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CLIMA DI CRISI

Quali sono le conseguenze della crisi economica per la causa dell’ambiente? Difficile dirlo a priori, perché molteplici sono gli effetti e le interrelazioni al livello di sistema economico. Ma anche se la tensione sul problema dovesse calare, compito del governo e delle politiche è di contrastare questa tendenza. Dopotutto, prima o poi, la crisi passerà, mentre il problema del clima resta. E così pure gli impegni internazionali da onorare. Meglio allora pensare a come agire, secondo le linee di un piano di intervento e rilancio verde.

Il 2008 sembrava un anno speciale per la lotta ai cambiamenti climatici. Il pacchetto europeo sul clima annunciato a gennaio attraversava una fase di discussione turbolenta, durante la quale si era distinto in negativo il nostro paese, ma non tale da comprometterne l’approvazione finale. Dall’altra parte dell’oceano, il candidato democratico Barack Obama viaggiava verso un’elezione alla presidenza degli Stati Uniti che gli eventi successivi avrebbero reso trionfale, sulla base di una piattaforma che della lotta agli sprechi energetici e sul clima aveva fatto uno dei pilastri principali.
Ma poi sul finire dell’estate era arrivata la crisi, una crisi dalla virulenza senza precedenti. Una crisi che dalla sfera finanziaria si era trasferita all’economia reale e che a fine anno cominciava a fare  intravvedere le sue pesanti conseguenze. Era una crisi di fiducia verso gli altri operatori e una crisi di sfiducia verso il futuro che inceppava il meccanismo del credito, rallentava significativamente l’economia, riduceva i redditi e accresceva la disoccupazione. Le pubbliche finanze venivano sottoposte a tensioni crescenti: a fronte di minore gettito fiscale aumentavano le richieste di intervento a favore di banche, industrie e famiglie. Si affacciava un nuovo statalismo che dilatava i deficit pubblici e nel lessico politico scompariva la parola “tassa”, per far posto a un’altra, “sussidio”.

IL CLIMA NELLA CRISI

E la lotta ai cambiamenti climatici? Quali gli effetti della crisi economica sul clima e sulla politica del clima? La lotta al clima è percepita, a torto o a ragione, come un costo: è un atteggiamento diffuso tra i decisori politici dal momento che i costi sono più vicini, visibili e certi dei benefici. Ed è difficile negare che la profonda crisi economica abbia l’effetto di attenuarne, e di molto, la serietà e l’urgenza.
Prima di affrontare le reazioni della politica potremmo però provare a interrogarci su quali effetti la crisi economica possa avere su energia e clima, in assenza di interventi. Diciamo subito che una risposta nitida è difficile da ottenere, in quanto molteplici appaiono gli effetti, anche di segno opposto, cosicché l’economista ben presto osserverebbe come una disamina in qualche modo soddisfacente sarebbe possibile solo con l’ausilio di un modello di equilibrio economico generale capace di tenere traccia degli effetti principali della crisi.
In assenza di simili strumenti, con mero intento illustrativo, potremmo anzitutto guardare ai mercati dell’energia, a cominciare dal petrolio. Sul mercato internazionale i capitali abbandonano frettolosamente il mercato dei futures, mentre il rallentamento della domanda globale innesca  potenti aspettative al ribasso, che la volontà dell’Opec di restrizione dell’offerta non è riuscita finora a contrastare. Il prezzo crolla e le fonti fossili di energia (il petrolio porta con sé il gas) tornano a essere competitive, mentre le entrate fiscali su combustibili e carburanti si riducono (chi si ricorda più di speculazione tremontiana e Robin tax?).
Se la bolletta energetica per le famiglie ne risente in positivo, ancorché in misura più lenta, il riequilibrio dei prezzi relativi delle fonti energetiche rende relativamente più costose quelle alternative, rinnovabili in testa. Sulla carta questo fatto, unito alla scomparsa del credito bancario, rende più difficoltosa l’auspicata espansione dell’industria della produzione di energia rinnovabile e dell’efficienza energetica. Se è vero che l’installazione di impianti di generazione di elettricità da eolico e solare, così come interventi di risparmio ed efficienza energetica come quelli sulle abitazioni e gli edifici pubblici e privati, sono intraprese a minimo rischio, resta il fatto che il credit crunch sembra generalizzato.
Un’implicazione di quanto appena detto è che nel nostro paese il nucleare è “rimandato a settembre”. Ciò appare già abbastanza chiaro a livello di dibattito parlamentare: troppe incognite sui tempi e sui costi. Altro che dichiarare che il nucleare è la soluzione per uscire dall’impasse del contenzioso russo-ucraino che con puntualità si ripropone con orizzonte di un anno, massimo due.

