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LA RISPOSTA AI COMMENTI

Sono stati numerosi i commenti alla nota in merito alle provocatorie dichiarazioni del Ministro Tremonti sulle statistiche dell’Istat sulla disoccupazione. E in questi giorni vi sono state anche altre strampalate sortite di commentatori e uomini di governo sulla qualità e l’eccesso di tempestività (sic!) delle statistiche diffuse dall’Istat. Proprio perché strampalate le tralascio.
Rispondo invece ad alcuni dei commenti, cominciando da quelli che hanno sollevato dubbi o critiche.

Ma l’Istat racconta frottole?

I dubbi di tre lettori riguardano la credibilità della rilevazione. “Sarebbero 1.500 famiglie intervistate al giorno. Ma voi ci credete?” “Ma i campioni vanno modificati di tanto in tanto, o no?” “Ditemi, quanti di voi conoscono almeno una famiglia che sia stata interrogata dell’Istat?”
Ogni rilevazione sulle forze di lavoro si svolge nell’arco di un trimestre. Per semplicità, faccio dunque riferimento a una rilevazione trimestrale. Il campione di famiglie è di circa 76-77.000. Quelle che vengono trovate e rispondono sono dell’ordine dell’88%. Siamo a 67-68.000 famiglie, delle quali sono intervistati i componenti che hanno almeno 15 anni: 165-170mila persone. Tenuto conto del disegno dell’indagine, delle famiglie che non hanno il (o non desiderano rispondere al) telefono e della cura particolare messa nel raggiungere gli stranieri, grosso la metà delle interviste sono faccia a faccia mentre l’altra metà avviene per telefono. In ogni caso le interviste sono computer assisted, svolte cioè con l’ausilio di un personal computer che gestisce il questionario elettronico, sono realizzate da una rete di 350 rilevatori – selezionati e adeguatamente formati, e l’intero processo è monitorato in maniera sistematica. Che c’è di sorprendente nel fatto che, contando cinque giorni la settimana (ma qualche intervista si fa anche di sabato), si effettuino circa 1.050 interviste il giorno? Corrispondono a un carico di 3-4 interviste giornaliere per intervistatore professionale: un carico del tutto normale.
È ovvio che le stime si basano su un campione, sia pure piuttosto grande. Ed è altrettanto evidente che la cura posta nell’indagine non esclude vi siano errori. Ma essi sono contenuti entro limiti ragionevoli, e in buona parte sono individuati e corretti controllando la coerenza delle risposte. In definitiva, i risultati sono credibili, affidabili: soprattutto per i grandi aggregati. Non a caso, l’Istat fornisce stime provinciali delle principali grandezze non ogni trimestre, ma soltanto in termini di media annua (cioè, combinando i risultati di quattro rilevazioni).
E si rassicuri un lettore: il campione di famiglie viene rinnovato, con un piano di rotazione tale per cui una famiglia è intervistata 4 volte nell’arco  di 16 mesi (cioè, di 6 rilevazioni), e poi esce definitivamente dal campione(1).
Quanto all’aver conosciuto o meno una famiglia che sia stata interrogata dell’Istat: via, non è così che si ragiona riferendosi a fenomeni che toccano una frazione dell’ordine di 1 su 360 degli oltre 24milioni e mezzo di famiglie! Comunque, se mai servisse una testimonianza per soddisfare la curiosità di quel lettore, ebbene io conosco due famiglie che hanno fatto parte del campione delle forze di lavoro.

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Forse i disoccupati sono ancora di più

