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POVERA ITALIA!

Gli italiani si sono impoveriti negli ultimi anni? Le indagini di Istat e Banca d’Italia fotografano una situazione difficile per le famiglie numerose, per chi non ha lavoro e per il Sud. Ma nelle indagini sulla povertà si dovrebbe considerare un paniere che per tutta l’area euro rappresenti l’insieme dei beni e servizi considerati essenziali per uno standard di vita di una famiglia minimamente accettabile. E poi analizzare la percentuale di famiglie che si avvicina o si allontana da quella soglia ogni anno e nel corso degli anni.

Gli italiani si sono impoveriti negli ultimi anni?
È questa la domanda alla quale hanno cercato di rispondere l’Istat, con l’ultima indagine sulla povertà, e la Banca d’Italia con l’Indagine conoscitiva sul livello dei redditi di lavoro.
Una premessa è essenziale per analizzare i dati e provare a fornire delle risposte: gli indicatori statistici campionari sono indizi utili a comprendere i fenomeni e possono non fornire risposte univoche.

I DATI

Dall’indagine Istat sulla povertà emergono alcuni dati particolarmente significativi.
La stima dell’incidenza della povertà assoluta, cioè la percentuale di famiglie e di persone povere sul rispettivo totale delle famiglie e delle persone residenti in Italia, è aumentata significativamente dal 2005 al 2007 per le famiglie con tre o più figli minori, contro una sostanziale stabilità statistica del fenomeno povertà per gli altri nuclei familiari considerati, con un’incidenza evidentemente più elevata al Sud rispetto al resto del paese. Inoltre, circa un quinto delle famiglie che non hanno un reddito da lavoro né un reddito derivante da una pregressa attività lavorativa risulta in condizione di povertà assoluta.

Altri utili dati Istat sulla povertà oggi disponibili, quelli cioè quelli sulla povertà relativa (in cui le soglie di povertà sono definite solo rispetto all’ampiezza familiare e non al territorio), presentano dal 2003 al 2006 una sostanziale stabilità della povertà in Italia nel periodo considerato, circa l’11 per cento, con un Sud in cui si presenta con valori superiori al 20 per cento.
Come opportunamente rileva su questo sito Linda Laura Sabbadini, “la misura della povertà assoluta è particolarmente utile per la progettazione di politiche di contrasto al fenomeno”.
La Banca d’Italia, invece, restringendo l’attenzione agli ultimi quindici anni, rileva giustamente come non vi sia evidenza, nei dati campionari sulla distribuzione dei redditi, di un assottigliamento dei ceti medi o ancora di un impoverimento delle famiglie. Sottolinea però come il contrasto tra Nord e Sud determini un livello della povertà e della disuguaglianza dei redditi familiari in Italia ben superiore a quello dei paesi nordici e dell’Europa continentale.
La Banca d’Italia, tramite l’indagine campionaria sui bilanci delle famiglie italiane nel 2006,  evidenzia però già da tempo che nel periodo 2000-2006 il reddito delle famiglie con capofamiglia dipendente, in termini reali, è rimasto sostanzialmente stabile, rispetto a una crescita del 13,86 per cento per le famiglie con capofamiglia autonomo.
Letti i dati, e fatte le dovute premesse, è necessario proporre una diagnosi, lasciando ad altri esperti una prognosi completa. I dati Istat evidenziano che il problema della povertà concerne le famiglie (di tre o più figli dice l’indagine), ma interpretandoli con buon senso si può ipotizzare un problema di povertà, quantomeno soggettiva, sempre più sentito al crescere della prole: la povertà soggettiva indica la percezione degli individui circa l’adeguatezza del proprio reddito familiare per condurre una vita considerata dignitosa. Tale povertà soggettiva è probabilmente alimentata dall’assenza di una tassazione dei redditi basata sui quozienti familiari.
I dati citati inoltre rappresentano il ben conosciuto problema di un Sud depresso e di chi non ha un lavoro: questi ultimi sono impoveriti dall’assenza di un organico sistema di welfare state. Potrà rappresentare un importante passo avanti in tal senso il sistema degli ammortizzatori sociali, che a regime potrebbe essere organizzato su due pilastri, pubblico e privato, come spiega il Libro Bianco sul welfare presentato dal ministro Maurizio Sacconi.

