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LA RISPOSTA AI COMMENTI

Sono molto grato ai lettori che hanno avuto la bontà di inviare commenti al mio articolo. Condivido il bisogno per l’Italia di razionalizzare e ristrutturare la spesa pubblica rendendola più efficiente e più equa. Condivido anche la necessità di ridurre l’evasione fiscale ed anche il peso delle imposte, ancora troppo alte per coloro che le pagano onestamente. Durante molti hanni ho scritto vari articoli sulla necessità di fare queste riforme. Condivido anche il bisogno di introdurre ammortizzatori sociali efficienti e capaci di proteggere gli sfortunati e specialmente i più colpiti da crisi economiche.
Ma queste sono riforme che si discutono da sempre. E’ improbabile che saranno fatte proprio ora, nel mezzo della bufera economica e finanziaria che si è abbattuta sul mondo.

Il mio articolo si riferiva esclusivamente alla crisi economica ed a pericoli più immediati. Il dilemma per il governo italiano in questo momento è come affrontare la crisi. Molti vorrebbero spengerlo verso un forte aumento di spesa pubblica ed altri verso una riduzione di imposte senza darsi conto delle possibili conseguenze macroeconomiche. Il mio articolo aveva il modesto obbiettivo di avvertire che politiche keynesiane possono avere conseguenze non desiderabili, o persino pericolose, almeno per l’Italia. Il problema è che il governo italiano ha ereditato un debito pubblico molto alto e relativamente più costoso di altri paesi. Il debito ha anche una maturità non molto lunga, un aspetto che condivide con altri paesi. Le politiche del passato hanno ridotto il margine di manovra macroeconomico che ha il governo in questo momento. Il “rischio paese” è aumentato parecchio nell’ultimo anno. Tale rischio è come un termometro che indica quanta febbre ha un malato. Una febbre alta ed in aumento è dannosa per un malato. Un rischio paese alto ed in aumento è dannoso per l’economia di un paese. Un rischio paese in aumento è un avvertimento da non ignorare. Per me non c’è dubbio che una manovra di stampo keynesiano potrebbe spingere l’Italia su un cammino molto pericoloso. Naturalmente il mio commento non impedirebbe al governo di ridurre spese non necessarie, o l’evasione fiscale, per aiutare i più colpiti dalla crisi. Ma queste riforme dovrebbero rispettare i parametri macroeconomici. La pressione sul governo di fare qualcosa dovrebbe tener conto del famoso giuramento Hippocratico: la prima regola per un medico prima di agire è di essere sicuro di non causare danno.
La stessa regola vale per i ministri.

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SE NON SI FA PIU’ CREDITO ALL’INNOVAZIONE

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RISPARMI CHE MIGLIORANO LA GIUSTIZIA

  1. luigi zoppoli

    L’articolo era chiarissimo nei suoi intenti e nella sua sostanza. Sta di fatto che l’economia può ben essere messa in ulteriore difficoltà dalla virulenza della crisi e con essa i conti pubblici. Varrebbe la pena riflettere se invece non è questo il momento che laggioranza ed opposizione mettano mano a riforme da troppo rimandate e si impegnino normativamente a robusti tagli di spese per ullteriori interventi di sostegno. La consapevolezza dei cittadini della complessità o della difficoltà della situazione, mi parrebbe uno scenario da non lasciar decantare.

  2. Carlo Cipiciani

    Gentile Dott. Tanzi, ho letto con interesse il suo punto di vista, un po’ "fuori dal coro" rispetto a quanto normalemtne si legge qui su La voce. In parte è vero che un forte aumento di spesa pubblica ed una riduzione di imposte potrebbero avere, in un’economia come quella italiana, conseguenze macroeconomiche non totalmente desiderabili. Mi sembra manchi però, mi scusi, una qualche considerazione sul fatto che qualcosa bisogna pur fare. Personalmente, ritengo che – con un occhio ai fondamentali di bilancio e quindi senza una politica in deficit – vadano fatte alcune operazioni di "rastrellamento di risorse nelle varie poste di bilancio" (come ad esempio ha mostrato, proprio qui sul "La voce", Massimo Bordignon) attualmente impiegate in modo assolutamente inutile per non dire dannoso, da utilizzare per finanziare misure anticicliche. E, soprattutto, vanno varate quelle riforme strutturali di cui l’Italia ha un gran bisogno. In questo non condivido la sua "rassegnata" considerazione sull’impossibilità di fare ora riforme strutturali. Proprio questo è il momento di farle! Se non ora, quando?

