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PERCHÉ ALL’ORDINE NON PIACE LA CONCORRENZA

A più di due anni dal decreto Bersani, i servizi professionali appaiono ancora assai poco concorrenziali. La riforma è stata sostanzialmente annullata dall’azione degli ordini, che hanno utilizzato i codici deontologici per ridurre al minimo i cambiamenti, soprattutto sulla disciplina delle tariffe e la pubblicità. Ma mettere all’indice i minimi tariffari ha un valore più simbolico che di sostanza. In ambito legale, la regola da smantellare è quella che determina l’onorario degli avvocati secondo il numero degli atti svolti. Per passare alla parcella a forfait.

L’indagine conoscitiva dell’Autorità per la concorrenza sulla liberalizzazione degli ordini professionali ripropone la questione della mancanza di concorrenza nel mercato dei servizi professionali. E in modo particolare in quello dei servizi legali.

LA SCAPPATOIA DEL CODICE DEONTOLOGICO

L’indagine conoscitiva analizza i codici deontologici adottati dai principali ordini professionali: la maggioranza contiene disposizioni in materia di compensi, di attività pubblicitaria e di organizzazione societaria dell’attività professionale che risultano ingiustificatamente restrittive della concorrenza. Il risultato generale è che a due anni e mezzo dal decreto Bersani, il settore appare ancora assai poco concorrenziale e gli effetti della riforma sono stati sostanzialmente annullati dall’azione degli ordini, che soprattutto attraverso i codici deontologici, hanno ampiamente utilizzato gli spazi concessi dalla legge per ridurre all’indispensabile i cambiamenti, specialmente riguardo la disciplina delle tariffe minime e fisse e la pubblicità.
Fra tutte le politiche attuate dai diversi ordini in conseguenza del decreto Bersani, l’Autorità ritiene che richiedano maggiore attenzione quelle intraprese dal Consiglio nazionale forense, sia per la decisa resistenza al cambiamento, sia “in quanto proveniente da professionisti del settore legale e quindi idonea a rappresentare una guida per gli appartenenti alle altre categorie professionali”.
In particolare, i punti principali su cui l’Autorità propone di intervenire sono l’eliminazione delle tariffe minime e l’apertura alla pubblicità.
Come prevedeva il decreto Bersani nella formula originaria, prima degli ammorbidimenti introdotti in sede di conversione in legge, nuove modifiche normative dovrebbero rendere automatica l’abrogazione di qualsiasi disposizione legislativa e regolamentare che stabilisca tariffe minime o fisse e non solo di quelle che tali tariffe rendano obbligatorie. L’idea sottostante è che se tali tariffe restano anche solo a scopo orientativo, lo sviluppo di una reale concorrenza sui prezzi non può svilupparsi: l’esistenza di una griglia di tariffe di riferimento fa da regola sia nella definizione degli onorari in sede di computo delle spese in sede giudiziaria, sia nelle decisioni relative alla concessione del parere di congruità della parcella, che gli ordini sono chiamati a emettere quando sorgano questioni, anche tra cliente e professionista, sull’ammontare del compenso da liquidare. Di conseguenza, indirettamente tutto il mercato finisce per rimanere ancorato a tali prezzi di riferimento.
Si dovrebbero sottrarre agli ordini i poteri di controllo, ossia di verifica della trasparenza e veridicità, sull’attività di pubblicità svolta dai professionisti, previsti dal decreto Bersani. Dall’indagine svolta dall’Autorità sui diversi codici deontologici emerge infatti che, per via di tale potere, sono state imposte serie limitazioni all’attività della pubblicità.

