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ECONOMISTI E PREVISIONI

Dare addosso agli economisti sembra sia diventato uno sport nazionale. Lo ha fatto il Ministro del Tesoro che li ha invitati a tacere, già li criticava Eugenio Scalfari ai tempi del governo Prodi (essenzialmente perché non risparmiavano critiche anche a quel governo), ora inaspettatamente si aggiunge al coro anche Lei, Professor Sartori, che dal pulpito del Corriere della Sera tuona per la seconda volta in pochi giorni contro gli economisti per non aver saputo prevedere la crisi finanziaria e quindi consentire di evitarla (anche se da una cosa non segue l’altra – Cassandra insegna). Lei non se la prende con tutti gli economisti (nel mucchio è ovvio che qualcuno avrà previsto giusto) ma solo con quelli di rilievo, nessuno dei quali secondo lei “… ha davvero visto in tempo e capito a fondo i fatti e misfatti di Wall Street”. Fa eccezione Paul Krugman, che però secondo Lei non sarebbe abbastanza economista (assomiglia piu’ a uno scienziato politico?). E si chiede: “Mi sono sbagliato?”
Sì, caro Sartori, si è sbagliato. Per capire perché, occorre intendersi su che cosa sia una previsione. Uso la sua definizione per comodità: “dato un ben circoscritto e precisato progetto di intervento, quale ne sarà precisamente l’effetto? Riuscirà come previsto o no? Se no, perché no?”. Dice bene, dato un ben circoscritto progetto etc., e lei infatti cita il “mattarellum” come esempio su cui Lei si è esercitato a prevederne con ragione gli effetti nefasti. Purtroppo la crisi finanziaria non è il mattarellum. Non c’è nessun “precisato progetto di intervento” a cui si possa imputare la crisi. Vi sono molti elementi che congiuntamente hanno prodotto la miscela della crisi finanziaria: la politica monetaria eccessivamente espansiva di Greenspan dopo l’11 settembre, la bolla immobiliare (sostenuta anch’essa dalla politica monetaria della FED), la riduzione dei coefficienti di capitalizzazione delle banche d’affari e numerosi altri – incluso l’assetto privato di Fannie Mae and Freddie Mac e la natura pubblica delle garanzie che essi offrivano sui mutui. L’importanza di questi elementi e il loro potenziale destabilizzante sono stati messi in evidenza da tanti economisti. Uno per tutti: Robert Shiller e i suoi scritti sulla bolla immobiliare o sull’“esuberanza irrazionale” dei mercati americani. Ovviamente nessuno ha previsto che ad agosto di quest’anno la crisi sabebbe precipitata in una crisi di fiducia e che questa ad ottobre sarebbe potuta degenerare in corsa agli sportelli. Si poteva prevedere tutto ciò con congruo anticipo, in particolare il timing di questi eventi? No. Così come Lei non ha previsto e non poteva prevedere che i politici italiani avrebbero adottato il mattarellum. Ciò che Lei ha fatto è analizzare le possibili conseguenze di quella legge servendosi dello strumentario analitico che la sua disciplina Le mette a disposizione. Prevedere gli effetti di “un progetto di intervento” una volta adottato è una cosa, prevedere l’ adozione di un determinato progetto di intervento è cosa diversa e molto più complessa: richiede che si prevedano le mosse e le astuzie di Bossi, quelle di Berlusconi, il potere contrattuale degli altri partiti, etc. È opera improba anche per un politologo del Suo calibro. Infatti non ci ha provato: ha aspettato che facessero e poi ha sentenziato quali sarebbero state le conseguenze. E ha fatto la cosa giusta. Ma se uno dovesse applicare a Lei e alla scienza politica quello che Lei chiede alla scienza economica e agli economisti, allora ci avrebbe dovuto avvisare con congruo anticipo che i politici di casa nostra avrebbero partorito il mattarellum. Non lo ha fatto.
Se prevedere è quello che dice lei, allora gli economisti lo fanno di routine. Con riferimento alla crisi e “ai ben precisati progetti di intervento”, molti economisti hanno capito e previsto che il piano Paulson, nella versione iniziale, non avrebbe funzionato perché non interveniva nel capitale delle banche (vedi l’articolo di Luigi Zingales “Why Paulson is wrong”). L’amministrazione americana ha modificato il provvedimeno di conseguenza. In tanti abbiamo anticipato che provvedimenti adottati in via isolata dai paesi europei, senza un serio coordinamento sarebbero stati inefficaci come risposta alla crisi. Chissà, forse anche per questo alla fine i governi hanno convenuto su una serie di misure comuni. Da tanti anni, da quando è stata adottata la moneta unica, andiamo predicando che bisogna avere un’istituzione che faccia vigilanza per l’intera Europa. Lo facciamo perché prevediamo che sia questo l’assetto istituzionale migliore per prevenire l’emergere delle crisi e per gestirle se la prevenzione non fosse sufficiente. L’abbiamo fatto sulle riviste e non pretendo che Lei le legga, ma l’ha fatto Francesco Giavazzi tante volte dalle colonne del suo giornale, e quello suppongo che Lei lo legga (da ultimo Marco Pagano).
Tutto questo, mi darà atto, è prevedere secondo la sua definizione; nè più nè meno. E, mi pare che sia chiaro dagli esempi, queste previsioni sono fatte per cercare di prevenire. Che effettivamente ci si riesca è un altro paio di maniche. Qui entra in gioco la politica e anticiparne le mosse è più compito Suo che degli economisti.

