Lavoce.info

L’IMBIANCHINO DI SACCONI

Nel suo recente intervento alla riunione dei giovani industriali, il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, ha invitato i giovani ad accettare anche i lavori più umili, come l’imbianchino, piuttosto che inseguire una formazione fatiscente, come le lauree in scienze della formazione. Se l’obiettivo fosse solo quello di riconoscere dignità anche all’imbianchino, o ai lavori manuali in generale, nulla da dire. Ma l’intervento racchiude anche un sottile messaggio ideologico, che ben si inserisce nell’offensiva culturale più generale portata avanti dall’attuale governo. È un’offensiva che tende a riproporre il “buon tempo antico” come la soluzione dei problemi italiani odierni, crisi globale inclusa, e che trova orecchie interessate in una parte della società italiana, come gli industriali. Che difatti, dicono i resoconti della stampa, si sono spellati le mani per applaudire il ministro.
Il messaggio è semplice. Basta con questi giovani che vogliono lavorare nella finanza o nell’industria culturale. Torniamo invece alla fabbrica e al duro lavoro nella manifattura, e tutto andrà come prima, come al tempo del mitico miracolo italiano. Insomma, come recitava una canzone, anch’essa dei bei tempi andati, il problema italiano è oggi più che mai che “anche l’operaio vuole il figlio dottore”. Facesse l’operaio, invece, saremmo a posto.
Ahimé, nulla di più falso. Intanto, la scuola e l’università italiana ripresentano imperterrite le disuguaglianze sociali pre-esistenti, invece di correggerle come dovrebbero. Il numero dei diplomati e laureati italiani poi è ancora nettamente inferiore alla media europea; e il divario di competenze degli studenti italiani rispetto alla media dei paesi sviluppati è, soprattutto in alcune zone del Paese, abissale. La bassa qualità del capitale umano italiano è al contempo causa ed effetto del circuito perverso di bassa produttività e bassi salari in cui l’Italia pare si sia adagiata negli ultimi anni. La terza media è probabilmente sufficiente se si tratta di operare un tornio o far girare una macchina. Non lo è se si devono produrre quei servizi a sostegno della moderna industria che ne rappresentano buona parte del valore aggiunto. A Sacconi e a chi l’applaude andrebbe ricordato che grazie ad alcune circostanze favorevoli si può diventare ricchi anche essendo ignoranti. È difficile però che si resti ricchi, se si rimane ignoranti, quando quelle condizioni mutano.

Leggi anche:  Liceo del made in Italy, un flop annunciato

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  L'onda lunga del '68 guarda a destra

Precedente

COSA CI SARÀ DOPO LA CRISI

Successivo

QUELLO CHE C’E’ DA SAPERE SUI REFERENDUM

33 commenti

  1. Russo Giovanni Augusto

    Ottimo commento ! Parole sacrosante ! La nota fotografa intelligentemente la situazione italiana e il messaggio nascosto dietro tanti discorsi sull’ottimismo e dal contenuto paternalistico.

  2. Marino

    Cioè, i laureati italiani che all’estero trovano impieghi decorosi qui devono andare a fare gli imbianchini? Ma non è che Sacconi sta pensando al seguito di quella canzone a proposito dell’operaio che voleva il figlio dottore? "quando è arrivata la polizia* quei quattro straccioni hanno urlato più forte/di sangue han sporcato i cortili e le porte"? *aggiornamento 2009: leggasi "le ronde"

  3. Lilli Pruna

    La battuta di Sacconi sui giovani è solo l’ultima di una brutta serie. Nel Libro bianco "sul futuro del modello sociale" approvato dal Consiglio dei Ministri il 6 maggio scorso, ai giovani è dedicata la prima parte di un capitoletto intitolato “Dei diritti e dei doveri”, in cui sono accusati di «deresponsabilizzazione, incapacità di mettere in relazione le proprie aspirazioni con le esigenze sociali del momento e profondo senso di distacco dalla collettività». Ai giovani si rimprovera, in sostanza, di non capire che le “esigenze sociali del momento” consistono in una flessibilità illimitata e senza tutele, in retribuzioni bassissime e occupazioni di scarsa qualità (alla faccia della società della conoscenza). Non finisce qui: «La parabola della condizione giovanile sembra seguire quella della società intera. Una enorme insistenza sui diritti e uno scollamento con i doveri che normalmente derivano dalla convivenza sociale. La moltiplicazione di diritti “insaziabili” determina la perdita del senso del bene comune che non è certamente la mera sommatoria del bene dei singoli individui.» Il diritto insaziabile ad un lavoro decente rovina la società, cari giovani precari.

