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QUANTI SONO I LAVORATORI SENZA TUTELE

Due milioni nello scenario peggiore, un milione e mezzo in quello più favorevole: sono questi i numeri dei lavoratori senza tutele. Gli interventi del governo hanno sì ridotto la platea dei coloro che in caso di perdita del posto resterebbero privi di qualsiasi forma di sussidio, ma sono ben lungi dall’averla annullata. Tanto più che le indennità di disoccupazione e in deroga si esauriscono in fretta, mentre la crisi occupazionale potrebbe essere lunga. Tutto il sistema è da riformare in mercato del lavoro caratterizzato da carriere sempre più frammentate.

Il governatore della Banca d’Italia nelle sue Considerazioni finali ha lanciato l’allarme: “si stima che 1,6 milioni di lavoratori dipendenti e parasubordinati non abbiano diritto ad alcun sostegno in caso di licenziamento” (p. 12). Il presidente del Consiglio Berlusconi, dal canto proprio, ha replicato dicendo che “la sua informazione sui precari non corrisponde alle cose che emergono dalla nostra conoscenza della società italiana”, e ha  sottolineato come i fondi messi a disposizione dal governo e dalle regioni per la concessione di ammortizzatori sociali in deroga e per l’erogazione di indennità di disoccupazione alle categorie di lavoratori che ne sono tradizionalmente escluse serviranno a fornire una tutela a tutti. Chi ha ragione? Abbiamo provato a dirimere la questione attraverso un approccio diverso da quello utilizzato dai ricercatori di Banca d’Italia. Il risultato è univoco: ha ragione il governatore.

QUANTI ESCLUSI?

Grazie alla ricostruzione delle storie lavorative individuali effettuata attraverso i dati di fonte amministrativa della banca dati Whip, nel nostro volume Flex-insecurity mostriamo come, in caso di perdita del posto di lavoro, i requisiti vigenti escludano dal godimento delle indennità di disoccupazione molti lavoratori, soprattutto se con storie lavorative brevi e frammentate (tabella 1, colonna 2). (1) Sono la totalità dei lavoratori parasubordinati, dal 38 al 79 per cento dei lavoratori dipendenti con contratti di durata prefissata, ma anche oltre il 10 per cento dei lavoratori a tempo indeterminato. Applicando tali percentuali di esclusione allo stock di occupati rilevato dall’Istat per il quarto trimestre del 2008 e utilizzato anche da Banca d’Italia per le proprie stime (colonna 1), calcoliamo in almeno 3,2 milioni i lavoratori esclusi dalle indennità di disoccupazione (ordinaria e a requisiti ridotti; colonna 3). (2)
Per ovviare a questa situazione il governo è intervenuto in tre direzioni: a) concedendo l’indennità di mobilità in deroga rispetto alle limitazioni settoriali e di dimensione di impresa nonché ai requisiti della forma contrattuale e dell’anzianità aziendale del lavoratore previsti dalla legge; b) erogando, per tre mesi, l’indennità di disoccupazione ordinaria agli apprendisti con almeno tre mesi di anzianità aziendale che vengono licenziati; c) introducendo un’indennità una tantum per i lavoratori a progetto (un sottoinsieme dei parasubordinati) che rispettino determinati requisiti.

Tabella 1: lavoratori senza tutela in caso di perdita del posto di lavoro (dati in migliaia)

Forma di contratto Stock di soccupati Percentuale di esclusi dalle indennità di disoccupazione Esclusi dalle indennità di disoccupazione Percentuale di esclusi nel primo scenario Esclusi nel primo scenario Percentuale di esclusi nel secondo scenario Esclusi nel secondo scenario
Tempo indeterminatoa 11.302 10,5 1.187 2,5 283 2,5 283
Tempo determinato 1.968 38,1 750 38,1 750 18,3 360
Apprendistato 260 78,9 205 10,5 27 10,5 27
CFL b 140c 50,0 70 50,0 70 5,0 7
Somministrazione 116 47,8 55 47,8 55 23,3 27
Lavoratori a progettoa 560 100,0 560 87,5 490 87,5 490
Co.co.co. b 375 100,0 375 100,0 375 100,0 375
TOTALE 14.721 3.202 2.050 1.569

