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OMONIMIE IN CATTEDRA

Da qualche tempo siamo tormentati da docenti della Sapienza che pensano di avere trovato delle falle nel libro di Perotti e nell’ articolo di Boeri su Repubblica sul familismo nell’università. Finora sono solo riusciti a imbarazzare se stessi, e i professori Mei e Panconesi (la cui lettera è riportata qui sotto) nella lettera indirizzata a lavoce non fanno eccezione.
 Mei e Panconesi  ipotizzano   che non ci rendiamo conto di un fatto elementare, che capirebbe anche un bambino di 10  anni: il tasso di omonimia nell’ intera popolazione italiana deve essere  praticamente  il 100 percento (quasi tutti hanno almeno un omonimo nell’ intera   popolazione).  Se però avessero letto con attenzione l’articolo e,
soprattutto, il libro,  scoprirebbero che i nostri risultati non soffrono di questo problema. E soprattutto scoprirebbero che i dati alternativi che essi forniscono sono grossolanamente errati, e scaturiscono da una macroscopica  mancanza di comprensione delle procedure utilizzate nel libro di Perotti. 
Il tasso di omonimia in una determinata facoltà di Medicina  è definito in due modi alternativi: come la probabilità che un docente in quella facoltà abbia almeno un altro collega  con lo stesso nome nella sua stessa facoltà (“indice 1”), oppure nelle altre facoltà di Medicina della Regione (“indice 2”). Prendendo due facoltà a caso, alla Sapienza questi tassi di omonimia  sono rispettivamente del 21 e 30 percento, a Messina del 33 e 38 percento.
Le stesse statistiche per la Bocconi sono il 3 e 9 percento, rispettivamente. Mei e Panconesi sostengono, invece, che il tasso di ominimia per la Bocconi è del 40 percento. Come è possibile che siano incorsi in un infortunio così imbarazzante?  Ovviamente  non hanno compreso la definizione utilizzata nel libro di Perotti, ammesso che l’abbiano letto. Sospettiamo che essi calcolino il  tasso di omonimia per la Bocconi prendendo a universo di  confronto TUTTE le facoltà di TUTTE le università lombarde, ma ovviamente dei pasticci altrui è meglio chiedere conto direttamente agli autori.
Ma Mei e Panconesi non si fermano qui. Sostengono (come, ripetiamo, comprenderebbe anche un bambino di 10 anni) che sia inevitabile trovare un grado di omonimia più alto in un campione casuale più ampio. Ma il punto è precisamente che i campioni non sono casuali! Se avessero guardato la Tabella 4 del libro (pag.58), avrebbero notato che alcuni fra gli indici più alti si registrano nelle facoltà più piccole. E avrebbero notato che l’ indice 2 della Bocconi,  basato su di una popolazione di circa 700 docenti di Economia in Lombardia,  è poco più di un quarto dell’ indice 1 di Medicina di Messina, che pure è basato su una popolazione di docenti inferiore.
Vi è un metodo assai semplice per dimostrare formalmente tutto questo, così come per rispondere ad una diversa possibile obiezione alla nostra definizione (che però Mei e Panconesi, nella loro foga distruttrice,  ignorano completamente): se per motivi storici o culturali in Sicilia o in Lazio vi fossero molti meno cognomi che in Lombardia, sarebbe più facile trovare omonimie nelle prime che nella seconda. Ovviamente sappiamo che differenze così enormi come quelle evidenziate non possono essere spiegate da questo fattore, ma per eccesso di zelo, in un lavoro accademico in progress di Perotti con altri coautori (Durante, Labartino e Tabellini), abbiamo calcolato il nostro indice di omonimia ponderando la frequenza dei cognomi che si ripetono più di una volta per la frequenza relativa degli stessi cognomi in vari bacini di riferimento, quali la provincia, la regione etc.  (Tecnicamente, la soluzione consiste  nel creare una distribuzione  artificiale. Chiediamo al computer di estrarre a caso dalla popolazione di riferimento un sample di individui pari al numero di professori in una certa  unita’ accademica, e di calcolare l’indice di omonimia  corrispondente. Ripetendo la procedura per 100.000 volte  e registrando ogni volta il valore assunto dall’indice di omonimia, otteniamo alla fine una distribuzione dei valori simulati rispetto alla quale possiamo confrontare il dato osservato nella realtà e calcolare quanto sia statisticamente significativo). Con questa procedura, ecco alcuni valori  secondo la prima definizione (omonimie all’interno della stessa facoltà) quando il bacino di riferimento dei cognomi è la provincia.

