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QUESTO FEDERALISMO NON HA I NUMERI

In un immaginario dialogo, un discepolo ingenuo pone al suo illuminato Maestro alcune domande all’indomani dell’approvazione in Italia di una importante legge delega. Si scopre così che il federalismo fiscale è un elettrone, che aspetta di essere osservato. E per questo, il grande sacerdote si rifiuta di dare i numeri. Mentre le vie dell’opposizione sono imperscrutabili come le stelle. Ma la grande riforma risponde perfettamente alle esigenze della comunicazione politica.

 

Un Maestro e il suo discepolo traversano a dorso di cammello il deserto del Gobi. Il Maestro è immerso in profonde riflessioni, il discepolo gli lancia di tanto in tanto occhiate timorose. Alla fine, raccolto tutto il suo coraggio, gli rivolge una domanda.

D. Maestro, perché il grande sacerdote Tremontius non tira fuori un numero che sia uno sul federalismo fiscale? Possibile che non si possano stimare gli effetti finanziari di una legge dopo vent’anni che se ne discute?
M. Discipule, il federalismo fiscale nella legge delega è come l’elettrone, che è potenzialmente dappertutto e la cui funzione d’onda collassa determinandone la posizione solo nel momento in cui qualcuno si decide a osservarlo. Ci sono talmente tante possibili variazioni nella legge – tributi, funzioni, strumenti di perequazione, costi e fabbisogni standard e così via – che questa può implicare tutto e il contrario di tutto in termini di distribuzione delle risorse tra centro e autonomie e tra le diverse autonomie. La legge delega collasserà, determinando una posizione precisa, solo quando il governo si deciderà a osservarla, con i decreti attuativi, fornendo un’interpretazione univoca alle dozzine di variabili in gioco.

D. Maestro, ma allora perché Tremontius non lo fa subito e usciamo da quest’assurdità in cui tutti discutono di qualcosa che non si sa cos’è e il Parlamento perfino la vota?
M. Perché nel momento in cui il governo la osserva, e la legge delega collassa in un punto preciso, si determineranno vincitori e vinti, si capirà chi ci guadagna e chi ci perde, e la tenuta della maggioranza sarà a rischio. La cosa migliore per il governo sarebbe trovare una soluzione in cui, almeno all’inizio, tutti ci guadagnano e nessuno ci perde. Dati gli equilibri politici nella maggioranza, questo vorrebbe dire una soluzione in cui si riesce a lasciare un po’ più di soldi agli enti territoriali del Nord, senza toglierli a quelli del Sud. La manovra finanziaria per il 2009 e la revisione dei fondi strutturali europei anche a questo mirava. Ma la crisi economica ha tolto fiato alla strategia, si viaggia a vista, e dunque Tremontius prende tempo e rimanda.

D.Maestro, ma allora ha fatto male l’opposizione ad astenersi?
M.Discipule, le vie della politica italiana sono più difficili da interpretare di quelle delle stelle nel cielo. Non votando contro, l’opposizione ha ottenuto di rimanere in gioco in una riforma importante. E imponendo che il primo decreto attuativo sia presentato entro un anno dalla approvazione della legge, ha costretto il governo a non rinviare la questione sine die e a mostrare le carte prima del previsto, ponendolo in potenziale difficoltà.

D. Maestro, ma al comune cittadino che gliene importa in questo momento del federalismo fiscale? Non ha problemi più seri da risolvere, tipo mettere assieme il pranzo con la cena?
M.Il federalismo fiscale, nel senso di maggior autonomia in un quadro di accresciute responsabilità, fa sicuramente bene al paese e ancor più alle parti più deboli di questo, perché implica maggiore efficienza nella spesa locale, cioè nel 60 per cento della spesa pubblica, tolte pensioni e interessi. Ma implica scelte difficili, revisioni nella distribuzione delle risorse tra centro e periferia e tra le periferie, sanzioni serie nei confronti di un ceto politico locale spesso parassitario, la perdita di potere delle burocrazie nazionali. È complicato da introdurre, anche se la nostra stessa Costituzione ce lo impone.