DALLE TASSE AI SUSSIDI

Un altro presumibile effetto è lo spostamento delle politiche dalle tasse ai sussidi: questo non fa un favore alla causa del clima, in quanto il principio secondo cui “chi inquina paga” non lascia molto spazio alla fantasia. Ma i tempi sono quelli che sono e i sussidi hanno il pregio di contribuire ad attenuare la recessione e sostenere prima o poi la ripresa. Ma se le tasse ambientali, come tutte le tasse, incontrano una difficoltà nell’accettabilità politica, dall’altro lato procurano gettito. Esattamente l’opposto accade con i sussidi. Specie se questi ultimi prendono verosimilmente direzioni diverse dal finanziamento dell’innovazione in tecnologie pulite e verdi, a causa dell’elevata incertezza circa tempi ed esiti che, pur nella loro cruciale importanza, le caratterizza.
Il rallentamento generalizzato dell’economia induce spontaneamente comportamenti volti al risparmio, a economizzare sui consumi e ciò riguarda anche l’energia, dai trasporti agli utilizzi di elettricità. Naturalmente, qui la questione riguarda l’elasticità al reddito dei consumi energetici, che sembra evidenziare asimmetrie a seconda che si tratti di aumenti ovvero riduzioni. In generale, comunque, si può affermare che il rallentamento della crescita a livello globale porterà a un rallentamento spontaneo nella crescita delle emissioni inquinanti, di gas-serra comprese.

SOTTRARSI DALLA LOTTA?

