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QUELLA CAPACITA’ DI GOVERNO CHE FA LA DIFFERENZA

Si conferma il drammatico divario tra i sistemi sanitari di Nord e Sud. Non tanto in termini di strutture, personale o spesa, quanto di assetti di governance e risultati prodotti. Che tuttavia non sembrano dipendere dai modelli istituzionali adottati, integrati o separati. La variabile chiave è la capacità di governare il sistema, con la quale si tiene sotto controllo la spesa, si producono servizi di buona qualità e si migliora la salute dei cittadini. Per un reale riequilibrio servono perciò investimenti in formazione, cultura gestionale, tecnologie.

Con le riforme degli anni Novanta, il Servizio sanitario nazionale si è trasformato in un “sistema” composto da ventuno servizi regionali e provinciali. (1) Le Regioni sono diventate libere di scegliere il proprio modello organizzativo ed, entro certi limiti, anche istituzionale e lo “stile” dei rapporti con le aziende sanitarie.
Le riforme degli anni Novanta contenevano però anche una sfida: passare da un modello di government, fondato sull’esercizio del potere e dell’autorità regionale, a un modello di governance, basato invece sulla capacità di visione strategica, la creazione di consenso, l’orientamento ai risultati. Su questo terreno, le Regioni si sono mosse in ordine sparso, con alcune del Nord-Centro che hanno gradualmente adottato il nuovo modello, e quelle del Sud che continuano tuttora secondo il modello burocratico tradizionale.

COS’E’ LA GOVERNANCE

La governance è un concetto variabile e difficile da definire, sul quale esiste una vastissima letteratura. Ancor più difficile è misurarla. In sanità, si può concepire come un insieme di regole, valori, strumenti (gestionali, informativi, fiscali) e capacità (amministrative, legislative, programmatorie), presenti a livello regionale e diffuse a livello locale, che possono produrre  risultati per i cittadini (qualità dei servizi e miglioramento della salute) e per lo Stato (garanzia dei diritti, controllo delle risorse). Essenzialmente, è vista come un processo di trasformazione di risorse materiali e immateriali in risultati.
Un recente studio, condotto dal Formez nell’ambito del “Progetto governance” del dipartimento della Funzione pubblica, ha cercato di quantificare e valutare le risorse di governance dei sistemi sanitari regionali e le loro performance. (2) I risultati danno come prime Regioni per capacità e strumenti di governance la Toscana (collocata seppure di poco nel quarto quartile: 0,77), l’Emilia-Romagna, la Provincia autonoma di Bolzano, le Marche, la Liguria e il Veneto. All’estremo opposto si trovano tutte regioni del Sud: Molise, Sardegna, Basilicata, Campania e, da ultimo, Abruzzo (0,35). La Lombardia è in posizione medio-alta (0,60), mentre il Lazio medio-bassa (0,45). Sulle capacità di governo del sistema influisce, tuttavia, anche il contesto socio-economico e politico regionale: ne è prova la variabile “contesto” che, ad esempio, è pari a 0,84 in Emilia-Romagna e a solo 0,48 in Campania. E, come è lecito attendersi, anche i risultati sono correlati alle capacità di governo del sistema.

LE RELAZIONI TRA CONTESTO, GOVERNANCE E RISULTATI 

Alcune Regioni ottengono risultati migliori in aree specifiche: la Lombardia nell’economicità della gestione aziendale, la Provincia di Bolzano nell’efficienza ospedaliera, l’Umbria nella qualità dei servizi, il Piemonte nell’appropriatezza, la Provincia di Trento nella capacità di risposta e nell’equità, il Veneto nei risultati di salute. Altre, purtroppo, sono peggiori in più di un’area: la Sardegna nell’economicità e nell’efficienza, la Calabria nella qualità e appropriatezza, la Sicilia nell’equità e negli esiti di salute.
Una valutazione concisa delle tre principali dimensioni di risultato – gestione economica, di processo (qualità, efficacia, appropriatezza) e di esito finale (salute, equità) – ottenuta dalla media aritmetica dei tre indicatori di area, fornisce un indice globale di performance, secondo il quale le Regioni con i migliori indici sono ubicate nel Nord e nel Centro: Toscana (max: 0,78), Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Umbria, Lombardia, mentre quelle con gli indici peggiori al Sud: Sicilia (min: 0,33), Calabria, Sardegna, Campania, Puglia (figura 1).