D. Maestro, considerate tutte queste difficoltà, invece di imbarcarsi in una mega-riforma che nessuno sa dove porta, non sarebbe stato meglio agire in modo più puntuale? Per esempio, migliorare il finanziamento della sanità, rivedere il sistema tributario locale, razionalizzare i trasferimenti erariali, dare risorse e funzioni in più solo agli enti territoriali che hanno mostrato di meritarselo?
M. Qui sei ingenuo, discipule. Lo strumento della legge delega era necessario, perché l’obiettivo dichiarato è quello di riportare gli attuali sistemi di finanziamento e perequazione degli enti territoriali a quanto previsto nella Costituzione. E questo comporta comunque scelte tecniche, non riconducibili alla legislazione normale. Ma è vero che non c’era bisogno di rimettere in discussione tutto e subito. Fissato il quadro generale, si poteva procedere per gradi. Però, l’idea della “grande riforma”, il tutto e subito, risponde molto meglio alle esigenze di spettacolarizzazione della comunicazione politica.

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18 commenti

  1. padanus

    Il discipule fin tanto che pone quel tipo di domande è meglio che resti discepolo e continui ad imparare. Il maestro risponde saggiamente salvo che all’ultima domanda. Infatti non si capisce come non capisca che la grande riforma è il federalismo costituzionale nel quale l’ordinamento dello Stato dovrà adeguare le sue istituzioni. Che questa riforma sia il “tutto e subito” è un’affemarmazione comprensibile solo per un osservatore che scruta l’orizzonte dal dorso di cammello nel deserto del Gobi.

  2. decio

    Io sono un sostenitore del potere centrale forte, efficiente ed efficace. L’Italia, si dice sempre, è grande come la California. E’ mai possibile che non si riesca a governare in maniera forte e centralizzata uno Stato così piccolo? C’è sempre stata dagli anni ’70 (nascita delle regioni) ad oggi una frammentazione esagerata del potere. Questo è il punto. Ormai è tutto degenerato. Io sono contro il federalismo, ma se serve per governare meglio (nel senso che attualmente siamo paralizzati), ben venga. La mentalità italiana superficiale continuerà, purtroppo, a rovinare sempre tutto.

  3. edoardo

    L’unica cosa che non hai numeri per esistere sono i macrosprechi di alcune regioni, supportati tramite le clientele del Governo centrale, alle regioni virtuose.

  4. antonio petrina

    Caro professore, sarà senza cifre questa riforma del federalismo, ma ormai abituati dalla politica, a fare riforme a costo zero non ci crede più nessuno! Però il maestro potrebbe essere più ottimista dal momento che peggio non si potrebbe (mala tempora currunt, dicevano i latini) e lo spettro di altri deficit aleggia tra i cittadini, come nel passato e non lo dichiararono e Pantalone dovette ripianarlo, sicchè chi si oppone alla riforma evidentemente intende proteggere uno status quo! Ma tra Scilla (autonomia finanziaria degli enti locali) e Cariddi (finanza derivata) cosa preferisce il professore Bordignon?

  5. Felice Di Maro

    Ottimo articolo e l’esempio dell’elettrone rende bene che cosa sarà in Italia il federalismo fiscale. Un esempio sono già gli aumenti dei servizi dei comuni. A San Benedetto del Tronto il servizio del prestito interbibliotecario, oltre naturalmente ai costi della spedizione della biblioteca che invia il libro (ognuna fa come le pare!), è stato aumentato da euro 4 a euro 5,50. Un aumento quasi del 40%. Ovviamente che Tremonti non fornisce cifre non è una sorpresa, ma solo un accordo tacito con le opposizioni che si sono astenute al Senato. L’economia reale non chiede niente se non quello di raggiungere comunque e quantunque l’equilibrio o come si preferisce il "punto "zero". Pubblico e privato sono le facce di una stessa moneta, quella del capitalismo corrente? Attendo una risposta dall’Autore.

