontestabile, che si è molto soffiato sul fuoco del pregiudizio anti-immigrati. Una norma, comunque articolata, alla fine risponde alla logica profonda che l’ha ispirata. Le politiche sull’immigrazione sono state appaltate alla lega. Ne consegue che la logica è di tipo discrimatorio e non si pone neppure per caso nell’ottica della razionaòità economica o dell’interesse del paese. E non è il solo caso.

  5. ERIO DA RIMINI

    Il tema immigrazione viene sempre visto nei due termini diciamo ufficiali dell’analisi dal lato economico del paese che lo accoglie e dal lato umano. Non è giusto respingere persone bisognose. Il pensiero dell’autoctono, soprattutto se contro è visto superficialmente dalla generalità dei mass-media come atto finale d’egoismo puro, ma occorre andare più a fondo, stralciare da menti ottuse quel velo che appanna e allora risulta che è invece profondo amore per la propria cultura per la famiglia ed il paese, ma questo non conta.

  6. dionigi

    Buon giorno, per la mia esperienza tra le motivazioni che determinano la meta finale di un percoso di emigrazione la possibilità di acquisire in tempi brevi una nazionalità estera e il tipo di nazionalità acquisita sono tra le principali. In questo senso i soggetti con un maggiore livello di educazione credo siano anche quelli con un maggiore accesso a fonti di informazione e dunque con una maggiore abilita’ di analisi della situazione dei paesi target. Altro fattore importante e’ la dinamica sociale ed economica dei paesi di destinazione: la possibilità di accedere ad un lavoro qualificato, ben remunerato e con sostanziali possibilità’ di carriera, (eventualmente anche con una conoscenza approssimata della lingua nazionale del paese di destinazione). L’ emigrante "migliore" e’ assolutamente in grado di valutare questi fattori, e, almeno per la mia esperianza, l’Italia viene generalmente scartata o scelta esclusivamente come paese di transito. La meta ambita sono generalmente i Paesi del Nord Europa o Il Canada e in secundis gran Bretagna e USA. (IMHO)

  7. ahimsa

    Forse bisognerebbe chiamarla anche fuga di cervelli perché di questo si tratta. Non solo non entrano immigrati "qualificati" ma quelli che in Italia si sono "qualificati", nella fattispecie i figli degli immigrati, le c.d. "seconde generazioni", sono loro i primi a voltarsi verso la porta d’uscita. Io sono uno di questi figli di immigrati, arrivato qui in età pre-scolare, e che come tanti non è ancora riuscito ad ottenere un documento che consenta una permanenza stabile in questo paese: la cittadinanza qui è un lusso per pochi. Alcune mie conoscenze, anch’essi figli/e di immigrati dopo l’università sono fuggiti altrove, alcuni addirittura nei paesi di provenienza dei genitori perchè anche lì ora hanno maggiori opportunità (e meno vessazioni) di quelle che incontrano in Italia, il paese che credevano fosse anche il LORO paese. Le carceri saranno ancora più affollate con l’introduzione del reato di ingresso e soggiorno irregolare. I calcoli del signore di Rimini sono alquanto singolari ed emblematici dei fondi di bottiglia usati da sempre più cittadini italiani per leggere il tema dell’immigrazione.

  8. Alessandro Vincelli

    Lavoro da un anno e mezzo in Olanda per una fondazione del ministero Olandese. Il mese scorso ho ricevuto il mio primo stipendio con la riduzione della tassazione del 30%. Il governo olandese mi ha riconosciuto una sorta di "immigrazione qualificata" e per dieci anni la mia tassazione sara’ ridotta del 30%. Quindi oltre ad avere uno stipendio base notevolemente superiore a quello che avevo in Italia, ora ho anche un pesante bonus fiscale. Sapete quanti italiani nella la mia stessa situazione ci sono qui in Olanda? Quanto avra’ speso lo stato italiano per lo studio e la salute di questi lavoratori "olandesi"? Ora chi usufruisce del frutto delle tasse degli italiani? Inoltre, sono stato fidanzato per anni con una ragazza coreana laureata in design, che dopo aver studiato altri 3 anni moda in una costosa scuola milanese, e’ entrata nel mondo del lavoro presso le mitiche firme del made in italy. Sono state delle esperienze indimenticabili, le code per il rinnovo del suo permesso di soggiorno dalle 6 della mattina alla questura di Milano, la nottata davanti alla poste per la prima Bossi-Fini, i mesi di attesa. Notate qualche differenza tra queste due esperienze di emigrazione qualificata?

  9. antonio p

    Negli anni 60 hanno importato gli schiavi dal meridione, dal Veneto e dalla Romagna. Quando queste persone si sono ambientate nel tessuto del Piemonte e della Lombardia. I grandi industriali (futuri falliti) hanno deciso di far arrivare schiavi dall’Africa e più recentemente dai paesi dell’ex impero sovietico. Il razzismo è il risultato della politica a cui si sono alleati i poteri forti (attualmente le banche) tratta gli uomini come bestie o come carne da lavoro disumano. Pollai come case o dormitori con letti ad ore (come negli anni ’60). I sindacati, persi i lavoratori normali vorrebbero creare un "nuovo esercito di poveracci da sfruttare".

  10. FREDO OLIVERO

    Dopo 30 anni di lavoro con i migranti, confermo che governare coi pregiudizi è un danno all’Italia e agli immigrati. L’Italia ha bisogno di 250.000 immigrati all’anno per alcuni decenni (sono i nostri figli non nati negli ultimi 30 anni), e per gli immigrati che trovano il modo di venire comunque perchè li spinge la situazione del sud del mondo. Privilegiamo piuttosto alcune categorie di qualità e avremo un risultato migliore e meno morti nel mediterraneo e nei camion sulle navi e per strada.

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