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TUTTE LE EVOLUZIONI DEL RISPARMIO GESTITO

Il risparmio gestito attraversa in Italia una crisi senza precedenti: dall’inizio del 2007 i fondi comuni hanno subito deflussi per 106 miliardi di euro. Il futuro dell’industria dipende da come gli azionisti bancari vorranno modificare la catena del valore e i margini sulla distribuzione, preservando al tempo stesso la redditività di lungo termine. Ma anche dall’emergere e dal consolidarsi di altri distributori puri. L’importante è capire se queste evoluzioni possano avvenire sotto la spinta delle forze del mercato, oppure se debbano essere guidate da interventi del regolatore.

Il risparmio gestito italiano sta attraversano una crisi senza precedenti: dall’inizio del 2007 i fondi comuni hanno subito deflussi per 106 miliardi di euro. Tra le soluzioni più accreditate per salvare l’industria, vi è la separazione anche proprietaria delle società di gestione del risparmio dalla distribuzione. Il presupposto è che il distributore potrebbe avere l’incentivo a non offrire i migliori prodotti disponibili sul mercato, privilegiando quelli dalla propria Sgr, nel caso ne abbia il controllo.
Questa è però la situazione italiana, il cui risparmio gestito è controllato per il 90 per cento dalle banche mediante una integrazione verticale tra distribuzione e produzione. Ciò ha consentito alle banche di mantenere alti margini nella distribuzione limitando al tempo stesso gli investimenti per lo sviluppo delle Sgr.
Qualsiasi soluzione implica quindi o una contrazione dei margini della distribuzione o l’emergere di nuovi operatori specializzati. In ogni caso deve confrontarsi con le implicazioni per la redditività del sistema bancario.
Per decidere dove andare, occorre capire da dove partiamo, come sta evolvendo l’industria e quali siano le alternative.

LA SITUAZIONE DI PARTENZA

Il risparmio gestito italiano differisce dalla media europea per la sua composizione: i fondi monetari e obbligazionari rappresentano il 55 per cento delle masse rispetto a una media europea del 40 per cento. Viceversa, i fondi azionari (20 per cento del totale) rappresentano solo la metà della media europea (40 per cento). I costi dei primi sono rimasti relativamente alti rispetto ai rendimenti delle obbligazioni: secondo stime Consob pesano in media 1,14 per cento sulle masse, pari a quasi un terzo dei rendimenti obbligazionari. (1)
A questo si aggiunge l’onere delle retrocessioni, ossia la percentuale delle commissioni che le Sgr riconoscono alla distribuzione. In Italia è di circa l’80 per cento, uno dei livelli più alti in Europa. Si lasciano così alle Sgr risorse limitate per investire sulla qualità della gestione e si crea un circolo vizioso: da una parte alle società di gestione viene chiesto di produrre qualità con risorse troppo modeste. E dall’altra una parte significativa dei prodotti viene venduta a un costo tale da compromettere la qualità stessa.L’insoddisfazione dei clienti è dovuta quindi più alla scelta delle classi di fondi nei portafogli e ai costi di questi, piuttosto che a carenze delle Sgr, che invece in media hanno una qualità rispettabile rispetto alle risorse a disposizione. 

LA POSSIBILE EVOLUZIONE

Per capire come uscirne, basta osservare cosa sta accadendo nei mercati evoluti, dove gli investitori stanno abbandonando i tradizionali fondi d’investimento, a favore di fondi a gestione attiva, che mirano a conseguire extra-ritorni rispetto ai mercati di riferimento, e di fondi “passivi”, che permettono di investire in modo efficiente nella “pura” direzione dei mercati. I primi, tra i quali vi sono gli hedge funds, continuano a giustificare livelli alti di commissioni mediante l’eccellenza gestoria, che è una risorsa scarsa; i secondi, tra cui vi sono gli Etf, vengono offerti a prezzi sempre più bassi, grazie all’efficienza dei processi produttivi su volumi crescenti.