  6. Andrea Lilli

    I numeri non ci sono perchè ancora non c’è un sistema alternativo di federalismo fiscale. Il governo quando annuncia una politica deve attuarla altrimenti ci perde di credibilità (Barro-Gordon insegna). Il giudizio di un economista si basa solo sui fatti e non sulle buone intenzioni. Anche Keynes in merito alla crisi del 29 disse: "Non bastano le buone intenzioni. Occorre che lo stato intervenga." Per intervenire bisogna avere i numeri i quali sono uguali sia a destra che a sinistra. Ma credete veramente che un governo insediato 8 mesi fa riesca a produrre una riforma strutturale in così breve tempo? La domanda successiva sarebbe ma il governo precedente cosa ha fatto? La riforma federalista è fondamentale ed è per questo che se un governo sbaglia una riforma fondamentale a) è probabile quanto possibile che se ne vada a casa senza finire il mandato; b) cede il paese all’attuale opposizione. E nessun governo è disposto a cedere la guida del paese oggi e pregiudicare quella di domani o no? Prima di dare soluzioni dobbiamo conosce il problema nella sua reale dimensione.

  7. Riccardo

    Quali numeri potrebbe aver una riforma fiscale federalista che non attribuisce autonomia fiscale alle regioni, ma solamente poteri di redistribuzione di risorse assegnate dallo stato? Credo che ciascun governatore aspetti questa risposta, più di quanto non la attenda ciascun cittadino. Oggi l’Italia, come ogni paese europeo, ha una politica fiscale nazionale ed una politica monetaria europea. Diventa complicato parlare di federalismo fiscale, quando invece occorrerebbe trovare convergenze tra ciascun paese al fine di intercettare le politiche monetarie della BCE.

  8. mirco

    Il vero federalismo occorre attuarlo in Europa. Se ci consideriamo uno stato federato all’entità superiore che è la UE, l’Italia è come uno dei 27. Al proprio interno quindi ha troppi livelli di decentramento. L’Italia, dunque, come regione d’Europa, quindi le attuali regioni sono le povince, le attuali province vanno abolite, e occorre creare degli enti, vogliamo chaimarle contee, o cantoni? Che assorbano i comuni piccoli e che assorbano le attuali funzioni provinciali, queste contee devono aggregarsi attorno alle città più grandi in modo che da una attuale provincia si formino tre o quattro cantoni con le funzioni comunali attuali. La nuova "Provincia" Emilia Romagna da 9 province e 341 comuni si dividerebbe in soli 15 contee circa. La nuova contea come il nuovo comune. In questo modo si eliminerebbero le attuali province, i comuni piccoli e piccolissimi, tutte le miriadi di istituzioni inutili, comunità montane, consorzi, ecc ecc e il controllo fiscale concentrato a livello di contea. Obbiettivo: riduzione di costi e aumento efficienzadella P.A.

  9. rokko

    Non sono contrario in linea di principio al federalismo. Quello che mi chiedo è però: "perché proprio il federalismo?" Da mesi ci stanno triturando con il responsabilizzare le amministrazioni locali, il far sì che il costo di un servizio reso in Campania sia non troppo diverso dal costo che paga la Lombardia, ecc. ecc. Ma serve proprio il federalismo? Non si possono obbligare adesso, senza fare riforme inutili, gli enti locali a spendere solo il giusto? Che c’entra il federalismo?

