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COME CAMBIERANNO LE REGOLE DELLA FINANZA

Il rapporto De Larosière è ormai il punto di riferimento per la riforma degli istituti di supervisione finanziaria nell’Unione Europea. Propone un organismo che guardi alla stabilità del sistema nel suo complesso. Ma finché le istituzioni europee non avranno più potere e più responsabilità, è forse meglio concentrarsi su una regolamentazione che superi vecchi steccati, quali quelli della sussidiarietà o della regolamentazione minima. Lasciare la supervisione a livello nazionale con una buona regolamentazione comunitaria non sarebbe una sciagura.

Il rapporto De Larosière, commissionato lo scorso ottobre dal presidente della Commissione Europea, è diventato la roadmap di riforma degli organismi di supervisione finanziaria nell’Unione. Dopo l’attuale fase di consultazione, che terminerà a fine maggio con una comunicazione della Commissione, l’iniziativa legislativa dovrebbe partire in autunno, quando il nuovo Parlamento europeo e la nuova Commissione si saranno insediati.

COSA C’È NEL RAPPORTO

Il rapporto fornisce oltre trenta raccomandazioni che toccano molti temi quali la cooperazione internazionale, la risoluzione delle crisi finanziarie, il ruolo degli organismi internazionali e soprattutto la regolamentazione finanziaria: da Basilea II e le agenzie di rating ai derivati e il cosiddetto sistema bancario parallelo, hedge fund e fondi di private equity, senza dimenticare la remunerazione dei manager, i principi contabili e così via. Tuttavia, forse perché su molte di queste raccomandazioni esiste oramai un largo consenso e alcune sono già in fase avanzata di attuazione, l’attenzione dei commentatori e dei politici si è concentrata sull’assetto di supervisione nell’Unione.
Il rapporto innanzitutto sottolinea l’importanza di avere accanto ai tradizionali organi di vigilanza micro prudenziale, che verificano la stabilità dei singoli intermediari finanziari, un organismo che sovrintenda alla supervisione macro prudenziale. In altre parole, che guardi alla stabilità del sistema nel suo complesso, analizzando le interrelazioni che esistono fra tutti gli intermediari finanziari, emani raccomandazioni in materia e sia in grado di anticipare, per quanto possibile, le crisi. A questo proposito De Larosière propone la creazione, presso la Banca centrale europea, di un cosiddetto European Systematic Risk Council (Esrc), diretto dal presidente della Bce stessa e composto dai membri del Consiglio generale del sistema europeo delle banche centrali (che, oltre al presidente e vicepresidente della Bce, comprende i 27 governatori delle banche centrali dell’Unione), un rappresentante della Commissione Europea e i presidenti dei tre comitati creati con la riforma Lamfalussy: European Banking Committee (Ebc), European Insurance Committee (Eic) e European Security Committee (Esc). Peraltro, queste tre commissioni verrebbero rafforzate e trasformate in autorità indipendenti; assieme alle rispettive autorità di vigilanza nazionale formerebbero il cosiddetto European System of Financial Supervision (Esfs) che dovrebbe occuparsi della vigilanza micro prudenziale. L’Esfs è quindi pensato come un network di strutture decentralizzate ma integrate. In esso i compiti di supervisione quotidiani verranno ancora demandati agli organismi nazionali, che sono più vicini agli intermediari, mentre le nuove autorità svolgeranno un ruolo di coordinamento sia degli standard prudenziali che della loro puntuale applicazione (vedi grafico 1). Naturalmente fra Esrc e Esfs dovrà venir assicurato un flusso continuo di informazioni più o meno riservate.  

I PUNTI CRITICI

Ovviamente, la struttura proposta dal rapporto Larosière è un compromesso fra 1) paesi, quali la Gran Bretagna, che non vogliono rinunciare a esercitare un controllo sui propri organismi di supervisione e paesi che vorrebbe una struttura più accentrata; 2) Trattati dell’Unione, che si sono dimostrati estremamente difficili da emendare; 3) sistemi di vigilanza nei paesi europei che negli ultimi anni sono diventati ancora più eterogenei. (1)
Nonostante queste attenuanti, è innegabile che le soluzioni proposte presentino almeno due importanti inconvenienti. In primo luogo, la struttura proposta appare estremamente complessa con un grande numero di organi coinvolti (oltre 70), senza un vero ente di coordinamento. L’esperienza statunitense in materia dovrebbe insegnarci a diffidare di strutture troppo complicate, dove le responsabilità delle diverse autorità non sono chiare. In secondo luogo, non è evidente se sia corretto e necessario distinguere fra vigilanza macro e micro prudenziale. Le forti interrelazioni fra i due momenti difficilmente potranno essere colmate da uno scambio di informazioni per quanto estensivo e cooperativo. A questo proposito l’esperienza inglese dove, di fatto, alla Bank of England è stata affidata la vigilanza macro prudenziale e al Financial Services Authority (Fsa) la vigilanza micro prudenziale, non appare certo incoraggiante.
La crisi finanziaria ha d’altra parte mostrato come nessun sistema di vigilanza in nessun paese è stato in grado di preservare il proprio sistema bancario e finanziario; che il ruolo delle banche centrali è stato molto importante, almeno in una prima fase quando si è trattato di fornire liquidità al sistema; che gli stati nazionali sono risultati determinati per preservare la stabilità se non l’esistenza degli intermediari.
Fintanto che il “governo” europeo non avrà i mezzi per affrontare le crisi finanziarie e non vorrà assegnare alla Bce un ruolo di maggiore responsabilità (perché il ruolo di vigilanza micro prudenziale urterebbe con quello di responsabile della politica monetaria; perché sarebbe più soggetta a pressioni politiche, perché è un obiettivo troppo complesso che necessita di competenze di cui non dispone; perché i trattati non lo prevedono) è forse più giusto concentrare le proprie energie per plasmare una miglioreregolamentazione che superi vecchi steccati quali quelli della sussidiarietà o della regolamentazione minima. (2)
In fondo lasciare la supervisione a livello nazionale avendo una buona regolamentazione comunitaria non sarebbe un disastro, tenuto conto che né da un punto di vista teorico né da un punto di vista empirico alcun modello sembra presentare una decisa “superiorità”, e soprattutto in molti altri settori quali quelli dell’ordine pubblico l’enforcement è affidato alle singole magistrature e polizie nazionali.                