LE DIVERSE CONVENIENZE

Anche le Sgr italiane per sopravvivere dovranno svilupparsi in una delle due direzioni. Questo però implica un costo per i distributori-azionisti. La dimensione complessiva delle masse gestite appare quindi incompatibile con i livelli delle commissioni e delle retrocessioni e con la redditività dei distributori almeno in base dell’attuale composizione dei prodotti.
incompatibilità prima latente, è ora del tutto visibile ed è accentuata dall’introduzione della Mifid che rende evidenti i costi della produzione e della distribuzione. In sostanza, nel caso gli azionisti bancari vogliano promuovere una evoluzione verso prodotti più attivi, dovranno investire di più nelle Sgr riducendo le retrocessioni. Nel caso optino invece per un pricing competitivo dei prodotti “passivi”, dovranno abbassare il livello assoluto delle commissioni su certi prodotti. In entrambi i casi, vi saranno minori ricavi per la distribuzione. La strategia alternativa per le banche è preservare l’attuale livello di redditività, sostituendo i prodotti di risparmio gestito con altri ad alto margine, tipo strutturati, assicurativi o forme di raccolta diretta. Ed è questa la strada sinora adottata e accelerata dalla contestuale crisi dei mercati e introduzione della Mifid.
Il declino del risparmio gestito è quindi principalmente dovuto a una revisione delle priorità di prodotto da parte delle banche distributrici e alla mancanza della volontà di riposizionare le Sgr verso la gestione attiva o quella passiva proprio nel momento in cui sarebbe necessario farlo. Èuna scelta pericolosa per il futuro del risparmio gestito, ma motivata dalla necessità di proteggere il conto economico in un periodo di pressione sui margini. Come tale va compresa e va accettato che di conseguenza continueranno nel breve periodo i deflussi dai fondi.

MERCATO O REGOLATORE?

È dunque auspicabile che il riassetto dell’industria passi per lo sviluppo di funzioni autonome di distribuzione e produzione.La separazione proprietaria può essere una condizione necessaria, ma non sufficiente: la cessione delle Sgr o il loro consolidamento per raggiungere masse critiche da gestire non portano a risultati automatici. 
Il futuro dell’industria dipenderà ida come gli azionisti bancari vorranno modificare la catena del valore e i margini sulla distribuzione, preservando al tempo stesso la redditività di lungo termine. E da come altri distributori puri riusciranno a emergere e consolidarsi. L’importante è capire se queste evoluzioni possano avvenire in maniera spontanea, sotto la spinta delle forze del mercato, oppure se debbano essere guidate da interventi del regolatore che stimolino la specializzazione e impediscano una concorrenza impari da parte di prodotti meno trasparenti a più alto margine rispetto a quelli del risparmio gestito.

(1) Consob, “Il marketing dei fondi comuni italiani” Quaderni di Finanza n. 61- gennaio 2008, pag. 34, Tav. 13

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IL PREZZO DEL PREGIUDIZIO

  1. martino

    Difficile non pensare che una SGR, parte di in gruppo bancario, sia generalmente soggetta a direzione e coordinamento da parte della capogruppo. solo che ciò non genera il rischio di un danno ai soci (di minoranza) della SGR quanto, semmai, ai clienti della stessa – i quotisti – che rispetto all’attività imprenditoriale di direzione e coordinamento non hanno voce in capitolo (a meno di non configurarli "creditori" della SGR; difficile). ciò che domando, però è: ma l’integrazione verticale non dovrebbe consentire sinergie che rendano appetibili, sotto il profilo dei costi, i prodotti della sgr "di gruppo" che la banca "di gruppo" colloca presso i propri sportelli? se così non fosse se ne avrebbe un duplice effetto distorsivo: i) la banca tende a vendere fondi della sua SGR, magari non il migliore sotto il profilo della gestione (conflitto di interessi); ii) inoltre li vende allo stesso costo di fondi (magari con migliore gestione) di SGR non facenti parte del gruppo bancario. Alla fine ho peggiore gestione e costi ugualmente alti (e l’emorragia dai fondi non ci sarebbe se, fermi i costi, almeno gli obbigazionari evitassero NAV in picchiata).