MEGLIO IL FORFAIT

L’obiettivo comune di tali proposte è di promuovere una concorrenza virtuosa che di fatto renda i prezzi segnali di qualità anche in questo settore, eliminando rendite e opacità.
In realtà, mettere all’indice i minimi tariffari ha un valore più simbolico che di sostanza. Certamente, i minimi tariffari sono inutilmente coercitivi, e sono assolutamente inidonei a svolgere un ruolo di difesa dell’interesse del cliente da inettitudini professionali: fornire questa garanzia dovrebbe invece essere compito e ruolo degli ordini.
I minimi sono però tutto sommato innocui rispetto alle distorsioni del mercato dei servizi legali. Se l’obiettivoè rendere i prezzi dei servizi professionali segnali di qualità, la regola da smantellare è piuttosto quella che governa la formula di determinazione dell’onorario degli avvocati e di alcune aree di attività di altre professioni, ossia le tariffe a prestazione. Una sorta di compenso a cottimo che fa corrispondere un prezzo a ogni atto del professionista: tanto più è elevato il numero di attività svolte, tanto più alta è la parcella. Le tariffe riguardano infatti solo i singoli atti e prestazioni che l’avvocato svolge, ma il loro numero può, per uno stesso caso, variare molto a seconda della strategia processuale scelta dal legale. Si può arrivare al paradosso per cui la parcella presentata dall’avvocato che pratica prezzi inferiori ai minimi sia più alta di quella di un altro che invece non fa sconti, ma sceglie una strategia processuale più snella e magari anche più efficace. In altri termini, a che servono pubblicità e assenza di limiti al ribasso delle tariffe se poi non si può sapere in anticipo il costo complessivo del servizio, e perciò non si è in grado di confrontare le offerte di due diversi professionisti né farsi un’idea del rapporto qualità prezzo?
Anche se si consentisse al singolo avvocato di praticare prezzi inferiori agli attuali minimi, che peraltro oggi non sono alti, e se pure contemporaneamente gli si consentisse di pubblicizzare questa sua scelta, il potenziale cliente non sarebbe comunque messo in grado di scegliere se conviene rivolgersi a questo piuttosto che a un altro professionista. Non sarebbe nemmeno messo in condizione di capire se entrare in causa gli conviene oppure no: se la parcella dipende da quanto si complicherà la contesa, un preventivo di spesa non è possibile. Il risultato in termini di concorrenza sarebbe deludente.
Inoltre, per il cliente, il fatto che un avvocato abbia svolto la causa con un gran numero di attività non è affatto garanzia di un servizio migliore, poiché questa formula incentiva comportamenti distorti: tanto più l’avvocato è abile e riesce a ridurre al minimo la contesa, tanto meno viene pagato, l’incentivo di comportamento è quello di complicare la dinamica delle contese. O quanto meno non è quello di semplificarle. In Italia, in proporzione, costa meno affrontare una causa di grande valore che una di valore modesto: da dati della Commissione Ue emerge che una causa civile quattro volte più piccola comporta costi di difesa, in proporzione al valore della causa, quattro volte maggiori. In Germania, dove gli onorari sono determinati a forfait, questa sproporzione si riduce della metà. Ciò significa che in Italia una causa civile di modesta importanza si svolge con un grado di complicazione, di lavoro professionale e impiego di risorse pubbliche vicino a quello di una causa in cui sono in gioco somme rilevanti.
E questa è la conseguenza di una formula economicamente irrazionale di determinazione delle parcelle che, oltre a dare luogo a opacità, concorre non poco alla congestione della giustizia. Se gli onorari sono a forfait, i preventivi di spesa sono possibili, così come i confronti tra le offerte di vari professionisti. In questo modo, i prezzi diventano segnali di qualità. E l’avvocato non ha incentivo ad assecondare tattiche dilatorie, né tanto meno a rendere il fascicolo più carico dello stretto necessario, perché comunque sia il compenso resta inalterato. Imporre parcelle di importo anche non completamente libero, ma forfettario, risolverebbe i problemi di concorrenza nel mercato dei servizi legali. E alleggerirebbe non poco anche la congestione della giustizia civile. Sarebbe una riforma a costo zero con vantaggi economici notevoli.

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28 commenti

  1. Antonio Aghilar

    Ben, detto: per ciò che attiene alle tariffe…Poi non parliamo del tirocinio, che per l’accesso ad alcuni albi può divenire un vero e proprio ostacolo insormontabile. TRE anni (3) di tirocino (cioè di lavoro non retribuito) per fare l’Esame di Stato all’albo dei commercialisti. Domanda: ma non sarà "un pò" esagerato? E’ difesa dei "requisiti di professionalità" questa o è difesa dei professionisti in quanto "corpus sociale" con interessi (ovviamente) "confiliggenti" con il resto della società, specie per ciò che attiene al discorso concorrenza e tariffe? E delle farmacie poi, ne vogliamo parlare? In Italia sembrano delle Chiese…quando ci entro dentro a forza placo l’istinto di farmi il segno delle croce… Domanda: ma quale sarebbe l’utilità sociale del numero chiuso delle licenze? Non si sa…L’unica cosa che si sa (con certezza) è che in Italia tra taxi, tirocini, albi e "paletti" di varia natura, i servizi professionali costano molto di più che altrove (statistiche OCSE alla mano). Sarà che all’estero i consumatori si accontentano di standard minori? Oppure è che semplicemente l’Italia, stretta com’è nella morsa di Ordini (o Corporazioni?), è un Paese altamente illiberale.

