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IL SUSSIDIO “LASCIA E RADDOPPIA”

Il governo annuncia l’intenzione di raddoppiare l’indennità ai co.co.pro che restano senza lavoro. Per non lasciare indietro nessuno, dichiarano i ministri. E in particolare i precari, che non hanno diritto ad alcun sussidio di disoccupazione. Ma le cose non stanno esattamente così: i collaboratori restano ancora senza tutele mentre raddoppia una misura che riguarderà solo un numero esiguo di lavoratori. D’altra parte, le tante proposte di riforma del sistema restano inascoltate, perché l’esecutivo è convinto che i nostri ammortizzatori funzionino già benissimo.

Problema risolto? Con l’annuncio al termine del Consiglio dei ministri del 13 marzo, dell’intenzione di raddoppiare l’indennità ai co.co.pro che restano senza lavoro, il governo vuole dare l’idea di non lasciare indietro nessuno, in particolare i “precari”, i lavoratori parasubordinati che non hanno diritto ad alcun sussidio di disoccupazione. Ma le cose non stanno esattamente così. Con i collaboratori, il governo sta giocando a un nuovo gioco, “Lascia e raddoppia”: li lascia senza tutele e raddoppia una misura che poco ha a che vedere con i sussidi di disoccupazione, e che riguarderà un numero esiguo di lavoratori.

UN SUSSIDIO PER POCHI

In un nostro precedente articolo abbiamo visto chi sono i potenziali beneficiari della proposta iniziale, quella contenuta nel decreto anticrisi. In sede di conversione del decreto, sono state apportate alcune modifiche, ma nulla non è cambiato su chi potrebbe accedere alla prestazione: i collaboratori a progetto, quindi non i co.co.co della pubblica amministrazione, iscritti in via esclusiva alla gestione separata dell’Inps, con un solo committente.
La principale differenza con la proposta iniziale è che adesso quella che il governo chiama “indennità di reinserimento” viene data “nei casi di fine lavoro”, qualunque cosa questa espressione significhi. Insomma, per avere l’indennità, i co.co.pro con un unico committente devono aver lavorato e guadagnato qualosa ma non troppo nel 2008: il requisito implica che debbano avere guadagnato tra 5mila e 11.516 euro lordi. E soprattutto devono avere lavorato anche nel 2009, per almeno 3.560 euro lordi, prima della “fine lavoro”. L’indennità per quanti potranno accedervi sarà compresa tra 1.000 e 2.300 euro, il 20 per cento della retribuzione del 2008, in media saranno circa 1.600 euro.
Quanti otterranno la prestazione? Oltreché dall’andamento del mercato del lavoro, dipenderà dai criteri di accesso che verranno specificati in un futuro decreto del ministro del Lavoro in base alla definizione di “fine lavoro”. Che succede ad esempio se Gianni, che soddisfa tutti i requisiti, vede scadere il proprio contratto a progetto ad aprile, a maggio resta senza lavoro e stipula un nuovo contratto a progetto a giugno? Ottiene l’indennità o no? Se sì, la ottiene esattamente come e per lo stesso importo di Amanda, il cui contratto scade ad aprile, ma che non trova più lavoro per tutto l’anno? Indipendentemente da tutto ciò, l’aspetto più importante è che potranno comunque avere accesso alla prestazione circa 69mila co.co.pro, su un totale di circa 550mila: il 12,5 per cento. (1) In sostanza, se tutti i co.co.pro oggi occupati in Italia perdessero il lavoro, solo uno su otto potrebbe reclamare la prestazione.
Per essere chiari, questa non è un’indennità di disoccupazione, come hanno invece scritto molti quotidiani: al massimo la si può chiamare un indennizzo alla sotto-occupazione, concessa solamente ad alcuni co.co.pro, e oltretutto in modo a nostro avviso incoerente. Per tornare all’esempio di prima, è possibile che la ottengano Gianni e Amanda, mentre invece ne sarebbe esclusa Sonia, che soddisfa tutti i requisiti, ma il cui contratto da mille euro al mese è scaduto a marzo, e ha quindi guadagnato meno di 3.560 euro. E poi, perché solo i co.co.pro? I contratti di collaborazione scadranno anche nella pubblica amministrazione, si suppone.
Una vera indennità di disoccupazione per tutti i collaboratori coordinati e a progetto, che garantisca il 60 per cento dell’ultima retribuzione per un massimo di 6 mesi e la contribuzione figurativa per le pensioni, modellata sui requisiti attualmente in vigore per le prestazioni di malattia e maternità per questi lavoratori, costerebbe secondo le nostre stime un miliardo di euro all’anno, anziché i 120 milioni che sarebbero necessari per l’indennità di reinserimento nell’improbabile caso in cui tutti i 69mila potenziali beneficiari perdessero il lavoro. Anche così, però, il 40 per cento dei collaboratori coordinati e a progetto non avrebbero accesso all’indennità di disoccupazione, come accade oggi per circa la metà dei lavoratori somministrati, il 40 per cento di quelli a tempo determinato, l’80 per cento degli apprendisti.