Le performance dei sistemi regionali, tuttavia, sembrano indifferenti ai modelli istituzionali, se integrati o separati, vale a dire, con gli ospedali all’interno dell’Asl o costituiti in aziende ospedaliere indipendenti. Le scelte compiute negli anni Novanta spesso non hanno generato strumenti di governo coerenti. Modelli integrati o quasi-integrati possono produrre sia buoni risultati (al Nord: in Veneto, nelle Pa di Trento e Bolzano, in Emilia-Romagna, Toscana), che cattivi risultati (al Sud: in Molise, Puglia, Calabria, Sardegna), così come il modello quasi-separato o separato mostra buone performance in Lombardia e Friuli, ma scarse in Lazio, Campania e Sicilia. Vi è tuttavia la chiara indicazione che il “modello burocratico”, prevalente al Sud, è il meno adatto a produrre buoni risultati. La valutazione d’insieme delle relazioni esistenti tra le varie aree di fenomeno porta a queste conclusioni:

·        le risorse di governance svolgono un’azione decisiva sui risultati di processo (rho=0,70), sui risultati finali (0,66) e, in misura minore, sulle capacità di gestione economica dei servizi sanitari (0,58); (3)
·        le capacità di governance non dipendono dalla disponibilità di risorse finanziarie (spesa: 0,20);
·        il contesto generale e specifico della sanità regionale esercita anch’esso un significativo influsso sulle capacità di governance (0,60);
·        i buoni risultati gestionali producono (o sono correlati con) buoni risultati di qualità ed efficacia dei servizi (0,70);
·        il livello di spesa sanitaria pro-capite è scarsamente correlato con tutti i tipi di risultato: gestionali (0,05), di processo (0,40) e di salute (0,41);
·        la performance complessiva dei Servizi sanitari regionali dipende strettamente dalle capacità di governance (0,72), ma anche dal contesto regionale più o meno favorevole (0,73).

PER IL RIEQUILIBRIO

La variabile chiave è dunque la capacità di governance del Ssr, con la quale si tiene sotto controllo la spesa, si producono servizi di buona qualità e si migliora la salute dei cittadini.
La ricerca conferma, ancora una volta, il drammatico divario tra Nord e Sud, non tanto in termini di strutture, personale o spesa, quanto di sistemi di governance e risultati prodotti.
Quasi trent’anni di politiche di riequilibrio, attraverso lo strumento del Fondo sanitario nazionale, hanno determinato un sostanziale allineamento della spesa tra le regioni, ma la spaccatura persiste: le regioni del Sud (e il Lazio) hanno scarse risorse di governance e producono risultati di medio-basso livello, a differenza di quelle del Nord-Centro, che si collocano su posizioni medio-alte (fig. 1). La politica di riequilibrio andrà dunque ripensata, perché il solo strumento finanziario non basta. Serve uno sforzo straordinario di investimenti in formazione, cultura gestionale, sistemi informativi, tecnologie. Serve, in altri termini, investire sul capitale umano e sul capitale sociale delle regioni.

(1) Le riforme sono state varate con i decreti legislativi 502/92 e 229/99.
(2) Mapelli V. (a cura di) (2007), I sistemi di governance dei Servizi sanitari regionali, Formez, Roma, Quaderni, n. 57, pp. 317. La ricerca è stata coordinata da S. Boni del Formez e svolta da V. Mapelli con la collaborazione di A. De Stefano, A. Gambino, A. Ceccarelli, V. Compagnoni. Nello studio sono utilizzati 54 indicatori elementari, sintetizzati in 5 aree, attraverso pesi appropriati (contesto, risorse di governance, risultati di gestione, di qualità e processo, risultati finali di salute ed equità). Il contesto, ad esempio, è rappresentati da indicatori elementari come la dimensione regionale, il reddito pro-capite, la stabilità politica dei governi regionali e dei direttori delle aziende sanitarie, il numero e tipo di aziende sanitarie, ecc.). In base all’indicatore sintetico, le regioni sono posizionate in quattro quartili, che esprimono valori bassi (0-25), medio-bassi, medio-alti e alti (0,75-1,00).
(3) Il valore 1 del coefficiente esprime la perfetta relazione tra due fenomeni; tecnicamente si tratta della correlazione di Spearman tra i ranghi (posizioni) regionali.