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EPISODIO V: LE ASPETTATIVE COLPISCONO ANCORA

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SE IL LAVORATORE NON SI RIALLOCA

27 commenti

  1. luigi s.

    Ma Schiller non era molto ascoltato dai suoi colleghi. Prendiamo un esempio concreto: Giavazzi Alesina 2000 che citano proprio Schiller, con rispetto ma senza dargli troppo credito. <<In altre parole, è difficile dire se lo straordinario andamento delle Borse di un po’ tutti i Paesi negli ultimi anni sia un boom temporaneo, una bolla speculativa, oppure il risultato, ormai irreversibile, della new economy.[…] L’economista Robert Shiller dell’universita’ di Yale, uno dei più convinti sostenitori della bolla speculativa, guardando ai rapporti prezzi – utili osserva che i titoli di Wall Street non sono mai stati tanto sopravvalutati, neppure nell’estate del 1929 prima del crash.  Certo, i dati (finora peraltro soprattutto per l’economia americana) mostrano che la new economy sta producendo uno straordinario aumento di produttivita’: quindi guardare all’esperienza storica non sarebbe del tutto convincente.>> Corriere della sera 5 aprile 2000.

  2. Tarcisio Bonotto

    Egregi/e, oggi si inveisce contro coloro che dalla crisi non hanno saputo salvare gli italiani. Dentro ci siamo forse tutti. Dopo che i buoi sono scappati si cerca solo di riportarli a casa e cercare le colpe serve a poco. E’ necessario appurare invece: perché la gestione dell’economia non è chiara, semplice e comprensibile come lo dovrebbe essere? Si sapeva che le regole della globalizzazione erano a favore delle multinazionali e oggi ci troviamo 100 milioni di precari in Europa dal 40 milioni del 2001. In più la forbice della povertà è aumentata: il 20% della popolazione mondiale possiede l’86% delle risorse, (80% nel 2001) il 20% + povero l’1%. Dovremmo perciò opporci a queste regole e denunciarle in modo compatto. Ma vi è molta divisione tra gli intellettuali. Non addosserei la colpa per non aver previsto il crollo finanziario, ma per non aver fatto fronte comune a pratiche economiche antisociali, che hanno portato a questo. I politici hanno maggiori responsabilità. Per conto mio è dal 2001 che come associazione creiamo sensibilità sociale sugli effetti perniciosi della globalizzazione e certa finanza globale.

  3. Ro. Bo.

    Mi sa che, almeno in ambito borsistico, sarebbe bene che molti economisti "standard" si leggessero cosa scrive Nassim Nicholas Taleb e si studiassero un po’ di econofisica o, almeno, si leggessero il libro di Galimberti – Economia e pazzia. Così almeno smetterebbero di applicare metodi statistici che non sono in grado di descrivere, e tanto meno prevedere ex ante gli eventi che ex post sono poi così bravi a "giustificare".