  3. Edoardo Giovanni Raimondi

    La fortuna degli USA negli anni ’30 fu di avere un discreto presidente che si affidò alle cure di un discreto economista: essi gettarono le basi per distribuire reddito alla popolazione, la domanda interna fece il resto. L’italia avrebbe molto da imparare. In finanza, generalmente, si guarda a un investimento senza tenere conto dei costi finanziari, se esso è redditizio allora va intrapreso, altrimenti nulla. La stessa cosa vale per l’italietta: il governo non ha soldi da investire e non può ulteriormente indebitarsi perchè ha speso troppo e male in passato. Pazienza! Un governo capace si attiverebbe per attuare quelle riforme strutturali che stimolano gli investimenti stranieri e che possano dare linfa infrastrutturale al paese e reddituale ai suoi abitanti. Lo spettro della disoccupazione incombe su milioni di lavoratori e la sola idea che i fondi della BEI possano essere utilizzati per erogare i sussidi irrita quasi quanto sapere che la politica non ridurrà i suoi sperperi. Sarebbe ora di vedere dei ministri seri, meno attenti alla propria immagine e più alla "salvezza" del paese. Perché essere un paese industrializzato, in un’economia dei servizi non è più un vanto, ma una condanna.

  4. francesco rotondo

    Quindi la sua posizione in merito è contrapposta a quella del Prof. Boeri che, mi sembra di aver letto, sostiene che un incentivo all’economia con investimenti in spesa pubblica e/o una riduzione fiscale (sebbene abbiano effetti negativi sull’indebitamento) potrebbe rilanciare il nostro Paese?

  5. Italo Nobile

    O non si considera più prioritaria la diminuzione del rapporto deficit/pil sino alla fine della recessione o si interviene sulle aliquote impositive in senso redistributivo.

  6. Beppe Caravita

    Il rischio paese italiano nello scorso anno è aumentato molto. Chiediamoci perchè. Gli investitori internazionali, i mercati hanno forse poca fiducia dell’attuale Governo italiano? Temono l’accoppiata Tremonti-Berlusconi che non ha fruttato, nelle passate loro legislature, molto sul piano del miglioramento della situazione macroeconomica italiana? I mercati scontano forse un sospetto sull’attuale esecutivo che prima, con Prodi e Padoa Schioppa, non scontavano? La triste vicenda della dilapidazione del cosiddetto "tesoretto" (in insensati sgravi sull’Ici ai ricchi e il salvataggio Alitalia) parrebbe dimostrarlo. E allora non è forse un Governo di emergenza, con un diverso esecutivo, la prima mossa necessaria a sbloccare la situazione di stallo? Scusi ma mi paiono considerazioni persino banali. Il Giappone, con un debito pubblico analogo al nostro, oggi ha varato una manovra da due punti di Pil. Perchè gode di credibilità politica. Questa mi pare il punto, vero, oggi.

  7. Jacopo Lorenzo Piscina

    Nell’articolo "DILEMMI ITALIANI" si parla giustamente dell’aumento del rischio paese e si propone la sua misurazione come differenza del tasso di interesse pagato dall’Italia su obbligazioni a 10 anni tra il 2007 e il 2008. I numeri riportati fanno notare la notevole differenza di tasso che paghiamo noi rispetto ad altri Paesi come Germania e Stati Uniti ma riportano anche il "tasso del 2007", questo in Italia era del 4,52% mentre ora, sebbene i tassi di altri Paesi siano scesi maggiormente, si attesta al 4,49%, valore leggermente inferiore a quello dell’anno precedente. Seppur le mie conoscenze economiche siano ancora ristrette sarei tentato di dire che non è il nostro rischio paese ad essere aumentato ma quello degli altri Paesi ad essere diminuito: pagando un tasso pressoché uguale, e misurando questo il rischio di default, non mi sento di dire che il Paese rischi la bancarotta più del 2007. Ma potrei anche sbagliarmi..

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