(1) Masciandaro e Quintyn in “Reforming Financial Supervision and the Role of Central Banks: a Review of the Global Trends Causes and Effects (1998-2008)” Cepr Policy Insight n. 30, mostrano come negli ultimi dieci anni oltre l’80 per cento dei paesi europei abbiano riformato la struttura del proprio sistema di vigilanza finanziaria. Questo processo di riforma tuttavia ha comportato una progressiva divergenza dei sistemi in questione. Da un lato, infatti, numerosi paesi dell’Unione hanno consolidato le proprie strutture fino a creare un’unica autorità; in altri il modello di specializzazione per settore (banche, assicurazione e titoli) ha continuato a sopravvivere. In generale poi i paesi che hanno consolidato i propri organismi di vigilanza hanno creato strutture indipendenti dalla banca centrale (10 su 14), mentre nella maggioranza dei paesi con più organismi di vigilanza, la banca centrale continua a giocare un ruolo determinate (10 su 13). Vedi tavola 1.
(2) Tesi simili sono argomentate seppure in maniera diversa da Dani Rodrik in The Economist March 14th 2009.

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MARCHIONNE E LE AUTO BLU

  1. Franco Benoffi Gambarova

    Mi pare che si stiano moltiplicando gli interventi da parte di varie istituzioni, quasi a giustificare la loro esistenza. Io credo che si debba fare tesoro del lavoro svolto tempestivamente dal Financial Stability Board e che sia giunta l’ora per i politici di tutto il mondo (male endemico ma inevitabile dato che la tecnocrazia è un sogno) di procedere alla fase attuativa, cosa che deve essere decisa in una delle loro dispendiose riunioni a 8 o a 20. Basta con le parole ed i comunicati interlocutori! E mi auguro che le decisioni non siano "allegre ma non troppo" (dopo anni di regolamentazioni carente o assente). Altrimenti andranno ad ingrossare le fila di quelli che costituiscono l’oggetto della seconda parte del libro di Carlo Maria Cipolla il cui titolo ho appena citato. Forse la mia mentalità aziendalistica, alla quale io non sono venuto meno a differenza di imprenditori passati alla politica, mi condiziona. Forse la mia imperfezione manageriale mi impedisce la ricerca della perfezione, quella che i politici dicono di voler perseguire.

  2. Michele Giardino

    Scetticismo più che fondato sulle reali possibilità di enforcement di qualunque provvedimento o norma di fonte sovranazinale, anche se sarebbe bene rappresentare (rispettosamente e riservatamente) ai britannici che già da tempo "rule the waves" non è più affar loro e che i loro modelli preferiti sono dimostratamente pericolosi. Il terreno resta dunque la (libera?) circolazione dell’informazione, che però serve solo se ammette effetti concreti: sapere e non agire é assai peggio che non sapere! Ma qui rispunta l’enforcement. Ipotesi: riferimenti tecnici su una banca "english speaking" di livello intercontinentale vengono letti benevolmente "a casa" e negativamente in Francia, Germania, Italia ecc. Manca l’enforcement sovranazionale e non si può agire. Chi risponde (e come) in caso si successivo dissesto?

  3. Luca

    La crisi è il risultato del geocombinato disposto di diversi fattori. In primis, il fattore economico sociale che deriva dall’alterazione dell’equilibrio distributivo che ha caratterizzato l’ultimo quarto di secolo: la sperequazione e la cattiva distribuzione del reddito hanno portato fasce crescenti della popolazioni a indebitarsi per poter sopravvivere, per acquistare la casa; se non ci fossero state aree crescenti di povertà anche nei paesi avanzati non ci sarebbe stata la necessità di una crescita del debito, che andando di pari passo con la presenza di redditi altissimi concentrati nelle mani di pochi, ha fatto esplodere in maniera esponenziale la leva finanziaria. Su questo indebitamento obbligato, che è la conseguenza della sperequazione distributiva, si è innestata la finanza tossica. Un circuito perverso insomma che induce a ripensare organicamente a una proposta alternativa di economia, di finanza e di società. In occasione di Terra Futura a Firenze è stato presentato un documento di riforma dei mercati finanziari che sarà consegnato al prossimo G8; chi fosse interessato può consultare il manifesto al sito http://www.riformiamolafinanza.it/manifesto.htm

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