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CHI HA RAGIONE PAGA

La regola generale vigente nei processi civili prevede che le spese processuali vengano pagate dalla parte che perde la causa. Ora il governo propone che siano addebitate a chi vince la causa se questi ha rifiutato senza giustificato motivo una proposta vantaggiosa di conciliazione. L’idea, di per sé buona, è di incentivare la conciliazione. Ma rischia di non tener conto del contesto italiano, nel quale la parte che ha ragione è in una situazione di debolezza cronica. E i meccanismi conciliativi potrebbero costituire una minaccia in bianco ad accettare accordi anche ingiusti.

Tra le proposte del governo nel campo della giustizia civile vi è quella di introdurre una regola generale in base alla quale la parte che, pur avendo vinto la causa, abbia rifiutato nel corso della stessa una proposta conciliativa vantaggiosa può essere sanzionata mediante condanna alle spese processuali.

REGOLE VIGENTI

La regola generale oggi vigente prevede che le spese processuali, intese sia come “spese vive” (tasse, imposte, spese di cancelleria), sia come onorari degli avvocati, vengano pagate dalla parte che perde la causa, che quindi dovrà, oltre a pagare le proprie, rimborsare le spese all’avversario vincitore nella misura determinata dal giudice. Si prevede, inoltre, che in caso di “soccombenza reciproca” (ad esempio, una parte ha chiesto 100, ma il giudice condanna la controparte a pagare 50) e quando ricorrano giusti motivi, il giudice possa compensare in tutto o in parte le spese, nel senso che ciascuno pagherà le proprie.
Solo nel caso, molto raro, che siano violati i “doveri di lealtà e probità”, il giudice può condannare la parte che ha vinto la causa a rimborsare le spese processuali alla parte che ha perso.
La proposta del governo consiste nel prevedere che il giudice condanni la parte che ha vinto, almeno in parte, la causa al rimborso delle spese processuali all’altra, nel caso in cui la sentenza che chiude il processo abbia accolto la domanda in misura uguale o inferiore a quella offerta in via conciliativa dall’avversario e quando tale offerta sia stata irragionevolmente rifiutata senza giustificato motivo.

VANTAGGI

L’idea alla base della proposta è di incentivare la conciliazione, evitando che si celebrino interi processi per avere ciò che si sarebbe potuto ottenere con un accordo, senza dispendio di risorse pubbliche.
Si tratta di un’idea in sé buona, che altri ordinamenti hanno adottato, primo fra tutti quello inglese, ma che deve fare i conti con il contesto nel quale si cala. Non sono infatti nuove per il nostro sistema di giustizia importazioni fatte senza la dovuta ponderazione delle possibili conseguenze, con esiti deleteri.

PROBLEMI

Tempo. Anzitutto la legge non dice in quale momento del processo debba essere formulata la proposta conciliativa. Ciò non è irrilevante: se la proposta viene formulata in una fase iniziale, le spese saranno ancora poche e può essere accettabile che chi ha ragione concili, rinunciando alla causa. Che dire, invece, se la proposta è fatta alla vigilia della pronuncia della sentenza, quando le spese sono ormai lievitate ed è assai più facile fare prognosi sull’esito della causa? Potrebbe essere un modo comodo di mettersi al riparo dal pericolo della condanna alle spese per chi ritenga ormai sicura la propria soccombenza.
Prevedibilità. Per sapere se la parte ha rifiutato la proposta conciliativa sulla base di un giustificato motivo è necessario che il giudice, chiamato a esprimere questo giudizio alla fine del processo, tenga conto delle informazioni di cui la parte disponeva all’epoca del rifiuto.
Informazioni. La massiccia presenza degli avvocati anche nelle controversie minori e la rara comparizione personale delle parti al processo rendono spesso difficile per la parte disporre delle esatte informazioni per valutare in modo attendibile se e in quale misura sia opportuno accettare o formulare proposte conciliative. Inoltre, l’assenza dell’istituto anglosassone della discovery, che permette alle parti di essere informate in anticipo – in Inghilterra anche prima del processo – delle prove di cui dispone l’avversario, rende parimenti difficoltoso valutare razionalmente l’opportunità di conciliare.
Criteri. La proposta governativa non prevede alcun criterio per giudicare se la proposta conciliativa sia stata rifiutata “senza giustificato motivo”. Èun vuoto che può creare disparità o costituire una “minaccia” in bianco ad accettare proposte conciliative anche ingiuste.
Contesto. La giustizia italiana è lentissima. Ciò significa che per ottenere una sentenza di primo grado possono occorrere anche quattro o cinque anni. Inoltre, spesso i mezzi di prova risultano inadeguati a dimostrare la verità (ad esempio, obbligare il proprio avversario a esibire un documento in suo possesso, decisivo per vincere la causa, può essere di fatto impossibile). Questa situazione pone la parte che ha ragione e che agisce in giudizio in una situazione di debolezza cronica di fronte alla controparte (che ha torto, ma che non paga). E non è difficile per chi ha torto ottenere sostanziosi sconti a danno della parte che ha ragione. I meccanismi che incentivano la conciliazione devono essere introdotti con molta cautela, tenendo accuratamente conto del contesto in cui si calano, per evitare che abbiano risvolti “estorsivi”.