  4. lupo48

    L’ennesima infelice esternazione di Sacconi è passata un pò in sordina rispetto al " delirio" di Berlusconi relativo al complotto, ma merita indubbiamente alcune considerazioni. La prima è il contesto: questi giovani industriali che dovrebbero costituire la futura classe dirigente, non hanno minimamente rappresentato al Presidente del Consiglio la drammaticità della situazione economica e sociale del Paese, in particolare delle aziende medie e si sono bevuti quest’ultima invenzione " il complotto" . la seconda ciò che ha detto Sacconi, c’è da piangere… ed e’ riuscito a svilire sia il lavoro " intellettuale" sia quello "manuale", complimenti!

  5. l'upereri

    Anche un giovane industriale può darci di rullo, coraggio giovani industriali sulla cinquantina, è un’esperienza! Facciamola diventare trendy.

  6. silva

    C’è un piccolo problema: quanti saranno gli impiegati et similia che con i loro stipendi potranno permettersi di pagare un imbianchino ?

  7. Paolo Bizzarri

    "il divario di competenze degli studenti italiani rispetto alla media dei paesi sviluppati è, soprattutto in alcune zone del Paese, abissale". Indubbiamente; infatti è per questo che i nostri laureati emigrano all’estero per trovare mestieri da laureati (vedi alla voce fuga dei cervelli). "Facesse l’operaio, invece, saremmo a posto." Vorrei ricordare all’autore che stiamo importando centinaia di migliaia di stranieri per lavorare. I pomodori in Puglia prima degli africani e dei rumeni chi li raccoglievano? Gli extraterrestri? Siamo un paese che ha una domanda enorme di manodopera, e un’offerta di laureati in psicologia, scienze della formazione, scienze della comunicazione eccetera. Forse ci si dovrebbe rendere conto che i servizi complessi servono in piccola misura e solo quando le imprese sono grandi e molto strutturate.

  8. Marco

    Mi limito a ricordare a Paolo Bizzarri che la paga oraria per i raccoglitori di pomodori sfiora lo schiavismo (e peggio va col caporalato). Eppure sono l’"oro rosso" del sud! Lavorare duramente un mese sotto il sole per un ottimo stipendio attirerebbe eccome i giovani italiani; sa quanto prende chi pulisce il pesce in Norvegia? Si chieda perchè ci sono italiani che vanno fino a lassù per lavorare, emigrati a causa di una politica economica dettata da Confindustria che sfiora il demenziale.

  9. Bruno Stucchi

    Il problema e’ che uno non si puo’ improvvisare imbianchino, ma spacciarsi per esperto di finanza si’.

  10. Luciano

    Condivido in pieno l’analisi. Se si vuole aumentare il benessere bisogna incrementare la produttività e non metterci tutti a raccogliere i pomodori. Forse i laureati in materie poco richieste sono eccessivi, ma l’invito è allora di studiare ingenieria, matematica e fisica. Non certo a tornare al passsato. Per il ns. governo dovremmo tutti rassegnarci alla mancanza di posti di lavoro appetibili ed è comprensibile, sono già tutti prenotati dai vari eredi in perfetto stile nepotistico: SuperPiersilvio, Bossi (la Trota), Geronimo la Russa, ecc. ecc. La nostra è l’unica destra che invece di predicare il liberismo propone un ritorno al passato, complimenti Per la cronaca sono figlio di un operaio, laureato alla bocconi con 110 e lavoro con successo all’estero.

