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LA GIUSTIZIA RAPIDA E’ ANCHE DI QUALITÀ

Il Senato ha approvato una serie di norme di modifica del codice di procedura civile per ridurre la durata dei processi. Ma risultati più incisivi sul piano della efficienza possono venire solo da interventi sull’ordinamento giudiziario e sulla organizzazione del sistema in grado di rendere maggiormente responsabili i singoli operatori, compresa la magistratura. Lo mostra il divario nei risultati registrati nei diversi tribunali del paese, governati tutti da uguali norme. E una maggiore rapidità non sembra andare a scapito della qualità delle decisioni.

Nelle scorse settimane sono state approvate in via non definitiva al Senato una serie di norme di modifica del codice di procedura civile con l’intento di ridurre la durata dei processi. (1)
Al di là di quelli che concretamente saranno gli effetti delle nuove regole processuali, è facile prevedere che non potranno, da sole, raggiungere lo scopo di una giustizia davvero più rapida. Risultati più incisivi sul piano della efficienza non possono infatti che venire da interventi sull’ordinamento giudiziario e sulla organizzazione del sistema in grado di rendere maggiormente responsabili i singoli operatori, compresa la magistratura, verso il funzionamento del servizio giustizia. Lo mostrano chiaramente il divario nei risultati che si osserva nei diversi tribunali del paese, governati, tutti, da uguali norme giuridiche, e la presenza di casi di best practice quali quello del tribunale di Torino. Un divario che neppure appare la immediata conseguenza di una diseguale distribuzione delle risorse .

IL TASSO DI RIFORMA

In questo articolo, proviamo a considerare un indicatore di tipo qualitativo, che è possibile ricavare dai dati sugli esiti dei processi nelle Corti d’appello e dei ricorsi in Cassazione: le percentuali dei giudizi di appello e di legittimità che riformano le sentenze di grado inferiore provenienti, rispettivamente, dai tribunali e dalle Corti d’appello (tassi di riforma o reversal rates).
In altre parole, ci chiediamo se la maggiore efficienza di un tribunale vada a scapito della qualità del suo lavoro, in primo o in secondo grado. Ossia, se i tribunali che decidono più velocemente producono sentenze più facilmente “attaccabili” e dunque più frequentemente riformate in Corte d’appello o in Cassazione. Provare a dare una risposta a queste domande ci permette di capire se esistono margini per ridurre la durata dei processi senza abbassare la qualità delle decisioni, pur con tutti i limiti evidenti di un indice semplice come il tasso di riforma in appello e in Cassazione.
La tabella riportata di seguito mostra, per i 29 distretti di Corte d’appello, la durata media in giorni dei procedimenti civili nei tribunali e nelle Corti d’appello; il tasso di riforma delle sentenze civili in Corte d’appello e in Cassazione; il numero di giudici (togati e onorari, esclusi i giudici di pace) che si stima siano stati assegnati alla giustizia civile nei Tribunali e nelle Corti d’appello; i tassi di scopertura nella magistratura giudicante (civile e penale) nei Tribunali e nelle Corti d’appello. (2) L’anno a cui si fa riferimento è il 2006.
I tassi di riforma sono stati ottenuti considerando, in Corte d’appello i processi civili conclusi con una sentenza che ha riformato o confermato la decisione appellata; in Cassazione quelli definiti con una sentenza che ha accolto o rigettato il ricorso: nel caso di accoglimento la sentenza impugnata viene “cassata” ossia annullata, con o senza rinvio ad altro giudice di appello; in caso di rigetto la sentenza passa in giudicato. (3)
Per valutare la qualità delle sentenze di primo grado utilizziamo il tasso di riforma in appello; per valutare la qualità delle sentenze in appello utilizziamo il tasso di riforma in Cassazione. Un primo sguardo alla tabella suggerisce come non sembra esservi una relazione chiara tra la durata dei procedimenti civili in primo grado (colonna 2) e il tasso di riforma delle sentenze civili in appello (colonna 4) e tra la durata in Corte d’appello (colonna 3) e il tasso di riforma in Cassazione (colonna 5). Tale impressione viene confermata dalla stima della correlazione tra la durata dei procedimenti civili di primo grado e il tasso di riforma delle sentenze civili in appello nel 2006 che non riporta alcuna relazione significativa. Lo stesso risultato si ottiene per la correlazione tra la durata dei processi in appello e il tasso di riforma delle decisioni in Cassazione.(4)
Poiché i giudizi in Corte d’appello e in Cassazione si concludono alcuni anni più tardi rispetto al momento del deposito della sentenza impugnata (in media, due anni e mezzo dopo, in appello, e tre anni dopo, in Cassazione), abbiamo anche considerato la correlazione tra la durata dei procedimenti civili in tribunale negli anni 2003 e 2004 e le percentuali di riforma in appello nel 2006, e la durata in appello nel 2003 e il tasso di riforma in Cassazione nel 2006: non risulta esservi alcuna relazione significativa.
La relazione tra durata media del processo e qualità delle sentenze a livello di Tribunale di primo grado e a livello di Corte d’appello rimane non significativa anche se analizzata a parità di numero di giudici civili e di “tassi di scopertura” nella magistratura giudicante, nei Tribunali e nelle Corti d’appello (colonne 8 e 9), diversamente da quanto ci si sarebbe potuti attendere, in particolare per il fatto che tassi di scopertura elevati dovrebbero segnalare situazioni dove vi sono forti carenze di organico e conseguenti maggiori difficoltà a mantenere determinati livelli di durata e di qualità dei processi (la regressione dà coefficiente -3.68, T statistico -0.60).
Infine abbiamo analizzato se una qualche relazione tra durata dei processi e qualità delle sentenze potesse essere stabilita in termini di tassi di crescita, ovvero se nei tribunali dove la durata è scesa maggiormente nel tempo (Corrado-Leonardi), il miglioramento dell’efficienza sia andato a discapito della qualità del lavoro. Per verificarlo abbiamo calcolato la correlazione tra la variazione dell’efficienza dei tribunali e la variazione della qualità delle decisioni (tra il 2002 e il 2006). Ancora niente: né la correlazione tra la variazione della durata e la variazione dei tassi di riforma in primo grado né la stessa relazione per quanto riguarda le sentenze portate innanzi alla Corte suprema risultano significative.
Pur con le dovute cautele, sulla base delle analisi brevemente descritte, sembra potersi concludere che miglioramenti in termini di durata dei processi civili, che si potrebbero ottenere anche a parità di numero di giudici, non vadano necessariamente a scapito della qualità delle decisioni.