  4. paolo

    All’affermazione: "Si poteva prevedere tutto ciò con congruo anticipo, in particolare il timing di questi eventi? No." un vero scienziato chiederebbe: "potete provare ció che dite?" e la risposta non richiede esperimenti ma solo la conoscenza dei rudimenti di filosofia che porta a rispondere: "la negazione non é provabile e quindi assume la dimensione di scusa, di giustificazione sofista finalizzata all’assolvimento dell’imputato. Un qualunque giudice vedrebbe in tale debolezza il motivo del crollo della tesi difensiva che lo portarebbe a sentenziare:"gli economisti sono colpevoli". Il problema é che essi sono i supporters dei politici e delle politiche dei vari governi. Il Sig. Greenspan é un economista, per non parlare di quanti economisti sono diventati politici, pronti a chiamare altri economisti che dalle piú famose universitá (che forniscono l’apparente autorevolezza necessaria) legittimavano le scelte politiche. Il fatto che siano nell’occhio del ciclone é perché ormai il Re é nudo, e la difesa ad oltranza somiglia sempre piú al tentativo disperato che faceva divulgare nel ’43 bollettini di guerra dove sembrava che l’Italia e la Germania stessero sbaragliando il nemico.

  5. marie arouet

    Se è vero che qualche economista ha attirato l’attenzione sui fondamentali dell’economia della fisica completamente violentata dall’ingegneria finanziaria, ebbéh! Allora è altrettanto vero che la generalità degli economisti non ha neanche avvertito il grave pericolo imminente; e se qulcuno pur l’ha fatto e tra questi, anche un premio nobel, ciò non assolve il fatto che la ricerca accademica e la relativa divulgazione non siano riuscite ad apportare, nel complesso, alcun contributo proficuo al governo politico delle dinamiche economiche. A che serve la scienza economica? La domanda non è retorica.

  6. Gino Pace

    Non è vero che questa crisi non era stata prevista. Infatti, circa un annno fa, un economista, del quale non ricordo il nome, intervistato da Rainews24, spiegava che l’economia americana, ma anche qualla europea sebbene in misura minore era dopata, in quanto gli americani vivevano al di sopra delle loro possibilità facendo ricorso al credito. In particolare che gli americani per mantenere il loro stile di vita facevano mutui per le case ed accedevano al credito al consumo per l’acquisto di ogni tipo di altro bene. L’economista evidenziava, altresì, che prima o poi i nodi sarebbero venuti al pettine, i debiti avrebbero dovuto essere ripagati e la bolla sarebbe scoppiata. Quindi l’avevano detto, forse non c’era nessuno che ascoltava!

  7. Luciano

    Credo vi sia un problema di fondo. Le previsioni sono, in realtà, intrinsecamente inattendibili. Se così non fosse i loro autori non le renderebbero di pubblico dominio, un gesto di grande generosità. Se le informazioni venissero riservate per un uso pecuniario privato, il ritorno per chi le fa sarebbe notevole e gli investimenti eseguiti in accordo con tali previsioni darebbero profitti certi. Una volta conseguita tale perfetta certezza il sistema, come lo conosciamo oggi, cesserebbe di esistere.

  8. RdG

    Comunque, di solito, c’azzecca più Giavazzi che Sartori.

  9. angelo

    Tutto giusto, tutto vero. L’operazione è perfettamente riuscita ma il paziente è morto. E il paziente chi è? Il popolo bue, sempre. Forse gli economisti dovrebbero mettere qualche volta tra parentesi la loro verginità, dimenticarsi di essere dei gran capitani da plancia di comando, conoscitori del mare e delle sue rotte e piuttosto talvolta bagnarsi e immergere la testa per guardare cosa succede sotto. Chi lo ha fatto, infatti, da tempo segnalava che si stava navigando a tutta, sulla rotta degli iceberg. E’ dimostrato che il comandante del titanic non sbagliò nulla, ottemperò invece perfettamente ai protocolli di comando consolidati e accreditati. Innanzitutto, prevedere non significa sapere quando succederà il patatràc, ma che succederà prima o poi e prima piuttosto che poi. Poi prevedere è il mezzo, prevenire è il fine. L’eco-nomia è una disciplina prescrittiva, della prevenzione. Quando non lo sa fare, ha fallito. Ma a guardare bene le cose, potremmo avere il ragionevole sospetto che gli economisti non abbiano affatto fallito, ma ottenuto proprio quello che volevano. Bolla o crisi sistemica, chi ci guadagna son sempre gli stessi: le navi affondano, ma i sommergibili?

