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QUANDO SI TAGLIA LA SPESA DELLE UNIVERSITÀ

La manovra economica del governo ha ridotto il Fondo di finanziamento ordinario delle università del 19,7 per cento in cinque anni. Le strategie che gli atenei potranno adottare per sopperire alla diminuzione delle risorse avranno ripercussioni sull’accesso agli studi universitari e sulla ricerca. Se l’obiettivo era limitare la spesa per il personale, si poteva intervenire solo sulle sedi che ne hanno in eccesso. Nel frattempo, l’annuncio dei tagli ha provocato una vera e propria corsa alla spesa.

Il decreto legge 112 del 25 giugno, “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, riduce il Fondo di finanziamento ordinario delle università di 1.441,5 milioni di euro nell’arco di cinque anni: 63,5 nel 2009, 190 nel 2010, 316 nel 2011, 417 nel 2012 e 455 dal 2013. Prendendo come riferimento il finanziamento assegnato per il 2008, a regime si tratta di una diminuzione del 19,7 per cento. Il taglio del Fondo è in parte compensato dal sostanziale blocco del turn-over (l’articolo 66 permette di assumere solo il 20 per cento delle cessazioni dal servizio), dalla soppressione di uno scatto di anzianità del personale docente (articolo 69), dal congelamento di una parte del salario accessorio per il personale non docente (articolo 67) e dalla riduzione degli assetti organizzativi di almeno il 10 per cento già entro il 2008 (articolo 74).

COSA ACCADRÀ

Per legge, il gettito delle tasse di iscrizione universitarie non può superare il 20 per cento del Fondo ordinario. Pertanto, a una riduzione del finanziamento pubblico dovrà seguire, a legislazione invariata, una diminuzione delle tasse di iscrizione, riducendo ulteriormente le entrate degli atenei. Anche immaginando che le diverse misure (blocco del turn-over, rallentamento della dinamica retributiva per docenti e non docenti) riducano i costi del 10 per cento, resta comunque un taglio del finanziamento complessivo in misura superiore al 10 per cento. (1)
Come potranno gli atenei far fronte alla riduzione delle risorse, tenuto conto che già oggi circa la metà ha un costo del personale che supera l’80 per cento del Fondo di finanziamento ordinario? Quattro ci sembrano le strade percorribili:

(1) ridurre l’offerta formativa. La tabella indica che il numero di corsi e sedi universitarie è cresciuto vertiginosamente negli ultimi venti anni, con conseguente aumento dei costi.
(2) integrare le tasse universitarie con ulteriori attività didattiche a pagamento libere da vincoli (master, corsi di formazione, laboratori, corsi di specializzazione).
(3) ridurre l’attività di formazione postlaurea, i fondi per la ricerca, gli assegni di ricerca e le borse di dottorato.
(4) rafforzare la componente di ricerca e consulenza per conto terzi. Questo è possibile con intensità molto diversa a seconda dell’area disciplinare e geografica in cui operano i dipartimenti.

Ciascuna di queste strategie ha un costo. Le prime due potrebbero comportare un rallentamento della crescita (o anche una diminuzione) del numero degli iscritti: mentre nel 1985 la quota dei diciannovenni iscritti all’università era pari al 25,9 per cento, oggi è quasi del 60 per cento. La diffusione territoriale e la varietà dell’offerta formativa hanno contribuito ad attrarre nuovi studenti, in particolare provenienti da famiglie a basso reddito e a rischio di esclusione dall’istruzione universitaria. Una riduzione dell’offerta formativa potrebbe congelare questo processo. La terza strada indebolisce ulteriormente la capacità di ricerca del sistema universitario, rischiando di creare una frattura generazionale nel processo formativo post-laurea e aumentando verosimilmente la fuga di cervelli verso l’estero. Anche la quarta alternativa potrebbe rallentare l’attività di ricerca dei dipartimenti, dirottando una parte delle energie verso il reperimento di finanziamenti esterni.

AUTONOMIA LIMITATA

In regime di piena autonomia, ciascuna università sarebbe libera di percorrere la propria strada, scegliendo una delle quattro alternative (o una combinazione tra loro). Ma l’autonomia è tale solo di nome. Di fatto, il governo interviene ripetutamente nella vita degli atenei con direttive centrali (ultima in ordine di tempo quella che riguarda l’incremento delle borse di studio dottorali, con onere a carico degli atenei stessi) e disegnando regole del gioco indifferenziate tra atenei (ad esempio, i titoli di studio hanno tutti lo stesso valore legale).
In questa occasione è possibile che il governo abbia valutato che la spesa per il personale è troppo elevata; ne seguirebbe che il provvedimento più significativo è il sostanziale blocco del turn-over. Ma se l’obiettivo è ridurre la spesa per il personale, perché non affrontare apertamente il problema? Se il governo ritenesse che alcuni atenei hanno un eccesso di personale, definibile secondo qualche criterio (rapporto studenti/docenti, laureati per docente, pubblicazioni per docente, valutazioni Civr), occorrerebbe ridurre alla norma quegli atenei. (2) Il precedente ministro aveva adottato una norma semplice ed efficace, stabilendo un numero minimo di docenti per ciascun corso di laurea (almeno dodici per i corsi triennali e almeno otto per quelli magistrali), e indotto molti atenei a ridurre il numero di corsi. Altre norme potrebbero essere basate su indicatori legati ai risultati conseguiti nell’attività di ricerca.
Senza linee guida sulle priorità da seguire e indicazioni chiare sulle attività che possono o devono essere dismesse, tagliare la spesa in modo indifferenziato non riduce gli squilibri del nostro sistema universitario, ed è controproducente. Come spesso accade nella pubblica amministrazione, nel timore che in futuro non sarà più possibile spendere, l’annuncio dei tagli ha provocato una vera e propria corsa alla spesa: tra aprile e giugno le università hanno bandito 685 posti di professore ordinario e 1093 posti di professore associato. Poiché ciascuno di questi concorsi prevede due idonei, nei prossimi anni saranno assunti più di 3.500 professori, circa il 10 per cento del corpo docente. Dato il contemporaneo blocco del turn over, per i giovani sarà ancora più difficile accedere ai ruoli universitari.

Evoluzione dell’offerta formativa e del numero degli iscritti all’università

* dati riferiti al 2007-8
Fonte: elaborazioni da La localizzazione geografica degli atenei statali e non statali in Italia dal 1980 al 2000 (Cnsvu, 2001) e Settimo rapporto sullo stato del sistema universitario (Cnsvu, 2006)

(1) Immaginiamo un’università con il bilancio in pareggio, che riceva 100 dal governo e 20 dalle tasse di iscrizione. Se il contributo pubblico si riduce a 80, il gettito delle tasse deve ridursi a 16 (il 20 per cento di 80), con una riduzione complessiva delle entrate pari a 24. Se i risparmi nel costo del personale sono pari a 10, il taglio effettivo è di 14.
(2) In sette atenei la spesa per il personale supera il 90 per cento del Fondo ordinario; altri 25 si collocano tra l’80 e il 90 per cento (Il Sole 24Ore, 27/7/2008).

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10 commenti

  1. valentina

    L’aumento delle borse di studio dottorali è stato finanziato con i fondi del MIUR nella Finanziaria del 2008 fino all’anno 2010. Non credo si tratti di un onere a carico degli atenei.

  2. Maurizio

    E’ vero che le università hanno recentemente bandito concorsi da professore che genereranno 3500 idonei ma il blocco del turn over al 20% non ne permetterà la chiamata, la presa in servizio della maggior parte. L’idoneità dopo tre anni scade, il blocco del turnover al 20% dovrebbe esserci proprio per tre anni, fino al 2011. Molti dei vincitori non verranno assunti.

  3. Felice Di Maro

    I riflessi della manovra del governo sono stati da quest’articolo molto bene enunciati. Speriamo che le scelte che verranno da parte degli atenei non ridurranno i progetti in corso o appena approntati. Ad esempio. Sarebbe grave se si abbandonerebbero i progetti di territorialità delle facoltà e si rinuncerebbe in pratica ad avvicinare l’università ai ceti meno abbienti che vivono in aree geografiche lontane dai capoluoghi di regione e di provencia. L’articolazione delle università sul territorio è un dei possibili rilanci dei processi di formazione e della cultura più in generale. Purtroppo le cifre parlano chiaro e bisognerà aspettarci il peggio. Però è paradossale che quando governano le destre la formazione e quindi la cultura che comunque è connessa diventano nell’insieme una opzione insignificante. Se c’è personale in eccesso che si operi in quasta direzione con parametri specifici e non in maniera indiscriminata in pratica senza margini in quanto si voglia o no se continua così i servizi diminuiranno e le tasse per gli studenti anche. Alla fine di questi processi l’Italia sarà di basso livello rispetto ad altri paesi dell’Unione Europea e nei confronti di altri paesi.

  4. Alessandro Figà Talamanca

    Non mi sembra corretto affermare che poiché ci saranno 3500 idoneità a professore di prima o seconda fascia, ci saranno 3500 nuove assunzioni. Purtroppo la realtà italiana è diversa: il 90% almeno delle idoneità darà luogo ad una promozione e non ad una nuova assunzione.

  5. alberto

    Ho finito il dottorato tre anni fa (con 5 mesi in un’univeristà US) e adesso lavoro nel privato, certamente senza pentirmene. L’università spreca tantissimo e forse dando meno soldi si ottiene qualcosa. Faccio due esempi 1: nel mio dipartimeto, ogni professore (ed ogni labroatorio!) aveva il proprio PC ed almeno una stampante. Poi c’erano quelli che ne volevano una laser e una a colori, e quindi due. Poi quello che voleva il fax nel proprio ufficio. Per contro, quando ero negli USA, nessun professore aveva la propria stampante, ma c’erano alcune stampanti comuni che andavano bene per tutti. Risultato: 50 stampanti nel dipartimento italiano, 5 stampanti nel dipartimento US. 2: nel mio dipartimento tutti i PC avevano Office con la relativa licenza. Negli US ce l’avevano solo le segretarie, tutti gli altri usavano StarOffice che è gratis. Quindi la smettano i prof di piangere il morto e comincino a risparmiare.

  6. Valentina

    Un consiglio alle Università: informatizzatevi! non è possibile che nel 2008 si sia ancora costretti a perdere intere mattinate in fila nelle segreterie delle facoltà ,perché non c’è personale competente che permetta le immatricolazioni, le iscrizioni agli esami ecc. on line… Inoltre, vorrei fare una piccola critica ai professori universitari (con le dovute eccezioni naturalmente,che per fortuna ancora esistono..)Un pò più di umiltà.. Gli studenti non sono vostri dipendenti,ma anzi, si dovrebbe sottolineare ogni tanto il fatto che dovreste essere voi a loro "servizio".

  7. Esposito

    Da un lato, è necessario spezzare sul nascere il "Tutti insieme appasionatamente" tra: studenti, lavoratori, singoli docenti, ricercatori aspiranti cooptati, professori (ligi ai loro ruoli di riproduzione e selezione di classe) e baroni "cinghie di trasmissione" tra mondo accademico ed imprese private (leggi finanziamenti). Dall’altro lato, è fondamentale demistificare le parole d’ordine come "più fondi per l’università e la ricerca", "l’università non si tocca" e altre amenità simili. L’università come gigantesca cricca corporativa asservita agli interessi privati è riproducibile grazie alle ingenti quantità di fondi che lo stato le riversa. Il ruolo della nostra università non è più la formazione di scienziati sociali in grado di comprendere le dinamiche politiche, economiche e sociali che ci circondano. Al contrario, la sua missione è quella di fornire manodopera deprezzata e poco qualificata da devolvere alle imprese.

  8. Luca Amendola

    Di fronte alla crisi economica in generale, oltre che a questi ulteriori tagli, professori e ricercatori per bene dovrebbero chiedere quattro cose: 1) destinare le poche risorse non a promuovere e beneficiare chi è già dentro (vedi i 3500 avanzamenti di carriera di cui parla l’articolo) ma ad assumere giovani e a far tornare chi e’ andato all’estero; 2) ridurre l’organico, come richiesto dalla finanziaria, con criteri meritocratici: chi non e’ attivo e valido dovrebbe essere "invitato" a pre-pensionarsi o, come minimo, a vedersi annullati tutti i finanziamenti; 3) chiedere una rigorosa ripartizione delle risorse in base ai meriti personali e di dipartimento; 4) avviare indagini interne a ogni universita’ per stanare nepotismi e concorsi truccati: una Università moralmente indifendibile e’ un soggetto debole e ricattabile. Forse allora non tutti i tagli sarebbero nocivi.

  9. mr x

    Credo che i tagli siano giustissimi. Sono una giovane universitaria, ma sono fermamente contro gli spechi.

  10. Ale

    L’articolo è a tratti un po’ superficiale, non si sofferma sul fatto che secondo i dati ocse la spesa per studente universitario e la spesa nazionale per l’università rapportata al pil sono già ben al di sotto della media ocse, al contrario di quanto si vede ai tg e sui giornali. inoltre viene preso per assunto che, essendo il massimo gettito consentito per le tasse di iscrizione pari al 20% del FFO, tutte le università adottino tale percentuale e che, quindi, al ridursi del FFO saranno costrette a ridurre le tasse di iscrizione. nella realtà, in molti istituti i contributi degli studenti sono ben al di sotto della soglia di legge (mediamente, prima del 2000 erano addirittura sotto il 10%), e ad una riduzione del FFO corrisponderà un aumento della contribuzione studentesca fintantoché essa non raggiungerà la percentuale del 20%.

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