  2. elio turrini

    il corsivista centra un problema che è quella della distribuzione. In Italia vi sono quattro canali di distribuzione, di cui due sottoposti a normativa MIFID e due no. I sottoposti sono i canali bancari e quindi l’ufficio titoli della banca sotto casa che ha l’obbligo di vendere solo titoli propri e vecchi dipendenti non preparati alla consulenza. I promotori finanziari , che lavorano con retrocessioni dello 50% sulle commissioni di acquisto e di gestione e dispongono di tutti i fondi pertanto in genere sono gli unici in grado di dare consulenza leale. la clientela è a carico del promotore e spesso con quelle % non copre i costi. Gli altri sono la posta e le assicurazioni che hanno fondi collaterali esenti al momento da Mifid. Basta aprire Morningstar per capire le quantità di gestori in italia e le loro performance che sono poi direttamente proporzionali agli stipendi che pagano ai gestori . Infatti in Italia un laureato con un portafoglio di alcuni miliardi di euro guadagna dai 1400 ai 2000 euro mese. Vogliamo andare a guardare da Fortis o da JPMrgan o Schroder quali sono gli stipendi? Elio Turrini F.A. Unipol Banca

  3. Carlo

    Siamo sicuri che la crisi del risparmio gestito sia un male per il paese? I fondi sono spesso costosi e dalle dubbie performance. Vi ricordate l’impietoso confronto di Mediobanca tra risparmio gestito e titoli di Stato? Studio di Mediobanca, non di Beppe Grillo. Per un investitore, quali sarebbero i vantaggi di un fondo rispetto all’investimento diretto in azioni, bond o ETF? La gestione attiva dei fondi? Ma quanti fondi a gestione attiva riescono a battere il mercato?

  4. Giuseppe Caffo

    A mio avviso il libero mercato sta svolgendo egregiamente il suo compito.I fondi Italiani sono penalizzati fiscalmente nei confronti di quelli esteri, rendono meno e hanno commissioni più elevate: ovviamente i risparmiatori li stanno progressivamente abbandonando. I conti on line offrono migliaia di fondi esteri più convenienti facilmente acquistabili comodamente da casa. La mia meraviglia è che queste ovvie considerazioni non vengano prese in esame dal Governo (tassazione ) e dalle SGR bancarie (retrocessioni esagerate alla rete distributiva e magre agli analisti). Di questo passo l’industria dei fondi Italiana verrà distrutta e i risparmiatori sottoscriveranno esclusivamente quote di fondi esteri, con conseguente calo di profitti delle banche e perdita di posti di lavoro. Purtroppo abbiamo già assistito a scenari simili, dove la Stupidità regna sovrana.

  5. habsb

    Sono assai scettico sulle performance del risparmio gestito, e aderisco a punti di vista anche illustri (es. Buffett) che consigliano ai risparmiatori il risparmio passivo, index-based, e i suoi costi contenuti. Detto questo, ciascuno dovrebbe essere libero di investire le proprie economie come meglio crede, e l’intervento del regolatore dovrebbe limitarsi alla necessità di una distribuzione trasparente, dove tutta l’informazione su costi e performance e` chiaramente e sempre disponibile al risparmiatore. Non trovo nemmeno auspicabili le limitazioni alla sottoscrizione di hedge funds, in vigore in mercati piu’ evoluti come quello USA: fanno parte di un atteggiamento paternalistico che si credeva relegato al secolo scorso. Allora perche’ non vietare l’acquisto di auto di grossa cilindrata, e la pratica di attivita` come l’immersione subacquea e l’alpinismo? Quindi: il regolatore si limiti a imporre la trasparenza, al resto ci pensera` il mercato.

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