Di tutt’altro tenore è l’obiezione di un altro lettore, secondo il quale “il problema non è tanto nella sovrastima della disoccupazione, quanto nella sua probabile (anzi sicura) sottostima”. La questione non è centrale nel dibattito intorno alle dichiarazioni del Ministro Tremonti, ma l’affermazione è plausibile. Il perché è presto detto. Il mercato del lavoro italiano è segmentato, vischioso. Chi cerca lavoro, soprattutto nel Mezzogiorno, affronta dei costi di ricerca spesso elevati rispetto alla possibilità di trovarlo. Per di più, coloro che cercano un primo lavoro – e in Italia sono un terzo dei disoccupati – così come i disoccupati (precedentemente occupati) di lunga durata non hanno diritto all’indennità di disoccupazione, sicché di fatto non è loro richiesto neppure di compiere periodicamente la segnalazione di disponibilità al lavoro presso un Centro per l’impiego. L’insieme di questi fattori – strutturali e attinenti alle caratteristiche del nostro welfare del lavoro (e al modo mediocre con cui è amministrato) – comporta che una frazione non trascurabile di persone alla ricerca di lavoro e disponibili a lavorare non compia azioni attive di ricerca a cadenza almeno mensile: manchi cioè di uno dei requisiti per essere ufficialmente contata come disoccupata. Recenti studi mostrano che la gran parte di tali persone sono simili ai disoccupati ufficiali, sia per le loro caratteristiche che per il loro comportamento nel mercato del lavoro(2).

L’intervento di Tremonti è la spia di un più generale degrado del paese

Infine, mi trovo amaramente d’accordo con un altro commento, che legge in questa vicenda il sintomo di un degrado più generale dell’intero paese, e della sua classe dirigente in particolare. Davvero, vi è “un disprezzo per la scienza, la conoscenza in generale, per cui si può dire tutto senza necessità di parlare di metodi e tecniche”, senza suffragare le proprie affermazioni con l’evidenza informata, anzi avanzando accuse tanto infondate quanto destabilizzanti, “mettendo tutto sul ridere [ed] elevando le chiacchiere da bar a verità”.
Provo un profondo disagio per la situazione di un paese che vede i sondaggi – non importa di che qualità – branditi come argomenti se fa comodo; le stime e le proiezioni serie, che dovrebbero servire come riferimento (certo, da vagliare e da aggiornare) per l’azione, irrise – e i loro autori invitati al silenzio; l’assenza di uno sforzo pubblico per informare correttamente ed educare a un uso consapevole dei dati. E vedo con preoccupazione il suo futuro.

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(1) Informazioni essenziali su contenuti, disegno e modalità di svolgimento dell’indagine sono nella nota Rilevazione sulle forze di lavoro. Le caratteristiche dell’indagine sono presentate in modo più dettagliato nel volume La rilevazione sulle forze di lavoro: contenuti, metodologie, organizzazione.
(2) Vedi Brandolini A., P. Cipollone e E. Viviano, “Does the ILO definition capture all unemployment?”, Journal of the European Economic Association, 2006, vol. 4 (1), pp. 153-179, e Battistin E., E. Rettore e U. Trivellato, “Choosing among alternative classification criteria to measure the labour force state”, Journal of the Royal Statistical Society – Series A, 2007, vol. 170 (1), pp. 5-27.

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  1. lolle

    Non mi stupisce che ci sia gente, convinta che le rilevazioni Istat sulla disoccupazione siano quantomeno dubbie, dopotutto ci sono persone che dicono che la crisi è ormai passata e altre che addirittura sostengono che non c’è mai stata! Di che meravigliarsi quindi? Il motto dei nostri Amministratori (di poltrone) è: “negare ogni cosa, negare sempre anche di fronte all’evidenza”. Tenere all’oscuro una popolazione sempre più ignorante e di scarsa cultura sociale è un modo efficace di governare un branco di pecoroni…e ci stanno riuscendo benissimo. I disoccupati? Macché, quelle sono persone con tanto tempo libero a disposizione!

  2. Aram Megighian

    Sono pienamente daccordo con il suo amaro commento finale sul significato e sulla validità data ai risultati delle indagini scientifiche qui in Italia. Non è un caso che, dato lo scarso valore dato alla ricerca scientifica nel nostro paese, la nostra economia sta lentamente ma inesorabilmente arretrando. Leggendo le sue riflessioni, mi è venuto in mente il caso del Dott. Hansen, climatologo di punta della NASA da ben 3 decadi e tra i primi ad avvertire del pericolo del riscaldamento globale in un’audizione al Senato americano nel 1988. Nel 2006, l’Amministrazione Bush tentò addirittura di censurare le sue dichiarazioni e i risultati del suo lavoro, perchè naturalmente non in "linea" con le idee dell’amministrazione stessa. Appunto, amministratori e politici che vogliono adeguare i dati e i fatti reali alle loro idee e non viceversa, come, bene o male, è stato fatto finora. Brutti tempi.

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