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IL PREZZO DEL PREGIUDIZIO

14 commenti

  1. Lino Venturini

    Credo che sia una proposta che ha l’intento di correggere la malagiustizia italiana. Perché, in realtà, in Italia, con questi giudici, solitamente chi ha ragione perde la causa. E così oltre alle beffe ha anche il danno. In questo caso, rimangono le beffe ma almeno si riduce il danno. Parlo per esperienza personale e mi piacerebbe sottoporre i casi a luca Passanante. Forse cambierebbe idea.

  2. Fichera Giancarlo

    E’ una soluzione semplicemente ridicola che sfavorisce la parte che ha ragione costretta ad accettare soluzioni conciliative penalizzanti pur di ottenere qualcosa. Mi aspettavo ben altro, quale una soluzione simile alla procedura per gli arbitrati (a giudice unico), adottate dalle Camere di Commercio più importanti quale quella di Torino: il giudice ha 60 giorni di tempo per emettere la sentenza,se non lo fa viene penalizzato nel proprio punteggio di merito e la causa passata ad altro giudice.

  3. Giuseppe Visalli

    Sono d’accordo con Luca Passanante: un buon rimedio potrebbe essere un, sia pure sommario, procedimento conciliativo, con la possibilità, nella successiva fase giudiziale, di utilizzare il materiale già raccolto al fine di valutare la serietà e la convenienza della proposta formulata da una delle parti. Ovviamente, dopo un periodo di "rodaggio", potrebbero essere apportate le opportune modifiche migliorative.

  4. Alexio

    Questa è la migliore in assoluto. É la legittimazione finale di uno stato in cui tutto viene fatto al contrario! Inoltre quando questo governo cerca di mettere le mani nella giustizia viene da chiedersi cosa ci sia dietro…

  5. de santis umberto

    Come posso accettare o rifiutare una proposta conciliativa se saprò che ho avuto ragione solo alla fine del processo? Non è detto che chi intenta una causa abbia ragione. Anche se l’avesse per logica, ma la formulazione delle leggi italiane spesso è illogica e crea situazioni paradossali. In più molti giudici sono ignoranti nel loro mestiere. Nel caso personale, avendo dichiarato sia io che la controparte che un lavoro di controsoffittatura non era stato eseguito, il giudice ha ordinato una perizia … su una cosa che non c’era! Signor Passanante p.e. con questa proposta Berlusconi avrebbe preso la Mondadori a una cifra più bassa di quella spesa e senza correre rischio di essere giudicato per aver corrotto giudici, come poi è successo. Se passa questa proposta si bloccherà tutto. Converrebbe sempre imbarcarsi in una causa, non pagando. Una curiosità: con tutti gli avvocati eletti nel parlamento, com’è che non si riesce a fare leggi chiare non soggette a interpretazioni in Cassazione o regolamenti esplicativi? Nella stesura delle leggi viene sempre messo il seme che fa durare a lungo le controversie, con sommo gaudio di avvocati e giudici che se la tirano per la pensione.