  11. Aram Megighian

    Il Signor Bizzarri nel suo commento, a mio parere, dà pienamente ragione proprio al pensiero dell’Autore dell’articolo. Esiste un’opinione comune secondo la quale i mali dell’industria italiani sono mali "esterni" ad essa: concorrenza "sleale" dei paesi asiatici (Cina in primis), eccessive pretese degli operai italiani (appunto, troppa cultura, troppi laureati), scarso interesse delle Università (sembra che le Università debbano andare nel territorio proponendo e non viceversa). Non sono un economista, ma sono uno scienziato biomedico. Ho potuto toccare e valutare come "girano le cose" nei paesi più evoluti. Là le industrie investono in ricerca, sostenendo studi anche nella scienza di base. Là le industrie biotecnologiche sono fatte da scienziati e vi lavorano scienziati (altro che operai al tornio). Là si rischia (venture capitalism) e le banche investono. Là si combatte la Cina con la tecnologia e non ribassando il costo del lavoro. Si potrebbe andare avanti per anni. Concludo con un esempio: perchè la Germania è avanti nell’industria dei pannelli solari, mentre noi, paese o’ sole, arranchiamo dietro ?

  12. Giuseppe

    Il potere d’acquisto di chi lavorava in campagna negli anni sessanta era superiore a quello degli immigrati che ci lavorano ora. Va anche detto, però, che ci sono troppi corsi di laurea inutili, che non è vero che servono più laureati. Per le attività disponibili ci sono fin troppi laureati. Concludo, osceno il comportamento dei "giovani industriali" a Santa Margherita, senza i soldi di papà , loro si, potrebbero solo andare a zappare.

  13. Paolo Bizzarri

    "Là si rischia (venture capitalism) e le banche investono." Certo. Basta avere abbastanza capitale da rischiare, acquisito per esempio attraverso speculazioni finanziarie. E’ ovvio che finchè di soldi ne girano tanti (anche finti o fintissimi) è possibile investire centinaia di migliaia di euro su un’idea, che forse un giorno funzionerà. Poi arriva il crack finanziario, e scopri che di soldi non ce ne sono. I paesi evoluti hanno qualcosa che in Italia è stato colpevolmente demolito: grandi aziende. Qui le poche grandi aziende rimaste sono quelle che ancora assorbono laureati utili: ENI, ENEL, Telecom, Fiat e così via. Comunque, per i laureati in sociologia, scienze politiche, scienze della formazione eccetera di spazio ce ne è poco. Siamo ancora (fortunatamente) un paese manifatturiero. Guardare cosa è successo in Irlanda o in Islanda, per avere un’idea.

  14. AMSICORA

    Due appunti all’articolo. "Intanto, la scuola e l’università italiana ripresentano imperterrite le disuguaglianze sociali pre-esistenti, invece di correggerle come dovrebbero" Le scuole avrebbero il compito di correggere le "diseguaglianze sociali"? (termine troppo ambiguo secondo Von Hayek) Ed io che ancora pensavo che servissero solo ad istruire gli studenti! II"Il divario di competenze degli studenti italiani rispetto alla media dei paesi sviluppati è, soprattutto in alcune zone del Paese, abissale." "In alcune zone del paese?" Quali? Traduzione molto verosimile dall’accademichese: le scuole del sud sono scadenti, molto peggiori rispetto a quelle del Nord.

  15. Tempesta Tiziano

    Trovo la dichiarazione di Sacconi sia a dir poco offensiva. E’ il solito sistema per scaricare le proprie colpe sugli altri. Il sistema formativo italiano sta lentamente andando alla deriva a causa dell’incapacità della classe politica di fare una riforma seria. Ogni governo si diletta a fare una riforma che finisce per gettare nello scompiglio il sistema didattico. Noto con preoccupazione che il livello di preparazione dei giovani che si iscrivono all’Università è andato progressivamente riducendosi. Ma la cosa ancora più preoccupante è il loro atteggiamento nei confronti dell’Università, lo scarso interesse e impegno nello studio. E’ il sistema di valori trasmesso ai giovani ad essere devastante per le loro prospettive future. L’Università ha posto in essere, con il beneplacito della classe politica, una pletora di corsi che è servita più a creare posti di lavoro per i docenti che per gli studenti. Nel dibattito innescato dai tagli del governo e dal libro di Perotti sulla qualità della ricerca scientifica (che va sicuramente migliorata) pochi si sono posti il problema dell’organizzazione della didattica, magari su basi più anglosassoni.

  16. Ste

    Ma questi che applaudono sono gli stessi industriali che si lamentano che mancano persone qualificate e che predicano che si deve (lo Stato, noi, i giovani) investire di più nell’università e nella ricerca? O alle loro riunioni vanno ogni volta industriali diversi?