 

a: solo settore privato; b: solo settore pubblico; c: il computo è stato effettuato sottraendo i 260mila apprendisti ai circa 400mila individui impiegati nel 2008 con contratti aventi finalità formativa (dati Rcfl) Fonti: per la colonna 1, tavole 9.4 e 9.5 della relazione annuale del governatore della Banca d’Italia (rilevazione Istat sulle forze di lavoro) per i lavoratori dipendenti e dati Isfol-Plus per lavoratori a progetto e collaboratori coordinati e continuativi; per le colonne 2, 4 e 6, nostre elaborazioni su dati Whip; per le colonne 3, 5 e 7 abbiamo applicato le percentuali delle colonne 2, 4 e 6 agli stock della colonna 1.

Per capire come gli interventi del governo abbiano ridotto la platea degli esclusi, occorre considerare che, in assenza di deroghe, l’indennità di mobilità è appannaggio pressoché esclusivo dei lavoratori delle grandi imprese del settore industriale che lavorano presso l’azienda beneficiaria con un contratto a tempo indeterminato da almeno dodici mesi, di cui sei di lavoro effettivamente prestato. Le deroghe riguardano generalmente il settore e la dimensione dell’impresa presso la quale il lavoratore è impiegato. Come consentito dal decreto anticrisi (3), i vari accordi tra le singole regioni e le parti sociali prevedono poi la concessione dell’indennità di mobilità in deroga anche a lavoratori impiegati con forme contrattuali diverse dal lavoro dipendente a tempo indeterminato (con differenze tra regione e regione) purché venga soddisfatto un requisito di anzianità aziendale minimo, sovente individuato in novanta giorni, come nel caso ad esempio di Piemonte, Lombardia e Veneto.
Per le nostre stime di esclusione abbiamo allora immaginato due scenari.

Nel primo (tabella 1, colonne 4 e 5), l’indennità di mobilità viene concessa a tutti i lavoratori a tempo indeterminato che soddisfano il requisito meno stringente dell’intero sistema italiano di ammortizzatori sociali, quello lavorativo richiesto per l’ottenimento dell’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti: bastano 78 giornate lavorative. (4) Anche in questo caso di estremo favore, il 2,5 per cento dei lavoratori a tempo indeterminato resterebbe privo di tutela. L’estensione in via sperimentale per il biennio 2009-10 dell’indennità di disoccupazione agli apprendisti prevista dal decreto anticrisi riguarda poi soltanto i lavoratori “licenziati”. Anche in questo caso abbiamo voluto essere conservativi nelle nostre stime, ipotizzando che l’indennità venga concessa a tutti gli apprendisti che perdono il posto di lavoro, quindi anche a quanti non ottengono la trasformazione del contratto alla scadenza, e abbiamo utilizzato il requisito delle 78 giornate lavorative. Sarebbero allora esclusi dalla tutela il 10,5 per cento degli apprendisti. In un nostro precedente intervento, infine, abbiamo mostrato come l’indennità una tantum ai lavoratori a progetto, e non ai collaboratori coordinati e continuativi del settore pubblico che ne rimangono esclusi, riguardi al massimo 70mila lavoratori. Fatte le somme, il numero di lavoratori che in caso di perdita del posto resterebbe privo di tutela ammonterebbe quindi a 2 milioni.
Nel secondo scenario (tabella 1, colonne 6 e 7) abbiamo invece immaginato che tutti gli accordi regionali prevedano la concessione dell’indennità di mobilità a tutti i lavoratori subordinati, indipendentemente dalla forma contrattuale, con l’unico requisito dei 90 giorni di anzianità aziendale, da noi anche qui ulteriormente ammorbidito in 78 giornate prestate presso qualsiasi datore di lavoro. Anche in questa seconda e più generosa prospettiva, tuttavia, si continuerebbe a superare il numero di 1 milione e 500mila lavoratori privi di qualsiasi tutela in caso di perdita del posto di lavoro.
Secondo le nostre stime, dunque, gli interventi del governo hanno sì ridotto la platea dei lavoratori che, in caso di perdita del posto, resterebbero privi di tutele, ma sono ben lungi dall’averla annullata. Queste stime sono poi da considerarsi caute, perché le deroghe alla concessione dell’indennità di mobilità potrebbero nei fatti essere molto meno generose di quanto ipotizzato. (5)

CHE FARE?