Il problema più serio che la crisi economica pone per la lotta al clima è l’attenzione che viene distolta dal tema, la tensione che si riduce. Il risultato è che l’emergenza climatica cessa di essere tale di fronte all’emergenza del credito, dei redditi, dell’occupazione e solo una forte volontà politica può impedire questa per certi versi comprensibile tendenza.
Dovremmo dunque abbandonare la lotta? Dare la partita per persa? Rinunciare a prendere l’iniziativa? Ci si chiede se l’ambiente è favorito dalla crisi: in realtà la risposta dipende da noi, dalla nostra volontà – e in qualche misura dal coraggio – di afferrare per le corna il toro della crisi per dirigerla verso un’uscita ad alto tasso di efficienza energetica e basso tenore di carbonio.
Vi sono tre fondamentali ragioni per cui non possiamo e non dobbiamo rimandare l’intervento a un futuro più favorevole (se mai esiste). La prima è che prima o poi la crisi economica passa, mentre il problema climatico no. Anzi, con l’inazione è destinato a diventare ancora più grave. Se le emissioni (anche) quest’anno si ridurranno, sarà comunque un fatto transitorio se non sarà il risultato di politiche attive e consapevoli. Il prezzo del petrolio tornerà a crescere e tenderanno a riproporsi le condizioni precedenti alla crisi, se non avremo colto questa cruciale occasione per presentarci all’uscita dal tunnel in condizioni diverse.
La seconda ragione è che le obbligazioni per il nostro e altri paesi sono sempre lì. Kyoto è ineludibile e così lo sono gli impegni del pacchetto europeo. Dopo la battaglia sul pacchetto, vinta a metà (o vinta dall’industria, ma non dal paese), non abbiamo più sentito nulla dai ministeri interessati su come si pensa di onorare gli impegni assunti. Stupisce un po’ di leggere che si vagheggia di rivedere i termini dell’accordo in anticipo sui tempi previsti (2010), quando in realtà la clausola di revisione non è stata introdotta per tornare indietro, quanto per verificare se vi siano le condizioni per rendere l’impegno di riduzione delle emissioni ancora più stringente. In ossequio al principio di precauzione, i costi da sostenere potrebbero essere tanto più alti quanto più tardiamo a intervenire. Mentre ancora siamo in attesa di sapere come si intende operare per la riduzione delle emissioni per quei settori – trasporti, residenziale, commercio, agricoltura – non coperti dal Sistema europeo di scambio dei permessi di emissione. O si ha il coraggio di pronunciare la parola tassazione, ma crucialmente specificando che si tratterebbe di una riforma dell’intero sistema in senso ambientale, che non porti a nuove tasse, corredandola da una clausola di impiego del gettito a favore della detassazione del lavoro e dell’incentivazione alla ricerca e sviluppo. Oppure si deve spiegare dove il Tesoro reperirà i fondi per acquistare i crediti d’emissione necessari per rientrare nei limiti degli impegni assunti.
Naturalmente, e questa è la terza ragione, si può e si deve intervenire anche sostenendo l’economia con incentivi e sussidi. Qui Obama è d’esempio: incentivi e sussidi servono a contrastare il ciclo economico avverso, ma è cruciale cogliere questa occasione di intervento dello Stato nell’economia per iniziare a cambiare la struttura della produzione e dei consumi in direzione della sostenibilità. Questo significa la concessione di aiuti condizionati e mirati, come quelli che il governo ha faticosamente deciso a favore dell’auto e degli elettrodomestici, mentre meno si comprende, dal nostro punto di vista, l’intervento a favore dei mobili. Ma naturalmente molto di più si potrebbe e sarebbe necessario fare, a cominciare da tutte quelle opzioni a costo zero di riduzione delle emissioni negative costituite dai vari interventi di efficienza e risparmio energetico. In questo senso, abbiamo registrato il piano “obamiano” presentato dal segretario del Partito democratico Veltroni, di cui solo uno dei grandi quotidiani nazionali ha riferito, e capace secondo il proponente di creare (il famoso) milione di posti di lavoro nel giro di cinque anni. (1)
Sul fronte delle politiche domestiche è necessario essere lucidi e coraggiosi. Nonostante la generale crisi di fiducia, non deve venire meno la fiducia nella lotta al clima, ma è necessario cogliere questa occasione che potrebbe rivelarsi irripetibile, come osservano le Nazioni Unite con la proposta di un Green Global New Deal e Obama con il suo American Recovery and Reinvestment Plan. Qualche settimana addietro Francesco Giavazzi notava in un editoriale come questa crisi sia l’occasione propizia per procedere in maniera decisa a una riforma radicale del sistema delle relazioni industriali. (2) Quando l’abbiamo letto abbiamo pensato tra noi che poteva anche notare come questa sia anche una straordinaria occasione per offrire al paese un’ambiziosa fuga in avanti verso un obiettivo di sostenibilità comunque ineludibile.

 

(1)“Un milione di posti in 5 anni la svolta è la green economy”, La Repubblica 1 febbraio 2009.
(2)“Lo scambio virtuoso”, Corriere della Sera 8 gennaio 2009.

Foto: da internet

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UNA SIGNORA DI OTTANT’ANNI FA

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  1. Pietro Alicata

    Mi sembra evidente che molti ragionamenti e suggerimenti sui rimedi contro la crisi ambientale siano esageratamente ottimisti. In altri termini si ipotizza che lo sviluppo delle energie rinnovabili e delle tecnologie produttive possano consentire contemporaneamente la riduzione dei gas serra e la crescita quantitativa dell’economia. Non stiamo sognando di trovare una soluzione al problema di tenere insieme capra e cavoli o, se preferiamo, botte piena e moglie ubriaca? In realtà la velocità di crescita dei consumi appare quella di un treno in fase di accelerazione e, tra questi, il consumo di territorio appare particolarmente evidente anche dal confronto delle carte topografiche e delle immagini da satellite di pochi anni di distanza. Considerato che la crescita illimitata è oggettivamente impossibile, la crisi economica potrebbe essere l’occasione per valutare la possibilità di ridurre i consumi sostenendo solo quelli essenziali? Vi sono economisti che stanno elaborando modelli realisti per la decrescita?

  2. Bruno Stucchi

    In soldoni: per "salvare" l’ambiente bisogna aumentare le tasse. Cosa che tutti sapevano ma tacevano.