  10. Massimo MERIGHI

    Nel dibattito sugli economisti si dimentica che dal passato possiamo trarre buone indicazioni sul futuro, ma mi dissocio dalla difesa a spada tratta della categoria. Chi non concorda che nell’ultimo decennio c’e’ stata espansione della massa monetaria grazie a bassi tassi, chi non concorda che i salari sono cresciuti meno della produttivita’ e che la differenza e’ andata in profitti aziendali, anni boom per le imprese come sostenuto anche dal rapporto Mediobanca, ma guardacaso questo e’ esattamente cio’ che accadde a partire dal 1920 che ci porto’ dritti al 1929, le radici di allora sono le medesime di oggi, un eccesso di produzione e una riduzione della capacita’ di acquisto, non chiamiamola poverta’. Certo non si chiede agli economisti di essere storici e ricordare quanto sopra, ma stupisce che nessuno se ne sia accorto, provino almeno a porsi delle domande, un esempio: perche’ non si nota che la FED ha smesso di pubblicare l’indice di espansione della massa monetaria M3 da Marzo 2006 senza destare stupore o dubbio? Che forse tale numero nasconda sorprese sgradite, questo gli economisti dovrebbero fare, scavare in profondita’ porsi quesiti di non sempre immediata lettura!

  11. hominibus

    Essi non sono criticabili nelle previsioni o nei metodi di soluzione, ma nelle premesse della loro attività di pensiero, dove non mostrano la necessaria onestà contabile, da condominio. Come mai non denunciano, come vera causa del disastro provocato dai mutui subprime, il dualismo fiscale tra reddito, specialmente da lavoro, e patrimonio mobiliare ed immobiliare? Se avesse funzionato un fisco equilibrato sugli immobili, i mutui sarebbero stati contenuti secondo previsioni di mercato ed i prodotti derivati avrebbero conservato la solidità e congruità del riferimento sottostante. La colpa, quindi, é del fisco benevolo verso la ricchezza immobiliare.

  12. T. Gennari

    Ovvio che prevedere la crisi dall’Italia era difficile, perche’ l’Italia e’ una "provincia" dell’economia mondiale. Pero’ era cosi’ ovvio che non era un problema del se, ma del quando, che in effetti gli economisti mainstream devono pur prendersi qualche colpa. Per esempio, e’ possibile che una economia come quella USA possa sopportare uno "sbilanciamento" dell’import-export cosi’ forte per cosi’ tanto tempo? Tornando all’ABC dell’economia era evidente che qualcosa da qualche perte doveva pur accadere. Io penso che l’eccesso di denaro circolante che ha causato la crisi e’ un effetto sistemico appunto della tensione nel consumo e nella produzione a livello mondiale innescato dal’eccessivo consumo USA in rispetto alla sua capacita’ produttiva.

  13. f.zeta

    In meccanica si possono fare previsioni sulla futura posizione di un punto se si conoscono la posizione ad un determinato istante e le forze che agiscono su di esso. In economia si dovrebbe poter fare una cosa analoga: note la situazione economica ad un determinato momento e le forze (economiche) in gioco si dovrebbe poter fare una previsione corretta. Ma qui le forze in gioco non sono mai tutte note (sono troppe!) ed è anche difficile conoscere esattamente la situazione in un momento determinato.La previsione economica corretta -quando c’è- è in parte il risultato di una (fortunata?) intuizione non il risultato di una previsione scientifica, anche se sono stati utilizzati metodi matematici.

  14. Paolo Casillo

    Non posso che concordare con Luigi Guiso: ho letto con sommo dispiacere gli editoriali di Sartori. Non sono un economista né ho fatto studi economici: mi è dispiaciuto perché vedere violentata la logica da una persona colta e intelligente come il prof. Sartori mi infonde profonda tristezza. Significa ignorare i principi stessi che sono alla base della cultura scientifica; mi spiace che il prof. Sartori li ignori e mi spiace come nessuno al Corriere glielo abbia fatto notare.

  15. Paolo Ermano

    Egr. prof. Guiso, purtroppo, per quanto di parte, sono anch’io un seppur giovane economista, non posso che dar ragione al prof. Sartori. E’ vero che, come lei dice, quando i progetti come il piano Paulson o i progetti europei sono stati messi al vaglio degli economisti questi hanno prontamente fornito una loro previsione, ma e’ altrettanto vero che negli ultimi anni l’agenda della scienza economia non pareva rivolta a guardare in faccia i rischi di una possibile crisi, chissa’ forse perche’ allora non era giudica grave: basta andarsi a leggere gli indici delle piu’ importanti riviste internazioali per rendersene conto. Un conto e’ prevedere e un conto e’ il voler prevedere: Cassandra era costretta a prevedere, l’economista no. La crisi attuale non e’ nata l’altro giorno, anzi e’ conseguente a squilibri che anno radici, almeno in termini finanziari, relativamente lontane. Eppure, a mio modesto parere, molti di noi guardavano da altre parti come se non fosse un problema importate. Ecco perche’ e’ giusto chiedersi dov’erano gli economisti.

  16. Stefano Cardini

    Dare eccessivamente addosso agli economisti è sbagliato. Da cittadino, padre di famiglia, semplice lettore dei giornali, tuttavia, sono rimasto un po’ sconcertato dal fatto che, di fronte a quello che sta accadendo, economisti autorevoli si siano dati a una difesa d’ufficio delle ragioni completamente "astratte" del mercato con argomenti che più che alla scienza economica sembravano attingere agli "adagi" popolari o all’antipolitica (le vacche grasse e le vacche magre… il bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto… fatta la legge, trovato l’inganno… se soltanto non avessero messo quel tipo in quel ruolo…). A me, comune cittadino, più che i mea culpa di Sartori, sarebbero interessate analisi approfondite, repliche meno stizzite e più prudenti, che ci aiutino a riflettere sulla natura complessa e fragile del mondo in cui ci muoviamo. Se oggi si rimprovera molto agli economisti, è anche perché si è dato loro molto credito in questi anni (spesso strumentale, a dire il vero, ma comunque ottenuto). Onori che oggi sono diventati oneri. Una epistemologia della scienza economica più critica, avrebbe forse dovuto indurre tutti a essere più cauti. Economisti inclusi.

  17. Andrea Nervegna

    Greenspan è stato un Maestro o no? Lo era prima e adesso non lo è più? Non lo è mai stato? Lo è ancora? Dopo l’11 settembre, la sua politica monetaria è stata troppo accomodante? Ma lo si sapeva prima? O lo si sa solo adesso? Si poteva nel 2003 o 2004 esprimere un giudizio imperituro sulla politica monetaria della Fed? Si o no? Se no perché lo si esprimeva?

  18. Luca

    Che piacere leggervi. Che piacere e mi riferisco a tutti i vostri articoli. Grazie per il vostro lavoro e soprattutto per il fatto che lo mettete a disposizione di tutti. Complimentoni!

  19. Luigi Di Gaetano

    Sono un giovane economista (almeno spero possa definirmi tale) e non sono affatto d’accordo con queste critiche, molti scritti hanno focalizzato l’attenzione sugli atteggiamenti del mercato (bolla immobiliare, disavanzo della bilancia dei pagamenti USA sempre più grande, disavanzo del [conto gemello] debito pubblico USA, etc.) naturalmente era impossibile prevedere una tale crisi ed eventualmente dare una data. Vorrei chiudere con questa osservazione: in questi giorni l’Islanda è sull’orlo di una terribile crisi economica che è stata ampiamente prevista, vi invito infatti a leggere un articolo di questo stesso sito di Thorvaldur Gylfason del 29.04.2008 intitolato "Il Vulcano Islanda". Quindi come si vede gli economisti tentano di prevedere cosa accadrà ma a volte le variabili da controllare sono tali e tante da non poter definire con certezza cosa accadrà.

  20. Gabriele Andreella

    Caro proferroe, vuole veramente farci credere che gli economisti si sono impegnati tanto e tuttavia, sfortunatamente, non ce l’hanno fatta? Questa auto-assoluzione è inaccettabile. Non perchè essi non abbiano delle attenuanti (ed è vero che prevedere esattamente quando sarebbe scoppiata la bolla era difficile), ma perchè la vera colpa non è la loro presunta incapacità, bensì la loro chiusura in un mondo comodo, in buona compagnia di politici e banchieri. Perchè di studiosi fuori dal coro ce n’erano, e avevano ragione, e venivano trattati dall’establishment come dei catastrofisti, dei terroristi finanziari, degli appestati. La Grande Colpa è questa: quella sorta di neopositivismo capitalista che ammorba il mondo occidentale e che pare non voler mollare le redini neanche ora che ha fallito.

  21. Armando Pasquali

    Che ormai gli economisti non siano più credibili presso le persone colte e informate è un atto. Come ci si è arrivati? Non solo a causa della recente crisi finanziaria. E’ da diversi anni, da quando il "pensiero unico" si è imposto a livello globale, che l’economia ha cessato di essere una scienza per diventare intrattenimento: tutto va bene, vietato disturbare il manovratore. Prendiamo ad esempio Krugman, il quale recentemente ha ammesso che gli scambi commerciali danneggiano certe categorie di lavoratori. La cosa non dovrebbe destare sorpresa, perché è prevista dalla teoria. Eppure Krugman anni fa scrisse un orrido libretto, intitolato "Un’ossessione pericolosa", in cui non solo affermava il contrario – assieme ad altre sciocchezze non dimostrate – ma irrideva chi non la pensava come lui. Che cosa gli ha fatto cambiare idea? I dati di fatto che si sono accumulati negli anni. Krugman rappresenta il prototipo dell’economista oggi: rivolto al passato, avulso dalla realtà (i peggioramenti delle condizioni di vita di ampi strati sociali lo lasciano indifferente), sempre scavalcato dagli eventi, costretto a ripete le stanche formule dell’economia neoclassica: il mercato provvederà.

  22. AdF

    Un problema che emerge con questa ennesima ma più grave crisi economica "da esplosione di bolle" è secondo me relativo al ruolo degli economisti nella nostra società. Gli economisti vengono usati da più parti come strumento per creare consenso o almeno quiescenza a supporto delle politiche economico-finanziarie decise dai grandi gruppi di potere (multinazionali, finanzieri, banche, politici, imprenditori) a scapito degli interessi dei comuni cittadini, della crescita stessa delle nazioni e della sopravvivenza dell’ambiente. Gli economisti "famosi" soprattutto, a capo di grandi istituzioni pubbliche supportano le scelte dei gruppi economici più forti, nei media si inventano spiegazioni o previsioni fantasiose per giustificarne le azioni, nei governi lasciano loro mano libera o addirittura li aiutano con denaro pubblico. In cambio ricevono riconoscimento, potere, stipendi e ruoli dirigenziali. Alcuni economisti meno in vista, magari studiosi universitari o semplicemente più onesti, fanno a volte analisi alternative, ma spesso timidamente perché andare contro il "credo" economico prevalente è eresia. A scanso di equivoci, i media li ignorano. La difesa d’ufficio quindi, ha senso?

  23. Romano

    Parlo per esperinza personale, credo che chi fa le previsioni di fatto si metta nella condizione di sbagliare, sta a chi usufruisce delle medesime darsi cultura e strumenti per scegliere. Alcune regole sono fondamentali, quando tutti indicano un medesimo percorso bisogna dubitare, nulla prosegue all’infinito non si cresce sempre non si cala ad oltranza, sceglire target credibili e non investire da golosi, i golosi in astineza mangiano qualsiasi cosa.

  24. carlo simeone

    In effetti, tutti forse hanno un po’ ragione e, al tempo stesso, un po’ torto. Perchè si ritiene che l’economia sia una scienza esatta. Perchè, talvolta l’economia, quella applicata alla finanza, è stata percepita come la chiromanzia. Perchè, ancora oggi, si chiede all’economia di risanare taluni aspetti della politica e della pubblica opinione che si chiamano, per la prima capacità e coraggio, per la seconda fiducia. A questo proposito, riporto solo i concetti espressi tanto tempo fa da Keynes e da Galbraith e che oggi sono particolarmente di attualità. Sorge spontanea una domanda (provocatoria): c’è qualche economista capace di trovare la ricetta adatta per la crisi attuale? Questa domanda, in verità, introduce altri elementi di ragionamento che per alcuni versi coincidono con alcune conclusioni di Amartya Sen, a proposito della confluenza dell’economia nella filosofia per raggiungere il bene comune. Considerato lo spazio a disposizione, potremmo anche concludere che sul banco degli accusati non è solo l’economia, quella predittiva e non quella che spiega la ragione di taluni fenomeni, ma soprattutto la politica. La politica, in particolare, che non compie scelte.

  25. Ezio Pacchiardo

    Non sono economista ma ho sempre lavorato nelle previsioni del business. Tutto quanto scritto nei vari commenti dimostra che il sistema economico è un sistema molto complesso. Fare previsioni attendibili in un simile ambiente richiede di considerare il massimo numero di variabili, conosciute e ipotizzabili, e valutare come al variare di queste, singolarmente e in combinazione tra loro, cambi il risultato finale. Meno variabili si considerano o più di queste vengono tenute fisse e più elevato è il rischio di errore. Inoltre, dal punto di vista individuale, chi fa previsioni sviluppando e proponendo delle “ipotesi” è sempre soggetto a rischio personale (Cassandra insegna), mentre dal punto di vista tecnico è più concreto correre ai ripari per ciò che nella realtà succede che non sviluppare tante ipotesi di cui poi solo alcune e magari in parte si realizzano. Con ciò non sostengo che le previsioni non si devono fare, ma dobbiamo conoscerne i grossi limiti che queste hanno. Infine, le varie crisi ripetono il modello della “mela” adamitica (aspirazione e previsione, prova, risultato), ma purtroppo questa è la condizione di noi umani.

  26. salvatore acocella

    Di previsioni ne sanno fare pochissime e a brevissimo, data la complessità dei fatti mondiali. La moda di "matemacizzare" inventando algoritmi improbabili e fantasiosi, perdendo il "buon senso" li fa spesso sentire grandi. Un grande economista, volutamente dimenticato perché scomodo, N.Georgescu-Roegen, matematico insigne, non ha mai ritenuto spiegare l’economia – scienza sociale solamente con la matematica: questo gli onesti. Gli altri, prezzolati per fregare, chiamo: grandi mentitori.

  27. Stefano Miccoli

    Segnalo un articolo di J-P. Bouchard, pubblicato su Nature: "Economics needs a scientific revolution" (Nature 455, 1181 (30 October 2008) | doi:10.1038/4551181a; Published online 29 October 2008). L’articolo cerca di capire i motivi per i quali l’economia è incapace di formulare previsioni, al contrario della fisica e dell’ingegneria che hanno mandato con successo l’uomo sulla luna e prodotto energia dalla fissione controllata dell’atomo. Il motivo, secondo l’autore, non è da cercare nella complessità dei sistemi economici ma nell’approccio metodologico. Dopo una descrizione del paradigma falsificazionista basato sull’osservazione empirica nelle scienze fisiche, J-P. Bouchard fa la seguente affermazione. "Unfortunately, such healthy scientific revolutions have not yet taken hold in economics, where ideas have solidified into dogmas. These are perpetuated through the education system: students don’t question formulas they can use without thinking." Capisco troppo poco di economia per giudicare se Bouchard abbia ragione o no: tuttavia la vostra polemica e il tono piccato con il quale Guiso risponde a Sartori, mi fanno propendere per la tesi dell’eccesso di dogmatismo.

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