(1)La riforma approvata ammette la prova testimoniale scritta o addirittura consente di optare in alternativa al rito ordinario per un procedimento sommario destinato a concludersi con una ordinanza che, se non appellata in tempi brevi, acquista forza di sentenza. Alle parti viene anche richiesta la contestazione puntuale e tempestiva dei fatti, la riduzione dei termini per la riassunzione delle cause interrotte e di quelli per l’impugnazione. Spetterà poi al giudice sanzionare con maggiore decisione non solo le cosiddette liti temerarie ma anche le eventuali condotte dilatorie. Per ridurre, infine, il carico di lavoro della Corte di cassazione viene introdotto una sorta di filtro di ammissibilità dei ricorsi sulla base di criteri quali la novità della questione, la sua fondatezza, il contrasto giurisprudenziale.
(2) La durata è calcolata con la formula della giacenza media utilizzata dall’Istat e dal ministero della Giustizia. Il numero di giudici civili è stimato sulla base delle proposte tabellari per gli anni 2006/2008, inviate dagli uffici giudiziari al Consiglio superiore della magistratura. Tutti i dati sono stati forniti dal ministero della Giustizia, dalla Corte di cassazione, dal Consiglio superiore della magistratura.
(3)Tasso di riforma in Corte d’appello = [(100 * totale sentenze di riforma)/(totale sentenze di riforma + totale sentenze di conferma)]; tasso di riforma in Cassazione = [(100 * totale cassazioni)/(totale cassazioni + totale rigetti)].
(4)La regressione bivariata tra durata in primo grado e riforma in appello dà coefficiente -4.91 e T statistico -1.48 mentre la regressione della durata in appello sul tasso di riforma in cassazione dà coefficiente -4.9 e T statistico 0.76. Ci si può ancora chiedere se i tribunali più grandi non debbano contare di più nello stabilire una correlazione tra durata e qualità delle sentenze. A questo scopo abbiamo utilizzato l’informazione sul numero di giudici civili nei Tribunali e nelle Corti d’appello (colonne 6 e 7) per “pesare” tale relazione e abbiamo ottenuto che pesi maggiori a tribunali più grandi non fanno alcuna differenza.

Elaborazione dati del ministero della Giustizia, del Consiglio superiore della magistratura, della Corte di cassazione.