  17. Emmanuele Massagli

    Curioso caso di pregiudizio. Così Sacconi vorrebbe un ritorno all’antico, un ritorno alla manualità, un abbandono delle università etc…? Dire che la manualità ha la stessa dignità del lavoro intellettuale; dire che ci sono lauree in Italia che sfornano migliaia di laureati che statisticamente (qui parlano i dati, non Sacconi) faranno lavori assai distanti da ciò che hanno studiato (generando, spesso, quando accettano proposte anche al di sotto delle loro aspettative per la ovvia esigenza di lavorare, quel fenomeno di overeducation in cui l’Italia eccelle); dire che investire su quella che è sempre stata la forza dell’Italia (il manifatturiero e non la finanza) è un bene e non una vergogna, invece che essere corretto e ragionevole, è… "ideologico". Che si voglia o meno, non è nè "corretto", nè "ideologico": è realista (anche dati alla mano!).

  18. Luca

    Certo che le scuole avrebbero il compito di correggere le "diseguaglianze sociali". Anzi, non solo le scuole. "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese." La scuola deve rappresentare una possibilità di riscatto sociale. Il figlio dell’operaio ha il diritto di aspirare ad essere dottore. Chissà quanti potenziali Einstein ci siamo persi nel corso dei secoli perché non hanno avuto la possibità di studiare ed esprimere tutte le loro potenzialità. Per la cronaca sono figlio di un operaio, laureato con 110 e lode, e ho un posto da post-doc ad Harvard. Questo grazie alla scuola pubblica e alle brave insegnanti e ai bravi insegnanti che ho avuto dalle elementari fino all’università.

  19. Moira

    Queste parole hanno un peso ancora maggiore se pensiamo che provengono da una persona che, oltre a essere ministro del lavoro e delle politiche sociali, è (anche) ministro della salute. Un campo in cui l’educazione e l’accrescimento culturale sono fondamentali per aumentare la consapevolezza dei cittadini e la loro autodeterminzione nelle scelte delicate che riguardano la salute. Vogliamo tornare al modello paternalistico del medico che tutto sa e decide per un paziente timoroso che accetta passivamente le scelte fatte sopra di lui, senza la possibilità di fare almeno qualche domanda?

  20. Giovanni Rossi

    Sottoscrivo in toto quello che ha detto, sia in veste di Ingegnere che in quello di Insegnante, il nostro ministro Imbiancato, avrebbe dovuto spiegare alla sua platea che si esce dalla crisi puntando sulla meritocrazia e sulla concorrenza tra imprese e servizi.

  21. Arnaldo Baroffio

    Secondo me la sua tesi è errata.Sacconi non intendeva quanto lei scrive. Proprio perché Università e Scuola sfornano laureati e diplomati non all’altezza è proporzionale la pretesa di chi ha solo la poco cultura della scuola media del voto 36/60mi, a non fare lavori manuali. In altre parole, se quelli sono dottori, io sono impiegato almeno qualificato. Quindi l’imbianchino la faccia un africano. Inoltre i bassi salari italiani sono tali poiché Sanità e altro sono gratis.

  22. Angel de Abreu

    Condivido il pensiero del Prof. Bordignon. A me pare che le soluzioni proposte da Sacconi rievochino sostanzialmente la politica delle 3 "F" di Ferdinando II di Borbone, il quale preferiva un popolo ignorante e perciò incapace di mettere in discussione scelte assunte dall’alto. Il popolo cioè andrebbe governato con "feste, farina e forca", quest’ultima per gli eventuali Masaniello. A parte la battuta mi chiedo quanta disistima si abbia del proprio popolo per proporgli più ignoranza. Quali sarebbero poi gli studi che provano che dall’ingessamento delle categorie dei lavoratori derivi la garanzia del benessere? Siamo di fronte direi ad un delirio visionario di chi ipotizza una società iniqua fondata sulla diseguaglianza eletta a unico criterio organizzativo della comunità.

  23. Sanna Antonello

    Credo che ci stiano mettendo molto impegno per far diventare gli italiani ignoranti (grandi fratelii e varie), ora li vogliono anche senza istruzione, visto la riforma della scuola non fa meravglia. Ma una proposta la faccio anche io, che lo faccia Sacconi e i suoi pari l’imbianchino ne guadegnerebbe il paese così eviterebbe di attuare libri verdi e bianchi che distruggerebbero lo stato sociale in Italia.