  10. Ruggero Paladini

    Trovandomi casualmente a passeggiare nel deserto del Gobi, ho ascoltato la continuazione del colloquio: D: Maestro ho letto che in meccanica quantistica c’è un problema che riguarda un povero gatto; di cosa si tratta? M: forse ti riferisci al gatto di Schrodinger; è un vecchia storia ormai superata. E’ un esperimento mentale: c’è un atomo radiattivo che può emettere o no un neutrone; se l’emissione avviene provoca la fuoriuscita di un veleno che uccide un gatto chiuso in una gabbia. A Schrodinger, come ad Einstein, non piacevano le "onde di probabilità" e si chiedeva: secondo la meccanica quantistica il gatto è in una sovrapposizione di stati (vivo-morto) fino a che non si apre la gabbia? I fisici hanno superato da tempo il problema, spazzandolo ben bene via sotto il tappeto. Capito? D: grazie maestro, ma mi chiedo: nel caso del federalismo, chi è il gatto? Il nord, il sud o lo stato centrale? Purtroppo la risposta del Maestro si è persa nel vento.

  11. IL PADANO

    Esiste ancor oggi molta ignoranza sul federalismo, a cominciare da colui che scrive queste poche righe. Però, posso dire che alcuni passi basilari li ho capiti da molto tempo: federalismo equivale responsabilizzare ad ogni livello istituzionale e coniugare al tempo stesso spesa ed accertamento delle entrate nella medesima figura. Cosicchè se vogliamo un dato servizio, diciamo eccedente lo standard, paghiamo ma otteniamo la massima valorizzazione della prestazione, anche perchè potremo rivolgerci all’entità più a noi favorevole. Immaginate il tutto in campo sanitario. Ma possiamo applicare il concetto nei più svariati campi.

  12. marco l.

    Per come è conformata l’Italia, per la sua storia di stato unitario, sono spinto a condividere un processo di decentramento molto marcato. Lascerei perdere il termine "federalismo", che richiama una forma di stato duale che in Italia finirebbe per frantumarsi in un campanilismo opportunista. Un decentramento nella gestione delle risorse che non crei doppioni, sia nelle richieste di entrata, sia negli interventi di spesa. Un decentramento nel funzionamento "operativo" della democrazia che veda il necessario rafforzamento dei "pesi e contrappesi" a livello locale, oggi sopraffatti dall’affermazione di organi monocratici a legittimazione popolare diretta quali il sindaco, il presidente della provincia e della regione: troppi poteri concentrati su singoli leader ed uno svuotamento sostanziale degli organi assembleari e delle relative commissioni di controllo.

  13. Aram Megighian

    Si dice bene quando si sospetta di guardare questa "riforma" come dal dorso di un cammello nel deserto dei Gobi. Appunto, si vedono immediatamente una serie di dune, alcune evitabili, altre no. E subito dietro un’altra serie di dune; e così via fino all’orizzonte. Parafrasando un altro deserto, quello dei Tartari, mi pare che questo federalismo sia divenuto un cavallo di battaglia contro un esercito che non arriverà mai. E intanto, nonostante i controlli (se ci sono), il debito pubblico sale, i comuni spendono e gli evasori gioiscono. Nessuno che porti concretezza al discorso federalista, proponendo ad esempio di eliminare le province, enti inutili, ma spendaccioni. Nessuno che pensi di togliere poteri, ma non a Roma, bensì ai Comuni, magari dandoli alle Regioni. Un piccolo comune può bloccare per anni alcuni progetti, oppure farne di alternativi: ad esempio, è interessante notare dai monti che aggettano sulla marca Trevigiana, la distribuzione disordinata di zone industriali dei vari comuni e comunetti. Nessuna coordinazione, nessuna idea di conglomerazione e, ovviamente, un conseguente disordine nei servizi (strade di accesso ad esempio), inquinamento, eccetera.