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In TUTTI i casi tranne la Bocconi, l’ipotesi che l’indice empirico possa derivare da un processo puramente casuale è rigettata (con p-value generalmente molto alti). Inoltre, il nostro indice non presenta alcuna distorsione in relazione al numero di docenti: alcune facoltà molto piccole presentano infatti indici molto più alti che altre ben più
grandi. Si noti per esempio Veterinaria a Messina: con soli 65 docenti, ma con un indice di omonimia riferito alla stessa facoltà che raggiunge un incredibile 50 percento: metà dei 65  docenti ha almeno un collega con lo stesso cognome!
Tutta l’operazione di Mei e Panconesi  si commenta dunque da sè, così  come il sarcasmo degli autori, che meriterebbe una causa migliore. In versioni precedenti della loro lettera, inviate a giornali e siti web, Mei e Pancanesi parlavano infatti del paradosso "Boeri-Perotti", che essi pensavano di avere scoperto, come un ottimo strumento didattico, da utilizzare con i propri studenti per insegnare loro come non si fa ricerca; liberissimi di farlo, ma  se fossimo fra i loro studenti cercheremmo  un altro
ateneo quanto prima.
Ma il vero paradosso e’ quello di  "Mei-Panconesi": come e’ possibile  che  ordinari dell’ università più grande d’ Europa perdano il loro tempo per  operazioni di disinformazione così maldestre? Ripetiamo quello che uno di noi  ha  scritto a un vostro collega, impegnato in una simile operazione di discredito,  risoltasi anch’ essa  in una figuraccia imbarazzante per il suo autore: il vostro tempo sarebbe stato molto meglio speso se  vi foste dissociati  pubblicamente dalla scandalosa elezione del rettore Frati. Bastava un minuto e una riga, una sola riga.

 

IL TESTO DELLA LETTERA INVIATA DA ALESSANDRO MEI E ALESSANDRO PANCONESI

Gentile Redazione

Qualche giorno fa è apparso su La Repubblica un articolo che riportava dati apparentemente eclatanti sul nepotismo nelle università italiane: "A Messina quasi il 40 per cento dei docenti (sì, proprio 4 su dieci) ha un omonimo in qualche università della Regione. A Napoli (Federico II e Seconda Università) si viaggia attorno al 35% di omonimie, a Roma (Sapienza, Cattolica e Tor Vergata) non si scende sotto al 30 per cento." L’articolo portava la firma del prof. Boeri che riportava un’analisi del prof. Perotti, suo collega alla Bocconi.

In realtà l’unica cosa impressionante di questi dati è il fatto che si basano su un errore piuttosto grossolano. Innanzitutto, utilizzando la stessa "metodologia" risulta che, analogamente allo "scandaloso" caso dell’università di Messina, circa il 41% dei docenti della Bocconi ha un omonimo tra le università della stessa regione. Rimanendo in Lombardia, il dato per la Statale di Milano sale al 47%. Che il grado di nepotismo della Bocconi e delle altre università lombarde sia addirittura superiore a quello della vituperata Sapienza? Può darsi. Il problema è che è impossibile scoprirlo con la "metodologia" Boeri-Perotti.

Anche chi è completamente a digiuno di matematica può iniziare ad intravedere il grossolano errore chiedendosi quante sono le persone che hanno un cognome unico in Italia, un cognome cioè che non ha nessun altro: Perotti? Difficile. Boeri? Neanche a dirlo. Mei? Ma vah! Neanche un cognome raro come Panconesi è unico. I casi di omonimia per un insieme grande come la popolazione italiana saranno quasi il 100%. Prendendo un insieme molto più piccolo come la popolazione di Milano la percentuale di omonimia continuerà ad essere vicina al 100%. Considerando insiemi via via più piccoli il tasso di omonimia deve iniziare a scendere. Viceversa, se non lo fa, esso può essere considerato il sintomo di qualcosa di anomalo. Ma quanto deve essere piccolo questo insieme affinchè il tasso di omonimia del 41% della Bocconi possa considerarsi sospetto? Il punto è che gli insiemi considerati da Boeri e Perotti sono statisticamente enormi e il tasso di omonimia risultante non è significativo. Questo lo si può vedere facendo un po’ di conti, ma l’esempio della Bocconi dovrebbe essere convincente, se non altro per i due diretti interessati!

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In realtà questo fenomeno apparentemente sorprendente è ben noto a chi si occupa di calcolo delle probabilità e va sotto il nome di "Paradosso del Compleanno".

Da un punto di vista più generale queste analisi si inseriscono nel contesto di una campagna denigratoria contro l’università. Tanto per essere chiari, riteniamo l’università italiana una catastrofe di cui La Sapienza, l’università nella quale lavoriamo, ne è un esempio particolarmente eclatante, ma attenzione!
L’università italiana non è tutta uguale e l’attuale rappresentazione mediatica è un po’ come se si parlasse dei problemi del Nord-Est raccontando quello che succede a Napoli o in Valle D’Aosta.  
Analogamente, quello che accade a medicina non può essere considerato rappresentativo di realtà come informatica, fisica o matematica, discipline che, pur con le loro magagne, sono mondi diversi e che, per inciso, nel loro complesso sono allineate con i migliori standard internazionali.

Quello che vorremmo far notare è che se si denigra in modo indifferenziato, prendendo gli esempi più eclatanti come rappresentativi di una realtà molto più variegata, non solo non si rende un gran servizio alla verità, ma si danneggia ulteriormente la parte buona dell’università. Nonostante il contesto infrastrutturale deplorevole, l’università italiana ha al suo interno un notevole patrimonio di eccellenze, scandalosamente sotto-finanziate, basandosi sulle quali il sistema potrebbe iniziare ad essere bonificato. Spesso queste persone, oltre a fare ottima scienza, sono in prima linea in una battaglia interna per migliorare l’università come istituzione. Campagne come quella in atto non fanno altro che indebolire ulteriormente la loro posizione.

Sarebbe, crediamo, molto più utile dare una rappresentazione mediatica di questi sforzi e di queste eccellenze, che non sono poi così sporadiche come si vorrebbe far credere, e chiediamo ai colleghi Boeri e Perotti e ai giornalisti interessati al miglioramento della nostra società di darci una mano in questo. La cosa avrebbe se non altro il merito di orientare l’opinione pubblica e soprattutto gli studenti dalla parte giusta. In caso contrario ne risulterà solo un folle e irresponsabile gioco al massacro.

Cordialmente

Alessandro Mei – Alessandro Panconesi
Docenti di informatica
Sapienza Università di Roma

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22 commenti

  1. Alessandro Spinelli

    Molto, molto interessante questa analisi statistica. Sarebbe veramente bello vederla applicata a tutte le facoltà (anche se mi rendo conto che sarebbe un lavoro enorme), e vedere se ci sono settori disciplinari che sono particolarmente anomali, al di là della specificità (leggi: clientelismo) di qualche ateneo. La mia limitata esperienza personale suggerisce di sì, ma ovviamente senza alcuna significatività statistica.

  2. p.b.

    Confesso di non aver ancora acquistato il libro in questione. Ma, se comprendo bene la diatriba in corso, Mei e il suo collega sbagliano calcolando un tasso di omonimia fra *tutte* le discipline scientifiche, mentre il calcolo dell’omonimia "intra-disciplinare" sarebbe l’indicatore corretto da usare volendo stigmatizzare il familismo interno alle varie discipline. Se è così, concorderei con la sostanza della risposta di Boeri e Perotti. Osserverei comunque che Mei e collega colgono comunque una questione inerente alla diseguaglianza sociale tipica di questo paese: se i docenti italiani (inutile insistere su quelli della Bocconi in particolare) hanno molti parenti in altre università e discipline sul territorio, ad emergere forse è anche un problema di selezione di classe sociale interna all’università italiana. O sbaglio? Insomma, mi piacete sempre, ma forse-forse mi piacete di più quando restate sul merito. Che anche questo non sia disgiunto da una più profonda questione di classe, lo sappiamo. Ma almeno è qualcosa. Con tutta la stima.

  3. Lucandrea Massaro

    Probabilmente l’effetto della "scoperta" statistica degli autori sarà quella di "italianizzare" il familismo con benefici incrociati tra Bari e Bergamo (tanto per dire). Mi auguro da cittadino e da utente che il problema delle raccomandazioni venga risolto in maniera definitivo, per il resto vi seguo con gioia e speranza.

  4. silvia

    Studio alla facoltà di economia e commercio, Università del Salento. Ci sono docenti (in particolare statistica, matematica e informatica) che ci fanno sostenere delle prove scritte senza poterle mai visionare. Ma a che servono? E’ inutile andare ai ricevimenti tanto (caso statistica) non te li faranno mai visionare, se non in sede di esame, dove neanche lì li puoi vedere. Perchè l’assistente del docente, collaboratrice "molto stretta" del docente, ha deciso così. Inoltre, se assisti a qualche appello non puoi neanche parlare, se no sempre quella collaboratrice, ormai diventata associata, non si sa come, grida come una pazza isterica: "silenzio, esci fuori". E se le rispondi: "no è un mio diritto stare qui" ti chiama maleducata e ti punta, tanto da vendicarsi in sede d’esame, scegliendoti un esercizio fuori programma. Bastardi! Come se non bastasse, il titolare di cattedra ti insulta, chiamandoti ignorante, presuntuoso, che l’università non è per tutti. Sembra che sia penalizzato chi studia. E un po’ per conservare potere ti fanno studiare materie inutili per anni interi. Insomma questa università si deve cambiare. Questa fabbrica di ignoranti.

  5. RAIMONDO

    Dopo anni di ricerca scientifica negli USA posso confermare con confidenza al 100% il detto di Mark Twain (ma pare da attribuirsi a Benjamin Disraeli): "There are three kinds of lies: lies, damned lies, and statistics". So, dont waste your time with statisticians, they just invented a good way to be always right! (questa é mia!). In altri termini la statistica è il piú moderno tool per sofisti, basta vedere la metereologia, l’economia, la finanza (ecc.) e capire il livello di ciarlataneria a cui si é arrivati.

  6. paoloc

    Anche per un "profano" in materia come me, leggendo l’articolo, pare che i professori romani abbiano preso una cantonata. A prescindere dai numeri gli scandali degli ultimi tempi ci hanno dimostrato come le statistiche sopracitate non siano lontane dalla realtà, basti ricordare gli scandali che hanno riguardato il rettore dell’università di Bari. E poi una verifica in concreto non è difficile, è sufficiente per ogni ateneo scorgere l’elenco dei nomi dei professori e valutare le parentele. Sarebbe interessante uno studio relativo a tutte le università italiane e anche su base regionale.

  7. Roberto Grossi

    Francamente non capisco perché si debbano lanciare attacchi personali da parte di Boeri e Perotti in una discussione scientifica su dati statistici. Nello specifico, il collega Panconesi non è assolutamente una persona che difende lo status quo nell’Università, anzi posso testimoniare di averlo spesso sentito criticare il sistema attuale (non conosco personalmente l’altro collega Mei). In generale, credo di poter dare una spiegazione sul perché diversi docenti dedicano, giustamente secondo me, del loro tempo alla questione. Arriviamo infatti al punto: in questo momento delicato, ci sono forti pressioni per trasformare le Università in Fondazioni private. Il messaggio che si vuole trasmettere all’opinione pubblica è che il privato sia migliore del pubblico (per chi se lo può permettere). Questa direzione è veramente deleteria, per i cittadini innanzitutto. Ne abbiamo un esempio lampante: paesi che hanno spinto il libero mercato come gli USA e la GB, adesso pompano denaro pubblico nelle banche, ossia nel motore del libero mercato. Riflettiamoci veramente e mi rivolgo ai cittadini: perché mai un ente pubblico trasformato in privato dovrebbe perseguire il bene dei cittadini?

  8. Amedeo

    Concordo con la preoccupazione che esprimente attraverso dati empirici, ma mi sorge solo un dubbio (non ho ancora letto il libro) osservando la tabella che proponete. Conosco una delle realtà citate (ahimè) e il dato mi sembrava sorprendente in negativo. In che modo stimate l’indice di omonimia all’interno di una Facoltà? Quando dichiarate che il 45,77% degli strutturati ha un omonino, di fatto computate due volte i soggetti che presentano il medesimo cognome. Hp:i docenti si chiamano A,B,C,D e A. Ho l’impressione che utilizzando il vostro metodo risulta che il 40% (2/5) dei docenti ha il medesimo cognome, in realtà sarebbe più corretto dire che si ripete il 25% dei cognomi. E’ una curiosità, potrei sbagliarmi e in tal caso me ne scuso.

  9. Carlo Carminati

    Sarebbe stato interessante una tabella di dati più completa, che consentisse di confrontare l’indice di omonimia rilevato con la stima dell’indice di omonimia ‘fisiologico’ che ci si deve attendere su un campione della medesima consistenza numerica. Anzi, l’ottimo sarebbe avere sia il valore atteso che la varianza dell’indice di omonimia (ovviamente calcolati in maniera empirica, su una famiglia di campioni scelti in maniera casuale). PS: vi lamentate di ricevere critiche di persone che non hanno nemmeno letto il libro; ma forse la colpa è -in parte- anche di un lancio giornalistico con sbavature così evidenti da indurre a pensare che l’intero lavoro sia basato su argomenti inconsistenti. Forse anche il prof. Boeri avrebbe dovuto leggere il libro con più attenzione prima di scrivere la recensione.

  10. Antonio C.

    Per non parlare dei generi, cugini ecc. (parenti con cognomi diversi) che, come minimo, bilancierebbero il numero delle omonimie casuali e non legate a parentele. Basterebbe utilizzare criteri oggettivi nei concorsi più che scontrarsi sui metodi statistici.

  11. Enrico Bertini

    Vorrei solo aggiungere un breve commento sulla questione università pubblica o privata citata da Roberto Grossi nei commenti qui sotto. Girando la domanda da lui posta nel commento vorrei chiedere: "… e perché un ente pubblico dovrebbe invece perseguire l’interesse dei cittadini?". Per le buone intenzioni di chi lo governa? Non riesco a capire sinceramente perché ci si illuda che un ente qualsiasi, solo per il fatto di essere pubblico, debba perseguire l’interesse dei cittadini. Questo e’ decisamente un mito da sfatare e che mi preoccupa. Abbiamo così tanti esempi in giro che non riesco a comprendere perche’ questa idea sia cosi’ dura a morire. Nella testa di molti la parola "pubblico" e’ equivalemte a cose come: "giusto", "imparziale", "etico", etc. Ma e’ proprio in strutture pubbliche che si annidano le maggiori ingiustizie e distorsioni dovute al potere di pochi. La bellezza del libero mercato, in ogni campo, è proprio il fatto che perseguendo interessi particolari si possano automaticamente generare benefici collettivi! Non sempre ovviamente, non sempre …

  12. Vince

    Ora, mi sembra che il lavoro di Perotti (che devo leggere) e Boeri stia cercando di spiegare in maniere oggettiva e convincente ciò che tutti, e ripeto tutti, sappiamo benissimo. Il familismo è la rovina dell’università italiana. Devo dire, però, che in linea di principio non mi dispiacerebbe avere nello stesso ateneo due Krugman, aventi la stessa qualità accademica. Quindi, piuttosto che evidenziare le barriere/agevolazioni all’accesso (difficili da eliminare in ambito mafioso), bisognerebbe spingere il legislatore per una valutazione oggettiva degli atenei. Un esempio già noto: obbligo di pubblicazione per esteso dei curriculum (la cui falsa dichiarazione deve comportare il licenziamento, non l’insabbiamento) e graduatoria complessiva di ateneo per impact factor internazionale ponderato delle pubblicazioni, che determina la distribuzione relativa dei fondi pubblici. Ci saranno perdenti e vincitori, anche se credo che in fondo i risultati non saranno tanto dissimili da quelli di Perotti e Boeri.

  13. Vincenzo Antonuccio

    Mi sembra strano che tutti i commenti all’articolo di Boeri ed al libro di Perotti nulla dicano della soluzione proposta da Perotti (mi pare: non ho letto il libro, sono fuori Italia per qualche settimana ancora). Ricordo che la soluzione proposta sarebbe quella di istituire un meccanismo periodico di valutazione, affidato alle Facoltà, che auto-valutano le proprie attività periodicamente, e poi inviano queste valutazioni al Ministero che distribuirà i fondi sulla ase di queste valutazioni. Boeri non lo scrive, ma questo meccanismo non è un’invenzione estemporanea: e’ quello che normalmente adottato nei Paesi europei con un sistema di istruzione superiore prevalentemente pubblico (per es. la Danimarca). E’ vero che funziona: sono le Facoltà stesse a cercare di avere il meglio che ci sia sul mercato, e lo fanno proprio perché temono valutazioni negative. Potrebbe funzionare? Di certo non sarebbe peggiore del sistema attuale. Ma come potrà mai fare un Parlamento nel quale la categoria dei docenti universitari e’ largamente sovra-rappresentata (rispetto ad altri Paesi) promorre une riforma universitaria non "di facciata"?

  14. Marco Reale

    Non ho letto il libro di Roberto Perotti ma lo comprero’ presto. Normalmente sono d’accordo con il suo punto di vista a piu’ del fatidico 95%. Non avendo letto il libro non sono in grado di esprimermi ma mi sembra che nell’argomento di Mei e Panconesi ci sia un errore in quanto almeno che Boeri e Perotti abbiano fatto cose molto bizzarre la differenza del tasso di omonomia dovrebbe essere largamente significativa. Il paradosso del compleanno non ha rilevanza perche’ dovrebbe comunque dare simili risultati per diverse feste di compleanno con stesso numero di festeggianti (a parte possibili motivi etnici accennati). L’unico appiglio potrebbe essere che la Bocconi non sia un valido punto di riferimento …questo dipende anche dal numero di facolta’ considerate e le differenze tra loro. L’interpretazione di questi risultati e’ non banale e non vedo l’ora di leggerla. A parte questa blind review, blind perche’ il referee non ha letto l’articolo, sono dispiaciuto del fatto che Boeri e Perotti si siano fatti trascinare ad una argomentazione ad hominem. Comunque sempre bravi. Vi leggo con piacere.