  2. lucibelli anna

    Bersani ha avuto poco coraggio, gli ordini andavano aboliti, tanto non servono a niente se non ha creare baracconi costosi e inutili o radicalmente modofiocati abolendo i consigli nazionali. Dove i consiglieri,in genere 11, si dividono 5 o 6 milioni du euro sostituendoli con associazioni snelle a livello di sede di tribunali.

  3. Giuliano Delfiol

    Non conosco le tariffe degli avvocati, conosco bene quelle della mia professione, che è l’ingegnere. Credo che quando si affronta il tema dei minimi versus concorrenza si parta da un presupposto del tutto errato: che cioè i minimi celino ampi spazi di utile, sui quali potrebbe svilupparsi la competizione. Non è così. Le tariffe del mio mestiere risalgono ad una legge del 1949, e si riferiscono ad una pratica professionale infinitamente meno complessa e costosa di quella attuale. Non solo per l’evoluzione tecnica, ma soprattutto per la crescita esponenziale del corpus normativo, con conseguenti percorsi di guerra burocratici. Produrre oggi un progetto ingegneristico di qualità costa molto ma molto di più di un tempo. Occorre, oltre ai saperi, una organizzazione materiale, computer, plotter, software quasi sempre molto costosi e da aggiornare a suon di migliaia di euro in base all’evoluzione scientifica e normativa, collaboratori qualificati e formati. Illudersi che i servizi di ingegneria si possano acquistare a buon prezzo, sottotariffa, è irrealistico e pericoloso: la concorrenza effettiva non sarà sul prezzo, ma sulla minor qualità dei progetti.

  4. paolo

    C’è una particolare attenzione verso gli avvocati ma non verso i Notai che, quanto ad assenza di concorrenza, non hanno eguali. Ci si dimentica, infatti, troppo spesso del fatto che non esiste, per gli avvocati, il numero chiuso e ciò di per sè la concorrenza. Chiunque viva nel mondo reale ben sa che il numero dei legali è talmente alto che le pratiche di cui si parla nell’articolo (tariffe a forfait, deroghe ai minimi) sono già da anni largamente diffuse. Non è poi ragionevole valutare l’importanza di una controversia (ovvero l’impegno professionale che richiede) dal suo valore economico perchè ciò che rileva sono le questioni giuridiche trattate che prescindono dal valore. Quanto alla "indeterminatezza", evidenzio che le tariffe degli avvocati sono liberamente consultabili su internet ed è facile per un cliente che voglia farsi un’idea verificare un costo medio. Non così può dirsi per altri professionisti (medici, notai in particolare). Probabilmente, l’aspetto su cui maggiormente dovrebbe puntarsi è il ruolo del Giudice nella regolamentazione delle spese. Censurando la prassi di compensare con eccessiva facilità le spese di lite o di tagliare senza motivo le parcelle.

  5. Alessandro Pillitu

    La concorrenza nel settore forense non si fa sui prezzi, ma sulla specializzazione. Il decreto Bersani, per quanto condivisibile nell’ottica di fondo della tutela del cittadino consumatore, ha "preso il toro per il corno sbagliato". La qualità del servizio legale reso non è, infatti, nè controllabile a priori, nè quantificabile in base alla cifra riportata in un preventivo. Non si tratta di pitturare una stanza o di sistemare una vettura, ma di seguire l’evoluzione della causa, spesso soggetta a deviazioni non sempre prevedibili. L’articolo non considera, inoltre, le difficoltà di rapporto fra avvocato e cliente, il quale troppo spesso non fornisce al patrocinatore tutti i dati necessari al compimento di un lavoro di qualità. In questo quadro, il preventivo sarebbe continuamente soggetto a revisioni, con buona pace dell’invocata certezza dei costi.