  14. Maurizio

    Mi pare chiaro che se di federalismo parliamo è solo per dar sfogo alla nostra voglia di libertà. Lo stato centrale è troppo grande ma la mia regione, la mia provincia, il mio comune, il mio quartiere, la mia famiglia sono entità a me vicine con pochi poteri di condizionamento. A me di controllare non me ne frega niente come non me ne frega degli altri. Anzi più sono disorganizzati e sballati più io sono libero (non a caso nei comuni come Catania e Palermo i politici vengono riconfermati a stragrande maggiornaza). Noi ci teniamo i nostri soldi = io mi tengo i miei e se questo si chiama federalismo mi va bene. Ma pensate in un comune di 1000 abitanti le tasse chi li pagherebbe? Un mio parente viene a farmi l’accertamento? Mio cugino il vigile urban? O chi? Come l’individualismo scassa il patto sociale così il federalismo colpirà l’Italia e farà tanto più male quanto più sarà vero e reale. Fa bene il PD a sostenere questo federalismo perché solidarietà, bene comune, civiltà sono ormai parole vecchie, accordi sottobanco, comparsate alla tv, mediocrità, fanno parte del patrimonio culturale della sinistra italiana che sostiene il federalismo.

  15. Luciano

    Dal 2002 ho problemi a causa del decentramento delle competenze dallo Stato alle Regioni. A causa di una parziale occupazione di suolo demaniale (220 mq) prima versavo al Demanio 6000,00 Euro/anno ora ne devo dare 14.500,00 annui alla Regione (7.250,00 vanno al Demanio e 7.250,00 alla Regione). Sarà cosi anche il Federalismo fiscale?

  16. Aram Megighian

    Mi permetto di intervenire ancora una volta sul problema, chiedendo: chi controllerà? Arriveremo alle sedute di Condominio dove ognuno vorrà dire la sua con conseguente paralisi del sistema? O arriveremo alla situazione attuale dove il boss politico locale farà di testa sua? Insomma, il problema è questo, e lo si vede dal fatto che ci si rifiuta di dare i numeri (il linguaggio della matematica è universale e assiomatico; tutti lo capiscono). Si è accennato alla Sanità: forse la gente è competente per decidere le spese terapeutiche ? O dove fare un Ospedale ? O come farlo ? (Vi ricordo che fare Ospedali era una delle migliori mosse politiche per ottenere voti nel bianco Veneto). Io credo che il criterio di responsabilità che regola il nostro essere cittadini di uno stato, sia anche nel condividerla, questa responsabilità. Ho l’impressione che invece ciò non sia sentito e che si pensi al federalismo come al modo di ottenere tutto ciò che non si aveva. Se non va bene si cambia e si sceglie un altro politico che ti dà tutto. Mai verrà votato chi taglia. E quindi, il deficit non farà altro che aumentare.

  17. gianluca

    Se il federalismo italiano prevedesse l’obbligo di fusione tra comuni per raggiungere almeno la soglia di 10 mila abitanti; se stabilisse che le regioni a statuto speciale fossero abolite; se decretasse la fine delle province e delle comunità montane; se dotasse le regioni di strumenti per costringere i comuni a pianificazioni urbanistiche coordinate; se i comuni si dotassero e gestissero un moderno catasto; se ogni stazione di polizia locale fosse al servizio di almeno 25 mila abitanti (obbligo di creare consorzi per i comuni più piccoli); se le regioni e i comuni avessero realmente una capacità impositiva che le rendesse davvero responsabili anziché levare i tributi come l’ici o bloccare le aliquote irpef; se… Se il federalismo italiano fosse qualcosa di serio si potrebbe fare con singole leggi una per volta. Il problema è che non siamo un Paese serio. Ma la situazione è tragica…

  18. Angelo Palumbo

    " Il federalismo implica sanzioni serie nei confronti di un ceto politico locale spesso parassitario." Benissimo, speriamo che sia così. Ammesso che il federalismo possa aiutare i cittadini a difendersi da amministratori incapaci, non sarebbe più giusto, predisporre qualche aggiustamento, da subito ? Come può o come potrà difendersi un cittadino, per esempio, esperto in bilanci, che vede il suo Comune andare verso la bancarotta per le spese dissennate degli amministratori ? Dovrà aspettare il termine del mandato e sperare che la maggioranza degli elettori giunga alla sua stessa conclusione ? Non sarebbe più giusto che anche un solo cittadino con prove alla mano (bilanci, previsioni e quanto altro) possa ricorrendo alla magistratura fermare in tempo utile la bancarotta ?

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