LE CAUSE DEL MALESSERE

Dalla diagnosi alle cause del malessere.
– Nel 1995, il reddito italiano pro capite era superiore di circa il 4 per cento a quello medio relativo ai quindici paesi dell’UE; nel 2008 è invece sceso sotto la media circa del 10 per cento: in pratica, “l’italiano medio” si è impoverito quasi di 1 punto percentuale all’anno in rapporto agli altri partecipanti all’Unione Europea. Anche il confronto con i salari medi netti annuali nei paesi Ocse è poco soddisfacente per il nostro paese, come risulta dal grafico che segue. Occorre considerare che se la crescita del Pil di un paese si ferma, o addirittura vi è decrescita, gli altri Stati possono comportarsi anche in maniera opposta o comunque diversa. Infatti, i dati relativi al 2008 disponibili per gli altri paesi indicano per il Pil un aumento dell’1,3 per cento in Germania, dell’1,1 per cento negli Stati Uniti, dello 0,7 per cento in Francia e nel Regno Unito, e una diminuzione dello 0,7 per cento in Giappone. In Italia il prodotto interno lordo è invece calato dell’1 per cento rispetto all’anno precedente;
– Secondo le statistiche della Commissione europea per il 2008, considerando i dati corretti per il potere di acquisto, fatto pari a 100 il reddito pro capite medio nell’area euro, esso è pari a 104,8 in Germania, a 91,7 in Italia, a 84,5 in Slovenia: gli italiani quindi possiedono un reddito medio molto più vicino a quello sloveno che a quello tedesco; 
– Per capire l’impatto rilevante del Pil sulla vita delle persone, occorre considerare che una delle sue componenti è rappresentata dai consumi delle famiglie, ad esempio di beni durevoli.

(elaborazione grafica dei dati di Francesco Pugliese)

Concludendo, è bene rilevare come le soglie di povertà corrispondano alla spesa mensile minima necessaria per acquisire un determinato paniere di beni e servizi: nelle indagini sulla povertà, può essere utile considerare anche un paniere che rappresenti l’insieme dei beni e servizi che, nell’area euro, e per una determinata famiglia, sono considerati essenziali al fine di conseguire uno standard di vita minimamente accettabile e analizzare la percentuale di famiglie che si avvicina o si allontana (a seconda del punto di partenza) da tali soglie annualmente, nel corso degli anni. Per i paesi primi entranti potrebbe poi contribuire all’analisi il definire una soglia di “malessere”, superiore a quella della povertà.
In una società globalizzata, per comprendere le condizioni di vita delle collettività, è bene operare confronti anche su sottoinsiemi con caratteristiche economiche comuni, per avere comparazioni omogenee ed esaustive. I cittadini, nel giudicare l’adeguatezza del proprio reddito familiare per condurre una vita dignitosa, osservano territori anche lontani, grazie ai mass media, a Internet, alla sempre maggiore mobilità. E sono soggetti a prezzi, come quelli dei beni durevoli, che spesso tendono a convergere in presenza di politiche monetarie comuni.

* L’articolo e le opinioni in esso contenute sono presentate dall’autore a titolo personale e non impegnano l’Istat, presso cui egli svolge l’attività di ricercatore.