Nei romanzi gialli tre indizi fanno una prova. Ci sembra che in questo caso due siano più che sufficienti per mostrare la gravità della situazione, senza contare che nel sistema italiano le indennità di disoccupazione, così come quelle in deroga, si esauriscono in fretta, mentre la crisi occupazionale potrebbe essere lunga. Per chi riesce a ottenerla, l’indennità ordinaria dura otto mesi, mentre negli accordi quadro regionali l’indennità di mobilità in deroga è limitata a sei mesi. Anche ipotizzando uno scenario più roseo di quello degli anni Novanta, quando dopo la recessione del 1992-93 il livello occupazionale del 1992 venne nuovamente raggiunto solo nel 1999-2000 (e il calo del Pil fu allora del 2 per cento cumulato su sei trimestri, contro il 5 per cento stimato per il 2009), il rischio è che il numero dei privi di reddito diventi imponente nei prossimi mesi, quando anche i lavoratori che riescono ad accedervi esauriranno il diritto alle prestazioni.
Il governatore Draghi nelle sue Considerazioni finali sostiene che non occorre rivoluzionare il sistema attuale degli ammortizzatori sociali: “lo si può ridisegnare intorno ai due tradizionali strumenti della cassa integrazione e dell’indennità di disoccupazione ordinarie, opportunamente adeguati e calibrati” (p. 13). Le nostre stime mostrano che, pur allentandone notevolmente le maglie, l’attuale sistema risulta inadeguato a proteggere più di 1,5 milioni di lavoratori nell’ipotesi più ottimistica. Dubitiamo che un sistema soltanto assicurativo, per quanto ricalibrato, possa funzionare in un mercato del lavoro caratterizzato da carriere sempre più frammentate.

(1) Il nostro diverso approccio consiste proprio nella ricostruzione dell’accesso alle prestazioni a partire dalle effettive storie lavorative individuali dei lavoratori italiani, laddove le elaborazioni di Banca d’Italia si basano sulle informazioni relative all’esperienza e alla durata dell’occupazione corrente come desumibili dalle rilevazioni Istat sulle forze di lavoro (Rcf) e sul reddito e le condizioni di vita (Silc). Vedi Berton, Richiardi e Sacchi, Flex-insecurity. Perché in Italia la flessibilità diventa precarietà, Il Mulino.
(2) Solo per lo stock di lavoratori parasubordinati, abbiamo utilizzato i dati dell’indagine Isfol-Plus anziché quelli utilizzati dalla Banca d’Italia.
(3) Vedi decreto legge n. 185 del 2008 convertito in legge con modificazioni dalla legge n. 2 del 2009 e successivamente modificato dalla legge n. 33 del 2009.
(4) Ovviamente non applichiamo l’altro requisito previsto per la concessione dell’indennità a requisiti ridotti, quello assicurativo, che prevede che il lavoratore sia iscritto all’assicurazione contro la disoccupazione da almeno 2 anni.
(5) Un esercizio di ulteriore cautela consisterebbe nell’utilizzare, al posto dei 560mila lavoratori a progetto e dei 375mila collaboratori coordinati e continuativi rilevati nei dati Isfol-Plus, la stima di 542mila parasubordinati utilizzata dalla Banca d’Italia. In questo caso, il numero di lavoratori esclusi dalla tutela in caso di perdita del posto di lavoro sarebbe di 1.657.000 nel primo scenario e di 1.176.000 nel secondo.

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L’IMBIANCHINO DI SACCONI

  1. antonio

    Mi chiedo come può un capo di governo dire tali inesattezze e sembra che, tranne voi e pochi altri, nulla sia accaduto. Ritengo che sia un fatto gravissimo e non capisco come tanti precari che hanno comunque votato il PDL continuino a dargli tanta fiducia.