  15. Giuseppe Esposito

    I veri paradossi forse sono altri, non nei numeri e nelle dotte disquisizioni su di essi. Primo paradosso: se esistono metodi affidabili di valutazione della qualità, perché applicarli (dopo) ai dipartimenti e non (prima) ai singoli, rendendo oggettivo il reclutamento? Secondo paradosso: si invoca la chiamata diretta come panacea, dimenticando che coi concorsi truccati la chiamata diretta già c’è. E i guai li crea, non li elimina. Terzo paradosso: per risolvere il problema delle commissioni di concorso che agiscono ad arbitrio, si invoca una valutazione superiore; in altre parole, una supercommissione: che opererebbe ad arbitrio. Una soluzione – secondo me molto più concreta – è una graduatoria (non lista, graduatoria) nazionale di idonei, stilata con rigorosi criteri prefissati, che uno dopo l’altro scelgono la sede dove andare, portando in un certo senso con sé i fondi.

  16. Stefano Zapperi

    Sul libro di Perotti (almeno sulla mia copia) il nuovo rettore della Sapienza Luigi Frati è diventato Luigi Preti. Dalla statistica sulle omonimie è scappato il nome più grosso…

  17. paolo.trevisan

    Nessuno pensa che Paolo Maldini sia il capitano del Milan perchè figlio di Cesare. Però le partite del Milan ci sono ogni mercoledì e domenica e tutti le vedono. e si fa presto a capire se c’è la stoffa o se occorre proseguire la carriera a Monza o peggio. Del resto anche Eddy Baggio come il fratello Roberto ha giocato a Vicenza e Firenze ma poi ha deviato per altri lidi e …niente pallone d’oro. Il problema è che con gli sportivi la controprova è immediata ed evidente con i docenti universitari la valutazione di fa a fine carriera e nel frattempo il posto buono ha fruttato molto e magari tolto ai meritevoli. Forse i figli degli ordinari vivendo l’università da piccoli sviluppano attitudini precoci, come i gli attori, ma non se poi Frati Junior non fa una carriera da oscar come Michel Douglas che facciamo? Magari ci aiuterà l’evoluzione verso la università di massa che rendendolo simile ad un super liceo non potrà più richiedere competenze d’eccellenza per i corsi base.

  18. Sebastiano Vigna

    E’ assolutamente necessario che gli autori pubblichino i valori attesi del modello statistico, se vogliono essere credibili. Il fatto che ottengano dei buoni p-value (che, spero, siano bassi, e non alti, come scritto nell’articolo – immagino per una svista) non è rilevante se non sappiamo gli scostamenti dai valori attesi. Scostamenti di piccola entità non sono sintomo di alcunché. In effetti è piuttosto sorprendente che questi dati non siano stati inclusi in prima istanza.

  19. Davide

    Da un noto quotidiano in data odierna apprendiamo che: Roma, inchiesta sui concorsi bluff alla Cattolica: la vincitrice sarebbe figlia di un professore ordinario. Indagano Tar e procura di Roma. Vince il concorso a Medicina ma è laureata in Lettere No comment. Un ricercatore precario

  20. forrest gump

    Ho citato il vostro splendido articolo nel mio blog. Complimenti! http://medicinadifamiglia.blogspot.com/

  21. Franco Corsi

    L’analisi è scientificamente ineccepibile e solo in malafede si possono fare obiezioni come quelle riportate, ma sarebbe interessante andare oltre per avere un quadro preciso, ateneo per ateneo, del “nepotismo” includendo i diversi gradi di parentela che sfuggono al semplice esame delle omonimie.

  22. Antonino Saggio, docente di progettazione architettonica e urbana La Sapienza, Roma

    Cari professori Boeri e Perotti, volevo ringraziarvi del vostro lavoro. Nel contesto di questo breve video che cerca di riflettere sullo spazio che Trasparenza e Meritocrazia possono ancora avere nella Università pubblica ho fatto riferimento alle vostre ricerche. Dal contesto non era possibile citarvi direttamente, me ne scuso, ma capirete ne sono certo. Un cordiale saluto Antonino Saggio, La Sapienza http://www.youtube.com/watch?v=TVIyf4-CUuc

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