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10 commenti

  1. Anonimo

    Dal punto di vista strettamente manualistico e della "dottrina" l’intervento sembra dignitoso. Dal punto di vista intellettuale ci chiediamo, però, se un esercizio del genere abbia ancora forza? Si propone un esercizio un pò diverso. Come spesso si dice in gergo manageriale proviamo a gettare il cuore oltre l’ostacolo. Le chiavi di lettura potrebbero essere: innovazione metodologica, revisione sostanziale di indicatori come il PIL in funzione di indicatori più "umani" in cui oltre alla dimensione economica siano presenti le dimensioni della soddisfazione della persona, della coesione sociale etc.Una piccola provocazione come chiarimento: Perchè per indicatori di tale delicatezza ISTAT e Banca D’Italia sono ancora ancorate a metodologie campionarie? Perchè non si sperimentano indagini censuarie basate sulla raccolta dei dati via cellulare o altro mezzo di simile penetrazione nella popolazione? Se si riuscisse ad avere la situazione di ogni italiano in tempo reale non si avrebbero indicatori più precisi ed adeguati e soprattutto meno teorici e dogmatici e più "reali"?

  2. Stefano Crimì

    Poiché su tale base sono stati riproporzionati tutti i valori, è chiaro che un errore sulla stima della parità di potere di acquisto possa inficiare tutto il ragionamento. Io sinceramente vedendo la Grecia sopra non solo l’Italia, ma addirittura la Francia, inizio a pensare che i dati non siano poi così corretti: insomma, in Grecia per lavoro mi capita di andare alcune volte l’anno, e non mi è parso di vedere tutto questo benessere. Altro caso anomalo è l’Islanda, molto in alto in classifica: sbaglio o l’Islanda – come stato sovrano – ha dichiarato default? Possono i cittadini di uno stato "fallito" essere ricchi?

  3. martion

    Caro anonimo, vabbene la soddisfazione della vita, ma con i redditi ridicoli che abbiamo in italia non si va da nessuna parte. anzi, no si va all’estero… dove guadagni di più e in caso di figli c’hai sgravi fiscali… ma, a tal proposito, ci fosse uno, dico uno, dell’opposizione che lo dicesse! E invece no! Tutti lì a fare i moralisti sulle presunte "putaines dè la Republique" di cui non frega niente a nessuno (tranne che ai guardoni)… ah, se ci fosse una opposizione con un contenuto politico concreto, la voterei anche…

  4. vittoria

    Certo che gli italiani si sono impoveriti. Guardateci, sembra di nuovo di vivere durante la guerra. Niente lavoro, niente soldi. Arrivano marocchini, albanesi, rumeni che prendono 5-10 euro al giorno e noi del sud siamo costretti a rimanere disoccupati o ad andare a lavorare al nord (se siamo fortunati a trovare lavoro) e quelli del nord? Vanno all’estero o muoiono di fame perché il pane costa 10 euro. La gente ricomincia a fare il pane in casa, perchè non è più possibile nemmeno comprarlo. Il lavoro è un optional ormai e il nostro "premier" se così vogliamo definirlo è bravo a dire "spendete, l’economia deve girare" tanto lui guadagna 20.000 euro al mese e si è impiantato pure i capelli. La gente è disperata! Nessun politico può capire…nessuno, se non si trova nella sistuazione di una famiglia di otto persone che deve vivere con meno di 800 euro al mese e ha il frigo vuoto! E’ uno schifo! Al posto di guardare il PIL o di pubbliciazzare le macchine della fiat che sono le meno costose e nessuno può più permettersi, guardate nelle case delle persone!

  5. Anonimo

    Probabilmente il messaggio che c’è dietro le mie considerazioni metodologiche è poco chiaro e per questo è stato frainteso. Concordo pienamente con quanto dici. All’estero si sta tendenzialmente meglio che in Italia. Tu dici che la questione è politica. Io metto il carico: la questione è di elité al potere. Per ritornare a bomba: io credo che se si disponesse di dati molto più attendibili di quelli attualmente in uso, la situazione sarebbe addirittura peggiore. Tu pensi che si possano fare politiche economiche e sociali vere, concrete con dati come quelli dell’articolo? Secondo me no. Ti faccio un esempio. Si parla di Tassi di occupazione e disoccupazione forniti dall’ISTAT e tutti sanno che sono indagini campionarie tra l’altro riviste e corrette dopo la raccolta del dato. Ma di che stiamo parlando? Per l’articolo in questione è la stessa cosa. Parliamo di Povertà su dati capionari, semmai rivisti e corretti! Non sarebbe il caso di entrare nelle case di tutti gli italiani per tracciare un quadro verosimilmente più buono del fenomeno, piuttosto che commentare dati partoriti da questo o da quell’ente? Spero di essere stato un pò più chiaro ora.

  6. AM

    La situazione dei redditi italiani e della loro distribuzione è dunque peggiorata in misura preoccupante. Questo ci suggerisce di riconsiderare le politiche di aiuti pubblici e privati indirizzati verso l’estero al fine di dare maggior spazio e risorse in uomini e mezzi alle iniziative rivolte ai poveri (connazionali ed immigrati) del nostro paese. Nel contempo si dovrebbero concentrare gli sforzi a favore delle iniziative riguardanti i paesi più poveri (in primis alcuni stati africani) depennando paesi di notevole potenza economica, come il Brasile, l’Argentina, l’India, ecc., che sono in grado di attuare efficaci politiche sociali senza necessità di sussidi dall’estero. Del resto vi sono poveri dappertutto, anche negli USA. Visitiamo quindi questi grandi paesi, ma solo da turisti, ed andiamo a dare una mano invece a che ne ha maggiormente bisogno.

  7. J.

    Penso che forse questo articolo possa servire a fare un pò di chiarezza, a seguito delle parole di Tremonti sull’indagine forze lavoro, circa le utili indagini stratistiche campionarie, che vanno però interpretate , e magari anche migliorate.

  8. ANONIMO

    … avevo invitato a riflettere sulla validità delle indagini campionarie qualche settimana fa, nel mio primo commento all’articolo del Prof. Frenda. Sono stato profetico: Che il Governo usi la critica metodologica in modo strumentale è fuor di dubbio. Immagino che sia il ministro Brunetta che il Ministro Tremonti abbiano usato dati campionari in maniera smodata nella loro carriera di studiosi. Ma la questione delle basi dati su cui poggiare le analisi per le decisioni politiche è a mio avviso di capitale importanza. Sono stupefatto dai commenti di quanti vedono nelle indagini campionarie, anche se "da migliorare", ancora uno strumento valido. Ripeto con i moderni mezzi informatici c’è urgenza di sperimentare metodologie di tipo censuaro sempre più complete affidabili che diano flussi continui di dati. Leggere l’articolo di Repubblica: l’ISTAT è attaccato proprio per questa ragione fornisce solo dati "campionari" quando ci sono dati di flussso più attendibili e robusiti! "Immaginazione sociologica" questo manca agli attuali ricercatori sociali in Italia!

  9. stefano

    Ieri sono andato in pizzeria, la metà dei tavoli era vuota. Peggio per loro ho pensato, una pizza me la faccio in casa e mi costa, se sono solo cinquanta centesimi, se siamo in due, 25 centesimi, come fa una margherita a costare 7 euro? Abbassino i prezzi, altrimenti ben gli sta che la gente se ne sta a casa!

  10. delta737

    Abito a Milano – Italia (sulla Terra non su Marte) e a parte le affermazioni dell’Emilio Fede nazionale (fuori dal tempo, dall’economia, dalla storia … in definitiva fuori di melone), io con i miei occhi vedo: la città svuotata ad ogni week-end; la gente che esce dai supermercati non con i carrelli, ma con i SUV stracolmi; le famiglie che la domenica gozzovigliano con cappucci, brioches e spremute ai tavolini dei bar; gli impiegati che all’uscita dall’ufficio hanno come prassi consolidata l’aperitivo seduti al bar ristoranti e pizzerie stracolme 7 giorni su 7; discoteche come bolge infernali con migliaia di adolescenti deficenti tutti quanti col telefonino perennemente infilato nell’orecchio.

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