  6. luigi zoppoli

    E’ vangelo il contenuto dell’articolo. Quanto ai codici deontologici, nn mi pare prevedano nulla circa, ad esempio, parlamentari avvocati che fanno leggi a misura dei clienti. Espressa questa considerazione polemica, credo che la persistenza della compatibilità tra attività e professionale con cariche parlamentari è e sarà un ostacolo insormontabile in direzione di una riforma necessaria ed urgente. I professionisti in Parlamento dovrebbero legiferare a danno di se stessi e dei propri ordini di appartenenza? In teoria è possibile. La pratica è che neppure la legge Bersani è pienamente implementata.

  7. MARCO

    Vi ricordate tutti i grandi liberisti approdati nel PDL? Martino, Capezzone etc.. Ora che dicono? Non sento piu’ Capezzone dir di liberalizzare/abolire gli ordini (corporazioni) professionali. Chissa’ perche’?

  8. dave

    Ottimo articolo, su questo tema consiglio anche il bellissimo blog http://www.ordiniprofessionali.wordpress.com

  9. francesco rotondo

    Da poco entro a far parte di un ordine professionale, dottori commerciliasti, dopo tre anni e più di pratica. Forse sono troppi, ma due comunque sarebbero necessari. La garanzia che viene data dall’esame di stato difficilmente si trova all’estero (vedi anche il caso dei mutui sub prime scoppiato negli usa che in Italia non sarebbe potuto succedere proprio per la presenza dei notai, che forse si, sono troppo tutelati, ma che nell’occasione forse hanno tutelato il sistema). Effettivamente uno snellimento dovrebbe esserci, però spesso e volentieri il prezzo di una prestazione viene convenuto tra cliente e professionista in virtù di un rapporto di fiducia che raramente prende in considerazione la tariffa professionale. Questo almeno è quello che ho potuto vedere sul campo.

  10. Oronzo A. Longo

    Faccio il geologo professionista. Due anni fa durante una assemblea del mio ordine, mi sono espresso a favore dell’abolizione delle tariffe minime: ero l’unico su più di 50 presenti. Resto della stessa idea e ritengo che chi lavora con scrupolo non può fare prezzi troppo bassi: il cliente, anche se non è sempre in grado di valutare la correttezza dei contenuti di un progetto o di una consulenza, è comunque in grado di percepire la qualità già da come viene redatto un preventivo (quando il professionista si degna di fornirglielo). Altra considerazione: deontologia professionale significa anche utilizzare software con regolare licenza e quindi regolarmente pagati. Non sarebbe opportuno indicare nei progetti e nelle relazioni (che spesso vanno in mano a enti pubblici) gli estremi delle licenze? Chi utilizza software piratati fa concorrenza sleale e applicando comunque i minimi tariffari rispetta ancor meno le norme deontologiche.

  11. Giorgio Trenti

    Con la L. 9/2009, di conversione del D. L. 200/2008, si è persa l’occasione di semplificare la legislazione, abrogando la L. 1815/1939 che disciplinava l’esercizio in forma associata delle professioni. Tale legge, perché nata in un ambiente odiosamente antirazziale, meritava l’oblio. La legge, peraltro, non serve più, dopo l’art. 24 della L. 266 del 7/8/1997 che ha abolito il divieto di costituire società tra professionisti. E’ opportuno completare la riforma professionale – togliendo ogni privilegio in contrasto col libero mercato – approvando la seguente proposta. Proposta di legge Esercizio delle professioni con la forma societaria. Tutte le attività possono essere svolte in forma individuale. A ben pensare questo è il modo operativo che può conferire più compattezza all’azione sul mercato. Al crescere delle dimensioni aumentano le complessità ed il tempo da dedicare non basta più, cosicché dividere i compiti con altri soci è la soluzione opportuna. Non si ravvisa una diversa professionalità tra la forma individuale e quella societaria. La seconda è il naturale sviluppo della prima. Chiunque può prestare un servizio ad un committente senza sottostare a vincoli (art. 2222 c. c. contratto d’opera).

  12. dott. Cesare

    Articolo completamente sbagliato, i servizi professionali non sono una merce, non si possono liberalizzare. Gli ordini servono a tutelare i fruitori dei servizi sulla competenza degli iscritti (che devono studiare, e tanto per fare esami e formazione professionale obbligatoria). Senza iscrizione obbligatoria, chiunque si inventerebbe professionista senza averne le competenze, con conseguenze disastrose per i clienti. Le tariffe a forfait sono all’ordine del giorno nella professioni di avvocato e commercialista, ed anche in tante altre, con una precisazione: il forfait ha un senso quando si sa cosa si andrà a fare, non si può applicare per pratiche complicate o imprevedibili. E questo per un semplice motivo: i professionisti, nel dubbio, applicherebbero tariffe sì a forfait, ma molto più alte, onde evitare di lavorare a 5 euro l’ora. Mi dispiace, ma questa è una battaglia contro i consumatori, non a loro favore.