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11 commenti

  1. Silvano Robur

    La lettura degli indicatori delle differenti efficenze (appropiatezza della cura, equità di trattamento, economicità di gestione, etc…) ci aiutano nell’analizzare le varie sanità esistenti in Italia. Aggiungo io: la spesa corrente delle regioni per l’85 % serve a coprire le attività socio – saniarie – assistenziali. Questo è un dato di fatto che spaventa alla vigilia del ventilato riformirsmo federale. Nelle bozze che circolano in maniera più o meno ufficiale si parla di “fondi di solidarietà” che le regioni più ricche dovranno versare in determinati capitoli di bilancio dello stato. La domanda che Le pongo è la seguente : non esiste il pericolo che i fondi di solidarietà mi vadano a finanziare le sacche di inefficenza della sanità del sud trovandoci poi alla fine a mantenere a galla una seconda Alitalia ?

    • La redazione

      Quello che lei chiama un "Fondo di solidarietà" già esiste in sanità ed è la compartecipazione al gettito dell’Iva, tramite cui le regioni possono integrare le loro entrate fiscali (Irap e addizionale Irpef). La Campania riceve dal fondo perequativo l’80% del proprio fabbisogno, la Calabria il 90%, l’Emilia-Romagna e il Veneto il 50%, la Lombardia il 40%. Questi fondi vanno a garantire ai cittadini di ogni regione l’eguaglianza di accesso alle cure, quando sono malati. La solidarietà si ferma qui, perché l’eventuale deficit è a carico della finanza regionale. O dovrebbe essere, se lo stato non interviene con provvedimenti ad hoc, necessari ma diseducativi, a ripianare gli "elvati deficit" di alcune regioni, come con i 3 miliardi di euro del 2007.

  2. Maurizio Gentile

    Ho apprezzato il suo ariticolo: chiaro nell’impostazione generale e nella comunicazione delle informazoni quantitative (correlazioni e indici). Mi ero sembrato di capire che la governance fosse una gestione concordata co i vari soggetti territoriali di servizi e processi di interesse pubblico, in contrapposizione con il concetto di “government” inteso come organizzazione centralistica di servizi e processi di interesse pubblico. La sua definizione aggiunge un elemento per me interessante: la trasformazione di beni materiali e immateriali in risultati. Secondo lei uno studio simile, con dati così aggregati, e conclusioni simili, potrebbe essere esteso alla scuola e in generale al sistema formativo del nostro paese. Già dalle indagini internazionali (OCSE-PISA) molti elementi che compongono un territorio dalla prestazioni diseguali sono ampiamente osservabili (“disomogeneità dei livelli di apprendimento” – Gov. Banca d’Italia). Più specificamente uno studio sulla governance della scuola come dovrebbe essere impostato? Maurizio Gentile

    • La redazione

      Credo che la metodologia sia replicabile anche per il settore della scuola, una volta che sia identificato il sistema di governance, che è molto diverso da quello della sanità. Purtroppo non conosco adeguatamente questo settore, per cui mi è difficile dare suggerimenti sull’impostazione dello studio.

  3. Cosimo Basilico

    Io credo che l’errore storico più grosso della sanità itraliana è stato quello di togliere agli ospedali (piccoli e grandi) l’autonoma giuridica e patrimoniale e farli confluire nel disordine delle unità sanitarie locali. Spesso erano opere pie ma destinatari di lasciti significativi che sostenevano significativamente i bilanci economici e patrimoniali degli ospedali. Se fossero rimasti, integrati con la rete dei servizi del territorio, avrebbero poturo costituuire delle leggere ma efficienti aziende sanitarie la cui sopravvivenza sarebbe dipesa solo dallo loro capacità di offrire servizi di qualità ai cittadini. La vera riforma e/o riodino delle rete ospedaliera lo avrebbero fatto i cittadini utenti. Una sperimentata forma di federalismo fiscale sanitario locale. Ancora oggi paghiamo le conseguenze di quelle scelte e il resto mi sembrano panni caldi che non toccano la sostanza delle cose: restituire flessibilità e autonomia al sistema. Cosimo Basilico.

    • La redazione

      Dopo l’integrazione degli Enti ospedalieri nelle Usl (non senza qualche eccesso, come in Toscana), si è tornati alle Aziende ospedaliere autonome. Ce ne sono 97 e comprendono quasi il 30% di tutti i posti letto del SSN. Non sembra che la loro funzionalità sia superiore a quella dei presidi ospedalieri interni alle Asl (40% dei posti-letto). Senza contare che un ospedale integrato nell’Asl
      favorisce la continuità delle cure, data la natura prevalente dei bisogni di oggi (malattie croniche, anziani, non-autosufficienti). Comunque sulla separazione degli ospedali o la loro integrazione nelle Asl il dibattito non è ancora finito. Forse varrebbe la pena fare un confronto serio sulle rispettive performance.

  4. Giuseppe Caffo

    Nel timore di apparire scontato, faccio notare che l’articolo non tiene conto di sprechi e ruberie che in alcune regioni sono imponenti e sistematiche, soprattutto nella sanità, come autorevoli trasmissioni televisive ( report, striscia la notizia, ballarò, anno zero) hanno ampiamente e dettagliatamente raccontato. Finché il livello di corruzione rimarrà sugli attuali livelli, mi sembra prematuro parlare di investimenti in formazione, cultura gestionale, tecnologie. Temo che tali investimenti sarebbero delle ottime occasioni di ulteriori ruberie.

    • La redazione

      Sprechi e ruberie ci sono sempre stati e sempre ci saranno, in tutte le regioni, da nord a sud. Sono presenti in tutti i sistemi sanitati, compreso quello americano. Non credo che debbano essere una remora ad investire per cambiare il clima sociale e le capacità gestionali della sanità.

  5. Luca Neri

    Sarebbe utile per i lettori avere il link al manoscritto originale per poter valutare la metodologia utilizzata. L’autore conclude che l’utilizzo di strumenti governance rispetto alla gestione “burocratica” sia l’elemento discriminante tra l’efficienza delle regioni del centro-nord rispetto a quelle del centro-sud. Sebbene questa conclusione sembri a prima vista coerente con i risultati mi pare che lo studio non tenga conto di alcuni fattori di confondimento che potrebbero aver influenzato significativamente i risultati. Ad esempio l’analisi non tiene conto della prevalenze di providers privati nelle diverse regioni. Un’analisi di qualche anno fa condotta da Donzelli mostrava una tendenza a maggior spesa procapite nei sistemi sanitari nei quali era maggiormente prevalente il settore privato di fornitura dei servizi sanitari. Quanto questi due fattori pesano e si influenzano reciprocamente nel determinare la spesa sanitaria e la qualita’ del servizio?

    • La redazione

      Il collegamento al sito è indicato nella nota: basta andare a "Presentazione della pubblicazione …Quaderno n. 57"(la valutazione è nel cap. 10). Detto questo, non credo che le performance regionali siano condizionate dalla presenza del privato, che può arrivare al 30-40% della spesa regionale. Le capacità di governo risiedono pur sempre nelle mani della Regione e delle Aziende sanitarie,
      che gestiscono l’altro 60-70% della spesa sanitaria e possono, con le loro capacità ed i loro strumenti, influire sul sistema.

  6. umberto carneglia

    Concordo senz’altro sulla necessità di investire in formazione,cultura gestionale e tecnologia; ritengo che pero’ la lottizzazione politica che condiziona i criteri di nomina dei vertici delle strutture sanitarie ed a cascata crea clintelismo , abbia una parte molto importante nelle disfunzioni del sistema sanitario in generale dal Nord al Sud. Se alla selezione dei vertici per merito si sovrappone la selezione per appartenenza , la probabilita’ di disfunzioni aumenta di molto. Inoltre le strutture pubbliche risultano più esposte – specie nelle aree a rischio – ad infiltrazioni illecite e perfino criminose , come è stato documentato ad abundantiam dai media ( che ovviamente hanno visualizzato solo una parte minima delle realta’ patologiche).

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