Anno di riferimento: 2006.

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  1. GIANCARLO FICHERA

    Per fare una vera riforma del processo civile non c’è bisogno di inventare strane formule: basterebbe copiare le norme che alcune camere di commercio (v. Torino) hanno avviato da qualche anno per gli arbitrati. un giudice arbitro che ha 60 giorni di tempo per definire la controversia. Basterebbe trasportate questa regola nel processo civile: il giudice civile deve risolvere in 60 giorni la controversia, altrimenti vieene sanzionato. Naturalmente si dovrebbero prevedere delle deroghe a questo principio in caso di necessità di perizie (altri 60 giorni), ecc. E poi che cosa si aspetta a creare il portale della giustizia: chi vuole fare causa a qualcuno apre il portale sceglie il tribunale di competenza, indica i propri dati e quelli della controparte, allega un documento che contiene la citazione o il ricorso in formato doc o pdf, lo invia elettronicamente in cancelleria che gli risponde via e-mail atttestandone la ricezione. Quando la causa viene assegnata al giudice la cancelleria lo comunica alle parti, sempre elettronicamente. Che cosa si aspetta a fare queste cose? I fascicoli cartacei non esisterebbe ro più, solo fascicolo sotto forma di file che non andrebbero mai persi, ecc.

  2. maurizio

    La lentezza della giustizia conviene a chi ne è l’autore cioè gli avvocati, che anziche sfavorire le azioni giudiziarie, spesso inutili, le incentivano, per potere grattare agevolmente qualche spicciolo ai propri clienti andate a vedere quanti avvocati ci sono in italia, e fate un moltiplicazione per l’importo medio di una parcella. Capirete subito che tale risultato è al di fuori della realtà del nostro pil, e quindil’autore del misfatto è l’ignoranza degli italiani e la furbizia degli avvocati.

  3. Simone

    Per vedere cosa è possibile fare per l’innovazione della giustizia basta andare a vedere al tribunale di Milano (ma non solo) dove la cooperazione applicativa dei sistemi informativi di avvocati-cancellieri-giudici ha accelerato i tempi di evasione di alcune procedure. Con un minimo di investimento il Processo Civile Telematico in ottica di interoperabilità e semplificazione operativa può essere realtà ovunque, senza vanificare la strada fatta sinora e senza complicare le attività amministrative.

  4. Giorgio Zanutta

    Fin chè c’è la possibilità che impiantando un processo si possa dare meno di quanto si deve, ci saranno processi e saranno tirati a lungo. E’ evidente che se uno impiantando un processo ha la possibilità di pagare meno, il più tardi possibile ed alle migliori condizioni possibili, avrà sommo interesse ad aderire ad un processo piuttosto che far fronte ai suoi impegni. Se presentandoti davanti ad un magistrato questi sentenzierà un pagamento o indennizzo inferiore al dovuto per la dimostrazione di buona volontà pacificatrice, si avrànno sempre le furbate per cui chi attende giustizia avrà sì giustizia, ma zoppa, incompleta, amara, propio perchè avrà dovuto sacrificare parte del spettante nella disponibilità a trovare una pacificazione e questo non è ne corretto ne’ giusto. L’ingrato, l’ingiusto ne esce sconfitto, ma vincente ed il leso ne esce vincente, ma sconfitto; ha sacrificato parte del suo spettante! Si può dire che sia stata fatta giustizia? No! Si è avuta una sentenza cha ha l’unico scopo di incentivare i ricorsi alla magistratura per non pagare il dovuto, discorso diverso sarebbe se il magistrato stabilisse abitudinariamente oneri maggiori o almeno uguali per il ledente.

  5. GIANCARLO FICHERA

    Volevo osservare che, sulla base di quello che ho capito del sopracitato sistema (ma potrei sbagliare), il processo civile telematico, pur apprezzabile, non è la soluzione ottimale perchè non è inserita in un portale nazionale da cui tutti coloro che vogliono fare una causa su Milano possono accedere. Milano ha creato un proprio sistema chiuso al quale accedono solo gli avvocati milanesi. Se un avvocato di Palermo vuole fare una causa su Milano non può accedere al sistema stando a Palermo, deve trovarsi un domiciliatario su Milano che gli iscrive la causa sul sistema milanese. Questa modalità di usare l’informatica è superata e obsoleta oltre che inefficiente. Possibile che non si riesca mai a ragionare in termini di sistemi globali aperti?

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