  13. Oscar

    Complimenti avete centrato la questione. Le banche già contrattano con i legali tariffe a forfait e il contenzioso è drasticamente diminuito con aumento della velocità e del valore degli incassi. Quando gli avvocati erano pagati a prestazione la pratica non si chiudeva mai. Spiace che solo i grandi clienti abbiano potere contrattuale per addivenire a ciò mentre i clienti normali degli studi legali debbano affrontare una causa completamente al buio su costi e tempi. Gli ordini servono proprio per tutelare i tutti i clienti degli iscritti e per garantire la professionalità dei propri iscritti: venendo meno tale compito non si capisce perchè esistano. Saluti.

  14. pietro Manzini

    Studio la concorrenza da parecchio prima che esistesse in Italia la legge antitrust e credo che in tema di professioni si siano fatti parecchi pasticci. Darò due dati: 1) Non è vero (come invece dice il decreto Bersani) che la UE chiede l’assoluta liberalizzazione delle tariffe forensi; si rilegga la giurisprudenza comunitaria ed in particolare la sentenza Cipolla (C‑94/04 e C‑202/04): 2) La liberalizzazione delle tariffe ha prodotto due effetti: da un lato, i grandi clienti (banche ed assicurazioni), dall’alto dei loro oligopolli, hanno imposto una riduzione drastica delle tariffe, dall’altro ha indotto molti avvocati a condurre cause più lunghe e più numerose nel tentativo di recuperare i margini persi a causa dell’abolizione dei minimi. Risultati: più cause, più intralci alla giustizia, più profitti per i grandi clienti oligopolisti. Si è liberalizzato un settore che, con 200 mila professionisti, esemplifica il vagheggiato mercato atomistico ma che al contempo è connotato da asimmetrie informative che il decreto Bersani nemmeno prende in considerazione.

  15. carlo nocentini

    Non si può lasciare la pubblicità "libera". E’ una tesi da neoliberisti ingenui. Mamma Ebe e Vanna Marchi docet. Se è vero che gli ordini tendono ad azzerare la concorrenza (e questo è male) è altresì vero che lasciare libertà assoluta da spazio a venditori di fumo e truffatori. Occorrerebbe, comunque una garanzia, nell’interesse del pubblico. E il problema è che questa garanzia può essere fornita solo da professionisti dello specifico settore, che hanno le competenze per valutare se si sia in presenza di "pubblicità ingannevole" o meno. E, per gli aspetti che coinvolge, il nodo è tanto più preoccupante nelle professioni sanitarie.

  16. gianluca gallinella

    Sono architetto, libero professionista, ritengo giusta la cancellazione dei minimi tariffari ma trovo indispensabile che vengono definite delle caratteristiche prestazionali del nostro lavoro. Lasciare che un lavoro intellettuale venga valutato solo sulla convenienza economica introduce gravi distorsioni in quanto, ad esempio, la stessa opera valutata da uno studio professionale con costi fissi elevati (generati dalla presenza di personale dipendente e/o di software regolarmente licenziati) sarà sicuramente più elevata di un altro studio professionale "border line". Quindi ben vengano libero mercato e concorrenza, ma con regole semplici e chiare.

  17. Paolo

    Come ho già detto, nel mondo reale le tariffe minime sono solo un parametro ma è ampiamente diffuso il forfait. Soprattutto per l’attività stragiudiziale dove più facilmente è prevedibile l’attività da svolgere. Sull’attività giudiziale, invece, più che prendersela con i legali bisognerebbe valorizzare e seriamente applicare le norme concernenti il rimborso a cura del soccombente. Ma purtroppo, i giudici assegnano a tale questione (fondamentale) una scarsissima importanza deliberando compensazioni o riduzioni drastiche delle notule senza alcuna seria motivazione. Con ciò, inoltre, incentivando quel contenzioso a scopo puramente dilatorio di cui i Tribunali italiani son pieni. Non riesco poi a comprendere come si possa giudicare poco concorrenziale un mercato in cui operano migliaia di professionisti che non hanno (come altri) un mercato predeterminato ovvero che non sono a numero chiuso.

  18. Luciano Pontiroli

    Esercito la professione di avvocato da 35 anni e non credo di avere mai complicato le cause con attività inutili allo scopo di accrescere i miei compensi. Anche chi volesse farlo non avrebbe successo, perché il processo civile segue un itinerario sostanzialmente predeterminato; dal 1990, poi, i rinvii per prendere tempo sono praticamente esclusi (forse qualche giudice li concede ancora, ma saranno pochi). D’altro canto, anche svolgendo qualche prestazione in più non si riesce ad elevare granché il compenso: lo spazio di manovra si trova solo nella cause di grande valore e nell’attività stragiudiziale importante (pareri, contratti, arbitrati), ovviamente ristretta a chi ha clienti di rilievo che non badano a spese … oggi merce rara. Se si abolissero le tariffe, probabilmente si introdurrebbero i compensi orari, come in altri Stati UE, ancora meno controllabili.

  19. Matteo

    La mia esperienza da giovane avvocato mi induce a questa riflessione: l’abolizione delle tariffe minime potrebbe consentire a chi entra o è appena entrato nella professione di avere prezzi più concorrenziali, consentendogli di lavorare in modo dignitoso. Diversamente, il mantenimento delle stesse tariffe minime alla fine avvantaggia gli studi più grossi e da più tempo presenti sul mercato i quali così non hanno alcun problema a mantenere l’attuale clientela. Altra cosa, non sempre non avere una tariffa minima è indice di scarsa qualità della prestazione o di scarsa preparazione.

  20. Costantino Ferrandino

    Inizierei con quello che nessun altro paese civile ha: quello dei giornalisti e via anche con gli altri. non possiamo più permetterci di mantenere fette di popolazione al riparo dalla concorrenza (vale anche per i dipendenti pubblici, per i servizi pubblici e loro municipalizzate) interna ed internazionale. Pena il continuo declino e l’allontanamento dagli std dell’Europa occidentale. La Spagna ha già messo la freccia, alla Grecia manca poco: aspettiamo a svegliarci quando la metterà la Romania?

  21. luigi zoppoli

    Credo che gli ordini professionali siano un residuato inutile che serve solo a chi è cooptato. Gli ordini non garantiscono un bel nulla in termini di qualità della prestazione ed in termini di tutela del cliente in caso di contenzioso con il professionista. E quando in un commento, a proposito di pubblicità sento parlare di mamma e Vanna Marchi, ricordo che la TV ed alcuni programmi sono frequentati da avvocati paglietta che di fronte a Vanna Marchi dovrebbero solo vergognarsi. Basterebbe limitarsi ed apprendere da quanto e come operano in materia i legislatori di altri paesi. In questo caso si potrebbe anche osservare che i costi dei servizi per prestazioni professionali vigenti in Italia sono tra i più elevati d’Europa. Il resto è solo argomentazione futile.

  22. vincenzo distefano

    Ho 70 anni, ingegnere, ho sempre svolto attività libera, in special modo consulenza, e di conseguenza ho sempre fatturato a forfait, ritengo inutile e retrogrado applicare il tariffario minimo, può essere utile per il contribuente l’iscrizione che certifica il possesso di certi requisiti, d’altra parte siamo seri, ma vorrei saper chi ha mai applicato in Italia il tariffario? Forse qualche percentuale di professionisti di grido.

  23. Andrea Jorio

    Sostenere una relazione tra il sistema delle tariffe professionali e la congestione della giustizia è una conclusione suggestiva ma arbitraria, un’assunzione fatta ceteris paribus che semplifica la realtà fino a distorcerla. Imputare a un sistema tariffario le disfunzionalità di un’infrastruttura è un errore di prospettiva. Una conclusione del genere postula, infatti, che il professionista possa scegliere tra fare presto e bene oppure prolungare un contenzioso per lucrare tutte le voci di tariffa. Di fatto questa scelta gli è negata, semplicemente perché il “tempo” del processo civile non viene scandito dalle parti se non in misura trascurabile. Credo che a riguardo possa essere utile l’esempio di Torino. Se la durata dei processi è così sensibile all’ottimizzazione organizzativa da parte dello Stato, è davvero difficile trovare spazio nella realtà al modello che lei propone. Solo quando tutti i tribunali della repubblica saranno in grado di celebrare un processo civile con una durata media paragonabile a quella dei migliori, si potrà seriamente parlare delle possibilità degli avvocati di allungare i tempi. Anche se, a quel punto, ci sarà qualcos’altro su cui riflettere.

  24. Aram Megighian

    Iscritto "giocoforza" ad un ordine professionale, sono pienamente d’accordo con l’articolo. L’ordine non tutela i consumatori, bensì i suoi appartenenti. Questo è nei fatti e purtroppo la vita si basa sui fatti e non sulle buone intenzioni. Spesso, ad esempio, l’ordine fa "quadrato" attorno ai professionisti che "sbagliano", non esercitando di fatto il suo reale potere di controllo. La pubblicità in realtà (parlo del mio ordine dei Medici) viene interpretata in modo quasi sempre favorevole ai più anziani (vedi il caso dei Dentisti, su cui potreste fare un’indagine) o dei furbi (vedi il caso delle medicine alternative esercitate da chi si laurea e fa l’esame di stato sulla medicina sperimentale). L’abolizione delle tariffe minime (e degli ordini) liberalizzerebbe il settore. La prefessionalità è pagata e i consumatori non sono poi così fessi come li si vuole far credere. Si informano e chiedono più pareri. I legali sono per me un caso a parte e raro: siamo lo Stato con più (e complicate) leggi d’Europa (del mondo?). Liberalizzare risolverebbe il problema delle spese legali, ma non quello delle cause. Infine: in USA non c’è ordine dei medici, ma solo un’associazione, l’AMA.

  25. Marco

    La situazione è diventata gravissima. Non si può più andare avanti così. Si sono spesi fiumi di parole: non è servito a niente. All’Autrice segnalo inoltre che il Governo Italiano dovrà relazionare, fra l’altro, sullo stato della Direttiva Bolkestein. Apertamente inattuata perchè non è stato consentito a nessun Governo di dargli seguito. In questo settore c’è uno Stato nello Stato, una forma di controllo tale che ha un costo quale solo una dittatura può avere, per i cittadini.

  26. Ing. Giovanni Rossi

    Sono un ingegnere e svolgo attività professionale da oltre 25 anni, insieme all’attività di insegnante e questo già la dice lunga sulla possibilità di guadagni adeguati nel campo della professione; i minimi tarifari rappresentano un riferimento che in realtà non trova riscontro nel settore privato, dove opero e quindi nonostante esista una minoranza di professionisti che certamente opera su tariffe elevate, la stragrande maggioranza offre le prestazioni a costi molto più bassi dei minimi tariffari. La concorrenza può essere sviluppata operando sulla qualità dei progetti e delle prestazioni, e quindi mirando alle competenze e non all’anzianità o alle conoscenze politiche, che nel settore pubblico la fanno da padrone; se l’offerta che prevale è sempre quella più bassa non si può pretendere che il lavoro venga fatto con scrupolo e qualità e i risultati si vedono; trovo indecente che gli ordini professionali non controllino e puniscano duramente i professionisti incompetenti.

  27. Matteo

    francesco rotondo scrive: "[omissis] La garanzia che viene data dall’esame di stato difficilmente si trova all’estero (vedi anche il caso dei mutui sub prime scoppiato negli usa che in Italia non sarebbe potuto succedere proprio per la presenza dei notai, che forse si, sono troppo tutelati, ma che nell’occasione forse hanno tutelato il sistema). [omissis]" La presenza del notaio non garantisce minimamente la bontà dell’obbligazione di mutuo che le banche concedono ai clienti, il notaro si limita a un controllo di legalità dell’atto e alla sua redazione sotto forma di atto pubblico, la presenza perizie gonfiate, ma attendibili, per l’accensione ipotecaria o lo scarso merito creditizio del debitore non inficiano la validità dell’atto che il notaio è tenuto a rogitare se perfetto secondo legge. L’assenza di asset subprime in Italia è dovuta solo alla scarsa propensione al rischio creditizio degli istituti bancari che, una volta tanto, hanno reso un servizio importante al Paese.

  28. etienne64

    In realtà, il forfait perfetto non è nemmeno equo perché non appare equo retribuire in modo uguale lavori che hanno richiesto impegni molto diversi. Sarebbe, questo sì, auspicabile l’abolizione della tariffa dei procuratori, fonte di complicazioni inutili. Il punto critico non è la tabella "onorari", ma la tabella "diritti". Ma una certa gradazione in relazione alla attività svolta deve essere possibile.

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