  24. Aram Megighian

    Chiedo scusa per il mio ulteriore commento. Ma trovo difficile conciliare un comune deisiderio di espansione e crescita economica con il mantenimento del nostro attuale sistema industriale. Sono fermamente convinto che ciò si accompagnerà ad un progressivo arretramento del Paese. Con la tecnologia e l’economia globale, altri paesi emergenti possono produrre le stesse cose a prezzo enormemente inferiore. L’unico modo per non arretrare è quindi trasformare la nostra industria in industria avanzata, tecnologica. Ciò non vuol dire (solo) multinazionali, ma piccole industrie gestite e dirette da persone da alto livello culturale e professionale. Ciò avviene in USA nelle biotecnologie e si basa sul sistema universitario che fornisce questi “nuovi operai” cioè scienziati che sono gli “operai” di queste imprese. Queste nascono e muoiono su progetti finanziati da capitali a rischio. Se superano questa prima fase, le piccole imprese vengono assorbite dalle multinazionali che ne assorbono i progetti e prodotti, ampliandosi. Ad es la Apple è nata così, come SIngenta o Invitrogen. Il mantenimento dello status quo, può dare sicurezza, ma solo a noi, non ai nostri figli o ai nostri nipoti..

  25. Alex

    Al di là delle discussioni sul rendimento dell’istruzione il ministro Sacconi sbaglia esempio. Alcuni recenti lavori hanno mostrato che il lavoro "giusto" del futuro non dipenderà dall’intensità di skills e dal livello di scolarità del soggetto, quanto piuttosto dalla commerciabilità delle operazioni (task) che il lavoratore compie. In due parole: il tassista e l’imbianchino saranno lavori "sicuri" perché nessun cinese può pittuarci il muro di casa o portarci all’aereoporto di Fiumicino, stando a Pechino, mentre l’analista finanziario, il radiologo, il tecnico informatico, il docente universitario, saranno lavori facilmente "delocalizzabili". Questi ultimi subiranno più degli altri la competizione dei lavoratori dei Paesi in rapida crescita come Cina e India. Le fanciulle d’oggi continuino pure a studiare scienze della formazione, di bambinaie, educatrici e insegnanti elementari ce ne sarà sempre bisogno.

  26. rodolfo sperandini

    Due sole cose vorrei ricordare al ministro Sacconi che in un tempo antico forse rammenterà che era socialista. Se ricorda qualcosa di quel tempo, faccia ammenda e tesoro di un principio base essenziale per uno di "sinistra": avere rispetto e solidarietà massimi per il prossimo soprattutto quando il prossimo è rappresentato dai nostri giovani che troppo spesso sono maltrattati, malpagati e, alla fine, anche derisi. Il signor ministro avrà avuto un ripensamento per quello che aveva appena dichiarato dal momento che ciò aveva suscitato l’entusiastico e caloroso applauso di una platea di baldanzosi giovani tutti figli di papà che certamente non faranno mai gli imbianchini?!

  27. Stefano Crimì

    Nel suo intervento leggo: Il numero dei diplomati e laureati italiani poi è ancora nettamente inferiore alla media europea; e il divario di competenze degli studenti italiani rispetto alla media dei paesi sviluppati è, soprattutto in alcune zone del Paese, abissale. Questo è un dato oggettivo (le statistiche non mentono), ma non sono sicuro che la conclusione sia condivisa: dalle sue parole sembrerebbe emergere la necessità di aumentare il numero dei nostri laureati, ma la realtà ci dice che i tassi di disoccupazione dei neo-laureati sono elevatissimi, tali da fare pensare improbabile che un loro aumento possa essere un bene per il Paese: se già oggi il sistema non è in grado di assorbire i laureati che escono dalle nostre università, cosa le fa pensare che aumentare il loro numero possa portare dei benefici? Anzi, il rischio è una maggiore offerta di manodopera, che normalmente spinge verso il basso le retribuzioni (tutti i neolaureati sono in genere uguali per quanto riguarda la competenze, quindi per un posto se ne candidano 10… il datore di lavoro potrà proporre una retribuzione molto bassa, certo che almeno uno accetterà…).