  3. Nathan Zippo

    E’ finalmente con immenso piacere che inizio a vedere un interesse maggiore per la decrescita. La domanda relativa a "modelli realistici" sintetizza in maniera precisa la problematica che circonda il "movimento per la decrescita". Occorrono, oggi come non mai, modelli effettivamente realistici di decrescita e smettere di continuare a far leva su toni più profetici che analitici. La necessità è oggi come non mai quella di una reale concretizzazione e di un approccio che non cavalchi l’onda della psicosi apocalittica ma che si getti nella sostanzialità della problematica ecologica. Non sarà molto, ma mi piace sottolineare come il prossimo venerdì 13 febbraio discuterò una tesi di laurea dal titolo LA DECRESCITA ECONOMICA presso la facoltà di Economia di Ancona (corso di laurea specialistica in Economia e Impresa). Ripeto, non sarà molto, ma non si può certo affermare che oggi, a mancare, siano le soluzioni, le possibilità o le menti, al contrario. Cosa manca veramente?

  4. Ruggero Revelli

    Le emissioni di gas serra dovute alle attività umane sono il 3.5 % del totale. La potenza delle centrali elettriche di nuova installazione nel 2006-7 in Cina (80% a carbone) è stata di 200.000 MW, quattro volte il massimo di potenza di picco richiesta dalla rete elettrica italiana. Il raggiungimento degli obiettivi del 20-20-20, da parte della UE, a parte i costi, sottratti allo sviluppo economico, porterà a un risultato a livello mondiale del tutto trascurabile. In termini di energia rinnovabile, IEA prevede al 2030 un’incidenza di solare ed eolico intorno all’ 1%. Il 60% dell’energia oggi ricavata da biomasse a livello mondiale è ottenuta da RSU termovalorizzate. Le rinnovabili devono essere considerate marginali e valutate come energia prodotta e non come potenza di picco, dato ingannevole, perchè non confrontabile se non con fattore di riduzione di 10 volte rispetto a un impianto tradizionale. La disponibilità non programmabile rende ancor meno interessante l’utilizzo delle fonti rinnovabili.

  5. Emanuele Q.

    Il punto essenziale è quale visione abbiamo del nostro futuro? La crescita illimitata oppure una decrescita pilotata. Io sono per una decrescita pilotata, questa secondo me deve prevedere grandi investimenti per tecnologie verdi, efficenza energietica delle aziende e autoproduzione energietica(solare ,eolico ecc..) . Deve cambiare alla radice il nostro stile di vita altrimenti il nostro stile di vita, cambierà noi, ma in peggio.Il cambiamento deve avvenire dal basso dai nostri Municipi e Comuni. Rifiuti zero, riciclo delle dei prodotti, obbligo all’uso di lampade a basso consumo etc etc….Si possono risparmiare migliaia e migliaia di MW al giorno basta volerlo. Un piano serio di risparmio energetico avrebbe effetti notevoli sulla nostra economia.

  6. Marco Di Paolo

    La soluzione non sta nell’analisi economica o nella ricerca e sviluppo alla scoperta di sempre migliori metodi o motivazioni per mostrare l’effettiva correttezza di intraprendere il sentiero della Decrescita controllata, ma sta nella depoliticizzazzione del caso e nel modificare il proprio punto di osservazione. Volente o nolente davanti a questa scelta si porranno tutti. Cambiare stile di vita o continuare lo stile di vita che viene riconosciuto come ufficiale da alcuni secoli? Il mondo rimarrà sempre diviso non ci sono dubbi, siamo 6 miliardi di persone con più di duecentocinquanta governi visioni centrali diverse. Si dividerà tutto in chi sa prima e chi sa dopo (U.Eco). Chi quindi agisce prima e chi agisce dopo. La cosa curiosa sono le valutazioni che si mostrano anche in uno dei commenti "molto pessimisti e riduttivi della lotta alla crisi climatica" dove soluzioni, risultati, studi, analisi sarebbero insufficienti per intraprendere tale cammino. Se solo invece, questi dati si valutano dal punto di vista del nuovo stile di vita si riconosce che effettivamente un cambiamento in quella direzione sarebbe tutt’altro che poco incidente. A patto che si tenga in mente sempre "Itaca".

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