IL SISTEMA “MIGLIORE” DEL MONDO

La posizione del governo è chiara: non concedere diritti “automatici” ai disoccupati, ma eventualmente solo benefici su base negoziale. La giustificazione starebbe nel fatto che la negoziazione dovrebbe disincentivare l’espulsione di forza lavoro. In realtà, questo non farà che privilegiare ulteriormente i lavoratori più forti, quelli a tempo indeterminato delle grandi imprese, più rappresentati. Con buona pace degli altri, che sono anche quelli più a rischio.
La necessità, soprattutto in un periodo di crisi, di estendere su base certa i diritti al sostegno del reddito a tutti i lavoratori è invece sostenuta a gran voce da molti commentatori. Tito Boeri e Pietro Garibaldi hanno stimato in 15,5 miliardi il costo di un sussidio unico per tutti i disoccupati, una cifra non lontana dai 18 miliardi da noi indicati in un precedente articolo.

In alternativa, abbiamo proposto di adottare un sistema di sostegno al reddito di tipo europeo, articolato su tre livelli, oltre alle integrazioni salariali che potrebbero restare su base volontaria: un sussidio di disoccupazione con requisiti contributivi, quindi non per tutti i disoccupati; un sussidio di disoccupazione senza requisiti contributivi ma sottoposto alla prova dei mezzi, quindi per tutti i disoccupati, purché in effettivo stato di bisogno; un livello minimo di assistenza rivolto a tutti i cittadini e non solamente ai lavoratori, purché in stato di necessità: il reddito minimo di inserimento, auspicato, tra gli altri, anche da Boeri e Garibaldi. Secondo le nostre stime, tutto il pacchetto costerebbe 15,5 miliardi di euro all’anno e sarebbe relativamente facile da finanziare. Altre proposte vengono dai lavori della commissione Carniti presso il Cnel, e prevedono anch’esse l’introduzione del reddito minimo di inserimento. (2)
Eppure, tutte queste proposte ignorano una strabiliante scoperta: quello che fino a un mese fa era unanimemente considerato come uno dei peggiori sistemi di sostegno al reddito in caso di disoccupazione in Europa, come nella fiaba del brutto anatroccolo è oggi diventato uno splendido cigno. Di più: “gli ammortizzatori sociali funzionano proprio in quanto segmentati e diversificati”, dice il ministro Brunetta: è un buon sistema, perché “a suo modo” dà qualcosa a tutti. (3) Tout est au mieux? Sfortunatamente per i Pangloss de noantri, questa non è una rappresentazione accurata della realtà: il nostro è un sistema che dà tanto a qualcuno, qualcosa a molti, e un bel niente a tanti altri ancora. In quale stagno si sta specchiando il cigno?

 

(1) Il dato sul totale dei co.co.pro è di fonte Whip e relativo all’anno 2004, ma la rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat ci dice che da allora a oggi il numero di collaboratori è rimasto sostanzialmente invariato. In quell’anno i collaboratori coordinati e continuativi che non svolgevano altri lavori, escludendo dal computo altri contribuenti della gestione separata quali gli associati in partecipazione e i soci di cooperativa, ammontavano a circa un milione di individui. Di questi, utilizzando i dati Isfol Plus 2005 stimiamo che il 55,5 per cento (pari a circa 550mila) siano a progetto.
(2) B. Anastasia, M. Mancini e U. Trivellato, “Il sostegno al reddito dei disoccupati: note sullo stato dell’arte”, in Trivellato (a cura di), Regolazione, welfare e politiche attive del lavoro, www.portalecnel.it
(3) Il Corriere della Sera, sabato 7 marzo 2009.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

10 commenti

  1. david

    Condivido in pieno il contenuto dell’articolo. Faccio il mio esempio. Tutor al Cepu da 12 anni con co.co.pro. Alcuni mesi vanno bene altri o non prendi niente o molto poco. Vado al sindacato e mi dicono che non ho diritto alla disoccupazione, chiedo all’Inps e mi dicono che non ne ho diritto. A che gioco stiamo giocando?

  2. Di Maro Felice

    Tra 5mila e 11.516 euro lordi per il 2008 e ovviamente chi è interessato non sa se per il 2009 prenderà i 3 mila circa richiesti. L’articolo prende in considerazione delle dinamiche di una fascia di reddito che denominarla precaria è banale. Ma penso che è da queste considerazioni nell’articolo che comunque si deve ripartire per difendere con forza il potere di acquisto di salari, stipendi, e permettemi, anche di pensioni. Occorrono "Nuove regole". Se il rapporto tra salario nominale e l’insieme dei prezzi di beni e servizi non è "1" , ma 1,5 ad esempio, come è possibile vivere. Esiste l’euro a livello europeo anche se è stato adottato solo da 11 paesi rispetto ai 27 dell’Ue. Bene! In area euro con "Nuove regole" ci vuole l’assicurazione che il potere di acquisto venga assicurato. Com’è possibile che per togliere si guarda sempre in campo europeo e per dare dignità si diventà ciechi?

  3. Giorgio Trenti

    La famigerata legge cosiddetta biagi obbliga all’ipocrisia nel rapporto di lavoro. E’ bene, invece, che ogni lavoratore sia libero di regolare il proprio rapporto di lavoro come meglio crede, a tempo determinato o indeterminato, sia nel settore pubblico, sia in quello privato. Inoltre la legge mette fra datore di lavoro e lavoratore inutili e costosi intermediari. L’incontro fra offerta e domanda di lavoro può avvenire senza spese, su internet. Propongo l’abolizione della legge e la reintroduzione nel codice civile di un articolo abrogato nel 1962. “Art. 2097 – Durata del contratto di lavoro. Le parti stabiliscono le regole del contratto di lavoro.” E’ opportuno, anche, riconoscere a tutte le persone fisiche, di cittadinanza italiana, il diritto all’integrazione ad un reddito minimo, in base alla dichiarazione annuale dei redditi.

  4. Davide Balzani

    Mi pare opportuno fare un pò di chiarezza sulla natura dei rapporti di lavoro cosiddetti atipici. Il contratto di collaborazione a progetto è nato come rapporto di lavoro autonomo, cioè non subordinato, e deve svolgersi secondo le regole del lavoro autonomo. Come tale non può e non deve godere di tutele paragonabili al lavoro subordinato che è soggetto ad aliquote contributive adeguate a garantire le prestazioni di disoccupazione e cassa integrazione. La realtà però è diversa. Il 95% dei contratti a progetto sono rapporti di lavoro subordinato mascherato. Questi contratti vengono utilizzati in modo selvaggio dalle aziende per abbattere i costi e per godere di potere di "vita e di morte" nei confronti dei lavoratori privi di ogni garanzia. Il governo lo sa bene e lo dimostra il fatto che tutti i provvedimenti che prende a tutela di questi poveri lavoratori non fanno altro che dimostrare la loro natura vera di rapporti di lavoro subordinato ma di serie B. Lo spirito originario che spinse il legislatore a creare questo tipo di rapporto di lavoro, unico al mondo, è stato immediatamente stravolto dal mercato, che ha spinto ad utilizzarlo come forma di sfruttamento dei lavoratori.

  5. ia

    Sono veramente amareggiato e arrabbiato. Perchè in Italia non c’è nessuna forza politica che sembri essere in grado di portare a compimento la battaglia politica del sussidio di disoccupazione come da voi descritto? Siamo abbandonati e costretti a emigrare da laureati. Che tipo di paese hanno in mente con queste "reti bucate" contro la precarietà? Paghiamo tutto noi giovani: le pensioni degli "adulti", la sanità degli "anziani", gli stipendi degli "statali", gli affitti dei possidenti di rendite "catastali", le carriere universitarie "baronali". Ma che paese abbiamo "costruito"? Per chi è questo Paese? Datemi una risposta.

  6. Di Maro Felice

    Nel mio commento a questo articolo purtroppo nella trascrizione del testo al posto di 1,5 come rapporto tra salario nominale e l’insieme dei prezzi ho scritto 0,5. Mi scuso sia con i lettori che con la redazione che ringrazio per la pubblicazione. Poichè sono ritornato mio malgrado su quest’articolo penso che le tematiche sono di attualità e speriamo che non restino solo patrimonio dei studiosi di economia. Cordiali saluti.

  7. Antonio

    Laurea in Economia, Master (universitario) di II livello in Matematica Applicata, 24 mesi in un’azienda IT tra stage e co.co.co. E il futuro? Boh, non si sà. Altro che "merito". Questo non solo non è un paese per giovani: questo non è proprio un Paese per chi abbia voglia di lavorare. I contratti a progetto sono solo un infamia. Una pagliacciata tipica dell’Italia, in cui a occuparsi di economia (a fare cioè le leggi e, ahimé, pure i Ministri) ci sono solo avvocati. Che con tutta la buona volontà, in fatto di economics, non hanno che poche idee e pure molto, molto confuse. Complimenti comunque alla Voce.info. Siete la dimostrazione lampante che, in fatto di "problemi reali" del Paese le divisioni tra "destra" e "sinistra" sono solo inutili e puerili. Alla luce di un’analisi economica obiettiva infatti, sono ben poche le argomentazioni di questo governo (ma direi dell’intero ceto politico) che sopravivvono. Comunque sia: se non mi rinnovano il contratto con ogni probabilità emigrerò. Meglio non restare a lungo in un Paese per vecchi e privilegiati di casta. Mi rifuto di restare qui per pagare la pensione, magari di qualche ex-dirigente pubblico.

  8. FRANCESCO COSTANZO

    Ho sempre seguito con interesse il dibattito sulla proposta del sussidio di disoccupazione. Il sistema ha sicuramente tutte le pecche denunciate, e il sussidio lo renderebbe assolutamente moderno, sono perciò d’accordo con questa proposta. La mia paura è che si finanzi il sussidio con l’introduzione di una tassa generalizzata, ad esempio reintroducendo l’ICI sulla prima casa. La sinistra mi preoccupa, quando si parla di questi argomenti, perchè insiste a dire che chi possiede una casa è ricco! Ancora ieri sera ho sentito dire all’On. D’Alema che l’abolizione dell’ICI sulla prima casa è andata a vantaggio dei più ricchi, aggiungendo poi un dato: l’83% degli italiani possiede una casa. Non c’è nessun equilibrio nell’adozione di misure di welfare, da entrambe le parti: non si dà niente a una fetta della popolazione, e quando si decide di dare qualcosa, lo si fa spesso penalizzando l’80% degli italiani. Invece, i Berlusconi e altri del suo livello sono sempre più ricchi.

  9. Stefano

    Ho passato nello stesso posto più di tre anni con contratti a progetto a dir poco ridicoli. Per qualche motivo a me sconosciuto l’azienda è stata acquisita e io sono passato a un contratto a tempo determinato. Felicità? No perchè dopo 7 mesi mi hanno licenziato dal momento che non ho accettato il trasferimento a Roma (sono di Milano). Ho chiesto per il sussidio, pieno o ridotto che sia, ma mi è stato detto che forse potrò richiederlo fra 1 anno. "Forse cambieranno alcune cose fra 15 giorni, richiama fra 2 settimane". E’ l’unica "speranza" che mi è stata data…

  10. morucci stefania

    Il governo sa che in questo paese il più grande dispensatore di aiuti sociali è la famiglia. I giovani disoccupati tornano ad essere a carico delle famiglie! Può spegarmi qualcuno come questo paese uscirà dalla crisi, che non è di questo momento ma si è protatta in tutti questi ultimi anni, se tratta una intera generazione come dei perenni adolescenti? Il capo del governo ha detto che anche il piano casa è a favore delle famiglie che vogliono costruire una stanza in più per i loro figli. Ma vi rendete conto? Sono una cinquantenne con 2 figli laureati. Uno costretto all’emigrazione e l’altra che sta tentando di avviare una sua piccola impresa ma senza il nostro aiuto quale sarà il loro futuro?

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