  28. mario noviello

    Chi ha sollevato dubbi sulla necessità di aumentare il numero di laureati portandolo in linea con la media europea o scherzava o non è cosciente di quello che dice. non può assolutamente essere messo in discussione il ruolo fondamentale dell’istruzione pubblica e di un’elevata formazione specialistica nell’ambito degli obiettivi della strategia di lisbona di rendere l’europa l’economia del sapere più competitiva del mondo. Il che vuol dire salire un gradino nella divisione internazionale del lavoro, unico modo di non subire il dumping sociale dei giganti asiatici. il fatto che i giovani laureati non trovino lavoro è unicamente frutto del rachitico sistema produttivo italiano, basato su produzione tradizionali a basso contenuto tecnologico (si vedano Ciocca e Rossi), e della sua struttura finanziaria (bank based financial system). si spieghi a quei pseudogiovani (a 40 anni non si è giovani!) che applaudivano Sacconi che essi sono i protagonisti primi del declino italiano, frutto anzitutto della bassa Produttività Totale dei Fattori (dunque carenze organizzative) e del trend decrescente dell’investimento per occupato. giovani di confindustria tornate a studiare!

  29. Tiziano

    La cultura non solo per far carriera. Cultura per sentirsi veramente homo sapiens, per sapersi realzionare con i vari problemi della vita (ambiente, società e, perché no, politica – anche se questo è ciò che a loro fa più paura). Serve a migliorare la società (culturalmente, industrialmente, eticamente). Ovviamente una crescita del livello culturale renderà difficile il populismo, il conflitto d’interessi, la manipolazione mediatica, il divario economico, lo sfruttamento globale…. eh sì… credo siano prprio questi i motivi -nascosti ma veri- del discorso di Sacconi e di chi dietro a lui ne ha definito gli scopi….

  30. laura

    Mio figlio non si è laureato in "aria fritta", ma ha una specialità molto particolare, infatti dopo due anni di lavoro nero in un istituto di ricerca stra-famoso in Italia è scappato all’estero, in un paese del nord europa, dove lui e tanti altri giovani come lui sono rispettati, retribuiti il giusto, coccolati dalla società e dai loro professori. Bene continuiamo così, scanniamoci con i cinesi per le magliette da 5 euro e i nostri medici, biochimici, biotecnologi, astrofisici invece di fare gli inbianchini in Italia, producono nei laboratori di tutto il mondo. Complimenti per la lungimiranza e il fiuto del futuro! Io sono contentissima che mio figlio abbia lasciato questo paese.

  31. deimos

    A proposito perché non lo propone, in sede di consiglio dei ministri, al figlio di Bossi?

  32. Francesco

    Mi pare che il Sacconi-pensiero non sia condivisibile poichè, peccando di eccessivo realismo (la difficile realtà del mondo del lavoro per i giovani italiani è un fatto innegabile) mortifica le legittime aspirazioni, professionali e non solo, in futuro migliore, che tutte le persone naturalmente hanno. Mi sembra però che vadano fuori strada anche quelli che ritengono – alcuni lettori e l’autore dell’articolo mi pare lo lasci intendere quando parla di competenze – che un’ Italia e un mondo dove tutti si occupino di economia, finanza e ingegneria sia il tipo di società ideale; personalmente mi trovo abbastanza d’accordo con il lettore Paolo Bizzarri e aggiungo, senza voler offendere nessuno, che i tanti giovani laureati in economia e finanza, anche italiani, che in questi anni hanno lavorato nella City, al servizio di quel sistema finanziario che, producendo carta straccia (alla quale basta dare un valore legale per essere ricchi) pensa di creare ricchezza reale (con le conseguenze che stiamo vedendo) sulla base di un’idea di economia e di progresso alquanto particolare, non siano propriamente un esempio da seguire. A volte, forse, e meglio qualche imbianchino in più.

  33. A.BIAGIOTTI

    Bisogna dire grazie agli studenti che escono dalle nostre università preparati bene, devono fare degli sforzi notevole per arrivare ai livelli di quelli europei, e il motivo sta sui pessimi professori che stanno li’ per nepotismo., poi e’ ovvio che i nostri studenti se ne vanno all’estero.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén