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IMMIGRAZIONE? NON E’ TUTTO BIANCO O NERO

L’immigrazione è un tema che suscita forti divergenze d’opinione. Per questo è molto usato in campagna elettorale. Alcuni studi sono utili a sfatare diversi miti: ad esempio non è detto che un forte flusso migratorio abbia ricadute su salari e occupazione della popolazione nativa. Altre ricerche aiutano a comprendere la nostra percezione degli immigrati. E illustrano come, in Europa, il dibattito sull’argomento verte soprattutto sugli effetti sociali, mentre, negli Stati Uniti, ci si interessa maggiormente sugli effetti economici.

L’immigrazione è un tema che divide, non soltanto a livello politico. Ad esempio, vi sono poche questioni su cui esiste un divario così ampio tra l’opinione media del pubblico e il giudizio da parte della stragrande maggioranza degli economisti: questi ultimi sono convinti del fatto che un’apertura delle frontiere ai movimenti delle persone produca benefici a livello aggregato, a motivo dell’aumento del potenziale produttivo dell’economia che accoglie gli immigrati. Si dà però il caso che benefici positivi a livello macroeconomico possano nascondere un panorama eterogeneo di vincitori e vinti al livello individuale. In particolare, un afflusso sproporzionato di lavoratori poco qualificati danneggia le prospettive in termini di salario e occupazione dei lavoratori nativi con qualifiche ugualmente basse, in quanto aumenta la concorrenza per un numero di posti di lavoro che nel breve periodo sono dati. Tuttavia, nel medio e lungo periodo la domanda aggiuntiva per beni e servizi creata dagli immigrati potrebbe compensare del tutto questo aumento dell’offerta di lavoro. La questione deve essere dunque risolta dal punto di vista empirico.

SALARI E METROPOLI

Come racconta Roger Lowenstein sul New York Times Magazine, questo dibattito è esemplificato dalle diverse posizioni di George Borjas e di David Card (1). Secondo Borjas l’evidenza a livello aggregato mostra come negli USA durante gli anni ’80 e ’90 l’immigrazione di individui con basse qualifiche abbia aumentato la differenza tra i salari dei laureati e di chi non ha completato gli studi superiori di almeno il 5 per cento: un effetto non immenso, ma sostanziale. Al contrario, Card prende in esame un caso specifico, quello dei cosiddetti “Marielitos”, i 125.000 rifugiati cubani che nel 1980 sono approdati a Miami, dopo che Castro aveva inaspettatamente aperto le frontiere. Questo episodio assomiglia ad un esperimento in ambito sociale, poiché le cause dello sblocco improvviso delle frontiere a Cuba poco o nulla avevano a che fare con le condizioni sul mercato del lavoro negli USA.
Card confronta le dinamiche di salari e occupazione a Miami con quanto avvenuto in altre città USA, comparabili per composizione etnica e dimensioni, ma non oggetto di un flusso simile di nuovi immigrati. Se è vero che a Miami è cresciuta la disoccupazione tra gli immigrati cubani precedenti, i salari e l’occupazione degli altri gruppi di lavoratori non qualificati non hanno praticamente risentito del maggior flusso di immigrati: l’economia della città è riuscita ad assorbire un aumento complessivo del 7 per cento della forza lavoro.
Come rinconciliare i risultati a livello aggregato di Borjas con l’esperimento naturale studiato da Card? Innanzi tutto, la mobilità dei lavoratori tra le diverse città degli USA potrebbe avere contribuito in maniera determinante ad assorbire il flusso di immigrati, inizialmente concentrato a Miami: sia i lavoratori immigrati che quelli nativi hanno la possibilità di spostarsi in altre città, cosicchè l’effetto dell’immigrazione sui salari e sull’occupazione “si spalma” sull’intero territorio USA. Ciò giustifica dal punto di vista empirico un’analisi aggregata a livello nazionale come quella proposta da Borjas.
L’effetto deprimente sui salari dell’immigrazione dipende in maniera cruciale dal fatto che lavoratori nativi ed immigrati, simili per livello di istruzione ed esperienza, siano facilmente sostituibili tra loro, ovvero si facciano concorrenza per gli stessi impieghi. Ma si potrebbe anche pensare che nativi ed immigrati, pur accomunati dallo stesso livello di istruzione ed esperienza, offrano in realtà tipi di lavoro diversi, che presentano un qualche grado di complementarietà. Se ciò è confermato dai dati, come suggerisce un recente lavoro di Gianmarco Ottaviano e Giovanni Peri (2), l’immigrazione ha un effetto deprimente che si concentra sui salari degli immigrati precedenti.
Che dire del caso italiano? Andrea Gavosto, Alessandra Venturini e Claudia Villosio (3) mostrano come l’immigrazione in Italia – nel periodo che va dal 1986 al 1995 – sia correlata con un aumento dei salari per i lavoratori manuali nativi, ovvero sembra esservi un nesso di complementarietà tra i due gruppi.

ISTRUZIONE E CRIMINALITA’

Ma in Europa, a differenza di quanto accade negli USA, il dibattito sull’immigrazione si focalizza maggiormente sugli effetti sociali di questa. A questo proposito, un recente lavoro di Milo Bianchi, Paolo Buonanno e Paolo Pinotti (4) cerca di identificare – sulla base di dati sull’Italia– gli effetti dell’immigrazione sul tasso di criminalità. Dal punto di vista empirico gli autori sfruttano il fatto che gli immigrati provenienti da un certo paese tendono a stabilirsi dove vi è un nucleo preesistente proveniente da quello stesso paese: nel momento in cui uno shock negativo colpisce quel dato paese aumentando il flusso di persone che emigrano, tale aumento dell’immigrazione si concentrerà nelle aree con nuclei preesistenti di immigrati. In questo modo gli autori costruiscono una sorta di esperimento naturale ed evidenziano come il flusso di immigrati aumenti il numero di omicidi e rapine.
Dal punto di vista politico, gli effetti economici e sociali dell’immigrazione creano problemi seri di consenso alla coalizione di centro-sinistra, tradizionalmente schierata su posizioni “aperturiste”. Secondo la teoria economica, i lavoratori con scarso livello di istruzione e qualifiche professionali basse sono il gruppo che potenzialmente risente in termini più negativi dell’afflusso di immigrati con caratteristiche simili. Questi stessi lavoratori hanno rappresentato per lungo tempo un blocco di voti importante per i partiti di centro-sinistra, ma sono forse i primi a spostarsi verso il centro-destra, quando il tema dell’immigrazione diviene saliente, innescando paure vere e presunte.

(1) Roger Lowenstein, “The Immigration Equation”, New York Times Magazine, 9/7/2006
http://www.nytimes.com/2006/07/09/magazine/09IMM.html
(2) Gianmarco Ottaviano e Giovanni Peri, “Immigration and National Wages: Clarifying the Theory and the Empirics”, mimeo:
http://www.econ.ucdavis.edu/faculty/gperi/Papers/OP_redux_july_2008.pdf
(3) Milo Bianchi, Paolo Buonanno e Paolo Pinotti, “Do immigrants cause crime?”, mimeo, Paris School of Economics: http://www.pse.ens.fr/document/wp200805.pdf
(4) Andrea Gavosto, Alessandra Venturini e Claudia Villosio, “Do Immigrants Compete with Natives?”, Labour, 13(3): 603-621.

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EPISODIO V: LE ASPETTATIVE COLPISCONO ANCORA

  1. antonio p

    Mi fanno piacere tanti riferimenti all’USA, ma dimentichiamo che gli italiano sono sempre" DIVERSI" dagli USA e dagli altri Europei. Ha mio avviso, in Italia, gli immigrati sono carne da cannone o schiavi dei poteri forti a cui si accodano i partiti socialmente predisposti alla chiesa bianca e rossa a cui, per motivi completamente diversi, non costa nulla il pietismo o buonismo a carico del cittadino qualunque che paga tutti i loro desiderata o almeno dovrebbe.

  2. Stefania Sidoli

    Credo sia evidente ormai in Italia una duplicità di approccio nei confronti dell’immigrazione: se è conveniente e non interferisce con le sicurezze che abbiamo acquisito va bene; se vuole inserirsi a pieno titolo nel nostro mondo allora è vista come un pericolo da combattere. La badante che ci sostituisce nell’assistenza ad un familiare non autosufficiente ed in quell’ambito circoscrive la sua presenza è necessaria ed insostituibile. L’immigrato che lavora,è inserito nella società in cui noi viviamo, manda i figli nella medesima scuola dei nostri, rivendica i suoi diritti – dalla casa al voto – rappresenta un potenziale pericolo perchè indebolisce il nostro ruolo sociale e le nostre certezze economiche. Mi rendo conto che la lettura è per necessità semplicistica, ma credo sufficientemente vicina al vero. A questo si aggiungono certa stampa e televisione che, in modo spesso strisciante,rendono questo timore sempre più reale.E più difficile e complesso l’affrontare i problemi che si frappongono alla costruzione di un’integrazione sempre più necessaria e quelli che spesso contrappongono i diritti degli immigrati a quelli della parte più debole della popolazione italiana.

  3. Gianni Alioti

    Mi è capitato di leggere in questi giorni un capitolo del libro di Hannah Arendt "La vita della mente" edito da Il Mulino nel lontano 1987. C’è un periodo che di seguito voglio condividere, che mi ha fatto riflettere su quanto le nostre società si stanno allontanando dai principi autentici di libertà e scivolando su un piano inclinato verso logiche autoritarie, in cui la parola libertà è usata sempre più come un surrogato dell’idea. La Arendt scrive "Secondo l’etimologia greca, cioè secondo l’autointerpretazione dei Greci, la radice della parola che designa la libertà, eleutheria, e’ eleuthein hopos ero’, "andare cosi’ come desidero", ed è fuori di dubbio che la liberta’ fondamentale venisse intesa come liberta’ di movimento. Una persona era libera se poteva muoversi come desiderava; non l’Io-voglio, ma l’Io-posso costituiva il criterio discriminante".

  4. Fiorenzo

    Ringrazio Riccardo Puglisi per l’interessante rassegna. Penso però che sarebbe utile iniziare a fare, anche in Europa occidentale, studi sui rapporti tra l’immigrazione da una parte e l’occupazione ed i salari degli autoctoni dall’altra parte che non siano condizionati dal pregiudizio che l’immigrazione non nuoccia economicamente a questi ultimi. Naturalmente bisognerebbe che tali studi partissero anche da stime dell’immigrazione clandestina. La sensazione dei lavoratori autoctoni di essere loro a pagare le spese dell’immigrazione mi sembra che, dal punto di vista teorico, benefici anche del riverito teorema del pareggiamento di Stolper-Samuelson sul pareggiamento internazionale dei prezzi dei beni e dei fattori di produzione. Aggiungo che gli immigrati sono feroci competitori degli autoctoni non solo sul mercato del lavoro ma anche in sede di ripartizione dei sempre più scarsi servizi messi a disposizione dal Welfare State (penso, per esempio, agli asili-nido ed alle case popolari).

  5. Marco Maggi

    Se si vuole tentare una descrizione "empirica", forse occorrono piú dati di partenza sull’effetto dei flussi migratori negli ultimi 30 anni, perché occorre tener conto di tutti i fattori. Qual’è la densità di popolazione? Quante risorse naturali procapite sono a disposizione? Con quanta intensità vengono sfruttate? Qual’è la posizione del territorio in oggetto sul mercato internazionale? Quanto è forte la moneta? Fra 40 anni quanto lavoro occorrerà per pagare la pensione anche ai nuovi arrivati? Quanto può contribuire ai consumi un lavoratore che percepisce uno stipendio del 20 o 30% inferiore alla media nazionale?

  6. stefano delbene

    Sarebbe finalmente l’ora di smetterla a parlare del problema della criminalità senza accostarlo a quello della marginalità. A quel punto si potrebbe finalmente affrontare l’immigrazione associando questi due concetti, affrontando con razionalità un fenomeno che ha sempre fatto parte della storia dell’Umanità. Ben vengano quindi questi tipi di analisi, anche se mi resta un dubbio: forse per l’Italia il fenomeno dell’immigrazione è troppo recente e quindi mancano dati di lungo periodo che ci consentano di fare veri confronti fra in i vari aspetti (marginalità, criminalità, clandestinità, regolaritaà, etc).

  7. Alfonso Salemi

    Se avessi un’impresa di costruzioni (as esempio di strade) utilizzerei una quota di immigrati presenti in Italia per costruire le nostre strade, poi, con maestranze ben formate, andrei a costruire l’autostrada della Libia (1700 km). Otterrei vari risultati positivi: 1 – costruzione delle nostre strade a minor costo 2 – un futuro migliore agli immigrati (che non dovrebbero più rischiare la vita per venire da noi) 3 – riduzione sensibile della presenza di immigrati disperati in Italia 4 – apertura di nuovi mercati in Libia (applicabile a qualunque altro paese extracomunitario) 5 – creazione di un "indotto" di enormi dimensioni 5 – Buoni guadagni per l’azienda Qualcuno ci ha gia già pensato?

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