  2. lupo48

    Non so come siano stati raccolti i dati, è indispensabile fare chiarezza su un problema drammatico, poiché la tutela per mancanza di lavoro (CIG o CIGS) e per la disoccupazione variano significativamente da categoria a categoria in modo notevole. C’è poi un altro aspetto, chi non è lontano anagraficamente dalla pensione, si trova davanti al bivio: versare i costosi contributi volontari per completare la posizione pensionistica comporta la rinuncia al sussidio di disoccupazione! (parlo per esperienza personale)quanti si trovano in questa condizione con il mdl che li esclude da un rientro al lavoro dipendente…

    • La redazione

      I dati che abbiamo utilizzato provengono essenzialmente da Whip, un database di storie lavorative costruite a partire dai dati dell’Inps
      (www.laboratoriorevelli.it/whip). A questi dati abbiamo applicato quanto previsto dalla normativa, in alcuni casi faticosamente ricostruita. Tutti i dettagli sono riportati nel nostro libro "Flex-insecurity. Perchè in Italia la flessibilità diventa precarietà", in uscita in questi giorni per il Mulino.

  3. Nicola

    E’ davvero curioso constatare come, a dispetto dei dati che dimostrano la gravità della situazione, non sembra cambiare nulla (apparentemente) nelle abitudini di vita delle persone.La gente continua ad andare in vacanza, a fare shopping, tutto sembra immutato. Mi riferisco alla realtà settentrionale dove lavoro. Leggo di licenziamenti, cassa integrazione, settore produttivo in crisi: eppure la gente sembra non subire la crisi economica. Più acquisisco informazioni e maggiore risulta la mia incertezza su cosa fare e sugli scenari possibili nel breve termine. Lo stato di sospensione in cui viviamo è frutto di un disperato tentativo delle istituzioni nazionali ed internazionali di salvare il sistema oppure siamo di fronte allìapparente miglioramento del quadro clinico del moribondo qualche ora prima del sopraggiungere della morte?

  4. Daniele

    Sono d’accordo con gli autori quando concludono che la soluzione non può arrivare da una semplice ridefinizione dei parametri delineati all’interno dei due strumenti storici di tutela dei lavoratori. Un mercato del lavoro altamente frammentato come quello del nostro paese, non può ricevere tutele adeguate da strumenti disegnati in un periodo in cui la platea dei lavoratori era tutt’altra cosa. Il sistema cui ci troviamo oggi d’innanzi è quello in cui si crede ciecamente nella flessibilità. Il punto più dolente stà nel fatto che ciò che si nasconde, qui e ora, sotto la flessibilità è la precarietà del lavoratore che, travandosi solo con il suo contratto atipico, non ha interesse e appoggi nel combattere la sua battaglia. Esistono solo mille battaglie per mille lavoratori.

  5. raffa

    In un momento di crisi bisognerebbe portare a 36 ore il lavoro in moda da lavorare tutti e pagare le tasse. Fare delle assicurazioni per chi perde il posto di lavoro così si da dignita alle persone.

  6. day n night

    E’ uno scenario che ha dell’incredibile questo evidenzia quanto è urgente una riforma organica degli ammortizzatori sociali. L’unica cosa che non mi è chiara è se alla voce "indennità di disoccupazione" è inclusa la cassa integrazione

  7. rebecca

    Nell’infelice caso in cui si arriva a una controversia di lavoro, fine alla chiusura della procedura legale, che puo durare per anni, il lavoratore non ha diritto ad un sussidio di dissocupazione, ne’ ad altri ammortizzatori sociali! Nel caso in cui non trova un altro lavoro (che poi è molto probabile con la congiuntura attuale del mercato del lavoro), vi chiedo a voi, come puo andare avanti?! C’è bisogno pure in Italia di un sussidio, per quelli che cercano lavoro (job seekers’ allowance) magari per un periodo di tempo, in modo che la persona che veramente vuole lavorare, ma non riesce a trovare lavoro, puo magari sostenersi da solo, senza andare a chiedere aiuto alle varie org. In altri termini, secondo me, si deve arrivare al reditto minimo garantito, per dare la possibilità pure alle persone meno fortunate (quelli che magari non sono racommandate da nessuno per ottenere un lavoro) di avere una vita dignitosa!

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