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UNA NUOVA FRONTIERA TRA STATO E MERCATO

Obama ha annunciato che non lascerà fallire Gm e Chrysler. Ma il salvataggio non è senza condizioni, anche se negli Usa resta forte l’avversione verso la gestione pubblica delle imprese. Diversa la situazione in Europa, dove i cittadini sono più abituati a un intervento statale nella sfera economica. Per questo sarebbe opportuno indicare limiti temporali precisi alla partecipazione pubblica nelle aziende in difficoltà. Perché sarebbe una vera beffa se il lascito più duraturo della crisi fosse il ritorno al vecchio capitalismo di Stato.

 

Barack Obama ha annunciato nei giorni scorsi che non lascerà fallire due delle grandi case automobilistiche americane, Gm e Chrysler.

OBAMA, CHRYSLER E LA FIAT

Il presidente degli Usa ha ricordato come nell’ultimo anno il settore dell’automobile abbia perso 400 mila posti di lavoro e che nel Midwest, storico bastione delle case automobilistiche, il tasso di disoccupazione sia ormai molto elevato. Per non far pesare ancora di più la crisi sulle spalle degli operai, il governo americano è disposto a iniettare altri fondi nelle casse delle due imprese, dopo i 17 miliardi di dollari già spesi lo scorso anno. Ma il salvataggio non sarà senza condizioni. Il gruppo di esperti nominato da Obama ha reputato che i piani di salvataggio presentati da Gm e Chrysler fossero del tutto inadeguati rispetto alla situazione di crisi in cui si trovano. Di conseguenza, Rick Wagoner, l’amministratore delegato di Gm, è stato costretto a dimettersi. Secondo gli esperti di Obama, la situazione di Chrysler è persino più grave di quella di Gm. Chrysler non può farcela da sola e allora la condizione esplicitamente indicata da Obama è di riuscire a presentare entro trenta giorni un piano di rilancio credibile, basato sull’alleanza con Fiat. La casa torinese dovrebbe trasferire la sua “cutting-edge technology”, cioè la sua tecnologia d’avanguardia per costruire motori a basso consumo, negli Usa. Obama dà anche a Fiat e Chrysler trenta giorni per trovare un accordo. Se ci riusciranno, 6 miliardi di dollari dei cittadini americani aiuteranno questa joint venture, altrimenti Chrysler verrà lasciata fallire.
Inutile nascondere che la prima impressione per noi italiani è quella di incredulità, riassunta al meglio da un titolo del Giornale: “L’America alla Fiat: per favore salvaci tu”. In America fino a qualche anno fa Fiat stava per Fix-It-Again-Tony, cioè “Riparala ancora, Tony”, a indicare la qualità percepita oltre oceano delle macchine torinesi. Molte cose stanno cambiando negli Usa. E certamente sta cambiando il confine tra politica e economia. Solo un anno fa sarebbe stato inconcepibile che un leader politico licenziasse il capo di un’impresa. In questi giorni, invece, non si sono levate eccessive grida di scandalo contro la decisione di Obama. In primo luogo perché è ovvio che senza l’aiuto dello Stato, Gm sarebbe fallita. E poi perché è chiaro che il consiglio di amministrazione era completamente controllato da Wagoner, rimasto in sella per quasi dieci anni nonostante i pessimi risultati dell’azienda, ed è pertanto venuto meno al suo fondamentale ruolo di controllo del management.
Siamo di fronte a un passaggio cruciale della crisi, quello che ridefinisce i rapporti tra Stato e mercato. La stagione delle imprese pubbliche, con le loro inefficienze, sembrava essersi esaurita, spazzata via dal vento delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni degli anni Ottanta e Novanta. L’intervento dello Stato si stava sempre di più restringendo dalla gestione delle imprese alle garanzia delle regole di buon funzionamento del mercato. La crisi sta oggi rimettendo tutto in discussione. Lo Stato, in diversi paesi, è intervenuto per salvare banche e imprese. Cercando di minimizzare l’impatto della sua presenza, ma non avendo esitazioni a estromettere i dirigenti delle imprese in crisi, in Gm come in Royal Bank of Scotland. Nel caso di Chrysler c’è un passo in avanti ulteriore: lo Stato che, non solo dice al management che deve fare un’alleanza industriale, ma decide anche con chi farla, indebolendo così ulteriormente il già scarso potere negoziale di Chrysler, a tutto vantaggio di Fiat.

IL RITORNO DELLO STATO

Certo, Obama ha ribadito che “Il governo americano non ha interesse a gestire Gm; non abbiamo intenzione di gestire Gm”. Malgrado ciò, il titolo dell’Economist sulla vicenda è stato: “GM ha un nuovo boss, ma è Barack Obama ad avere veramente il controllo” .Altri problemi connessi all’influenza dello Stato nelle decisioni delle imprese verranno forse a galla. Ad, esempio, non è impensabile che gli Stati si diranno disposti a salvare imprese in difficoltà solo a patto che mantengano certi livelli occupazionali. E quali saranno gli effetti del salvataggio di Stato sulle imprese, come Ford, che non hanno avuto bisogno di ricorrere ad aiuti esterni? Non si corre il rischio che esse vengano poi alla fine penalizzate solo per avere gestito meglio le loro attività? Forse è un bene che siano gli Usa a doversi porre questi problemi in modo più marcato.
In Europa, e in Italia in particolare, i rischi del ritorno a uno Stato “invadente” sono maggiori che negli Usa. I cittadini sono più abituati a un intervento pubblico nella sfera economica e molti governi europei hanno accettato senza entusiasmo la stagione delle privatizzazioni. Sarebbe allora opportuno predisporre dei correttivi, quali limiti temporali precisi alla partecipazione pubblica nelle imprese in difficoltà, per non ritrovarci tra poco alle lottizzazioni dei presidenti delle banche, come avveniva in Italia fino agli anni Ottanta. 
Una nuova frontiera tra Stato e mercato viene tracciata in queste settimane. Alla conclusione di questo processo, il mercato arretrerà e lo Stato avanzerà. Ma sarebbe una vera beffa se il lascito più duraturo della crisi fosse il ritorno a un capitalismo di Stato come quello dal quale siamo usciti a fatica da pochi anni.

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PERCHÉ ALL’ORDINE NON PIACE LA CONCORRENZA

  1. luigi zoppoli

    Chiarissimo il rischio di cui l’articolo parla. La tradizione e la storia insegnano che in Italia il rischio ancora maggiore è che la delimitazione dei nuovi condini tra imprese e stato è demandata ad uomini politici che, oltre a non aver compiutamente compreso la crisi, si sono andati formando dei pregiudizi di cui già abbiamo avuto alcuni assaggi. E purtroppo anche questo ruolo cammina sulle gambe degli uomini. Come si dice in inglese "lottizzazione col manuale Cencelli"?

  2. francis

    Ma come è possibile che di fronte alla crisi che stiamo vivendo si continui a credere all’ideologia del mercato, del mercato autarchico e perfetto? E’ proprio l’ideologia del mercato che ha reso sussidiarie le istituzioni e che ci ha fatto sprofondare in questo baratro. Le istituzioni politiche non possono essedere sussidiare rispetto a quelle economiche. Di fronte ai manager che continuavano a comprare mobili d’antiquariato per abbellire i loro studi quando già la loro banca (Leman Brothers) era in una condizione di insolvenza, ben vengano i manager lottizati dalla politica: quanto meno avranno qualcuno a cui dover rendere conto. Non auspico un capitalismo di stato, ma un economia e una finanza etica e non l’impero dell’etica dell’economia. Chi può restituire etica alle istituzioni economiche è l’istituzione che in termini coercitivi è la più forte: lo Stato. Questo però a condizione che gli uomini di stato non siano già affetti dall’etica dell’economia, altrimenti non ne verremo mai fuori.

  3. volty

    Nel testo si dice che lo stato (USA) dice anche con chi si deve fare l’allenza indebolendo il potere negoziale della Chrysler. Risulta che ci sia stato qualche altro soggetto industriale interessato alla (fallita) Chrysler?

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