  6. LUIGI VIOLA

    Segnalo che qualcosa di analogo era già stato previsto nell’art. 46 del d.lgs. 546 del 1992 sul processo tributario con riferimento alla cessazione della materia del contendere. Gli abusi degli uffici (annullamenti anche in secondo grado, dopo una sentenza favorevole) hanno portato corte cost. 274 del 2005 a dichiarare incostituzionale la previsione. Concordo sul fatto che possa essere un meccanismo utile (soprattutto nei processi amministrativi e tributari), ma solo con una prefissione stringente di limiti temporali (chi fosse interessato può trovare una nota di approfondimento sul sito http://www.rivista.ssef.it numero 8-9 del 2005).

  7. Marcello

    La parte ricca contro la parte povera in un processo. Immaginate la vecchietta contro la multinazionale per un prodotto adulterato o non a norma: se la vecchietta non accetta un paio di cento euro di risarcimento amichevole, una squadra di cattivissimi avvocati riuscirà a convincere il giudice – in non meno di dieci anni – che i duecento euro erano più che sufficienti a risarcire la vecchietta; ergo, la medesima verrà condannata a pagare i 50.000 euro di spese processuali nel frattempo maturate. Altro che Robin Hood. In casi come questo trovo un po’ al limite che nell’analisi si cominci con il dire "L’idea, di per sé buona, è di incentivare la conciliazione". Visto lo strumento proposto, l’intenzione governativa mi pare più che evidente; la conciliazione è solo uno specchietto per le allodole.

  8. paoloc

    Eheh..questa mi mancava..grande! Ci manca solo una roba così e poi ci vediamo tutti in mezzo alla strada a darci le mazzate sui denti quando abbiamo un problema. Bhè, tanto il colpo di grazia ai processi civili neanche serve, sono già impraticabili così senza divisione delle spese processuali..Questo governo ha un conto in sospeso con la giustizia e ci tiene a farlo pagare con gli interessi, Berlusconi sta attaccando le basi della democrazia,le basi del patto sociale che istituisce la nazione e che si fonda sulla separazione dei poteri. E’ auspicabile una riforma della giustizia ma non con i provvedimenti salvapremier,sospendiprocessi e il vieta intercettazioni oppure peggio, la separazione delle carriere giudici e PM e successiva soggezione delle procure al ministero.. prevedo un autunno caldo tra istituzioni.

  9. fabrizio gioffredi

    Attualmente il sistema di condanna alle spese di causa è regolato dagli artt.91 e 92 c.p.c.. Il comma 3 dell’art.92 c.p.c. già oggi prevede che "se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti". Dunque già ora il giudice può compensare le spese anche per intero (ciascuno sostiene definitivamente i propri costi di difesa) quando ricorrano "gravi motivi", tra cui rientra a pieno titolo il comportamento della parte che durante il processo rifiuti ostinatamente ragionevoli proposte transattive. Mi pare, da avvocato quale sono, che non si possa andare oltre ed arrivare addirittura a condannare la parte vittoriosa, alla quale -non dimentichiamolo- una sentenza ha riconosciuto di aver giustamente agito o resistito in giudizio.

  10. antonio avino

    I problemi che hai sollevato sono reali. Non c’è dubbio che gli ingiustificati motivi di rifiuto della proposta conciliativa debbono essere meglio definiti. Tuttavia, se si fissasse il tentativo di conciliazione successivamente alla definizione dei "contorni" precisi delle rispettive pretese (definizione delle domande e delle eccezioni, indicazione dei mezzi di prova ecc) penso che il modello potrebbe funzionare. E’ chiaro che un ruolo fondamentale dovrà svolgerlo l’avvocato della parte che, per esempio, in caso di controversia fondata sulla prova tetimoniale, dovrà spiegare bene al proprio assistito che la controversia potrà avere un esito ovvero un altro a seconda della condotta del testimone e, quindi, se questo ricorderà o meno i fatti. Qualche dubbio mi permetto di avanzare sulla proposta di introdurre forme di testimonianza "per corrispondenza". La mia seppur non lunghissima esperienza di avvocato mi fa propendere per mantenere l’attuale assetto. Un cordiale saluto. Antonio Avino

  11. falco

    Mi sembra che, ancora una volta, si vada nel senso contrario a quello indicato dalla razionalità. Chi opera nella giustizia sa benissimo che ben oltre matà delle cause sono provocate dal tentativo della parte debitrice od obbligata ad adempiere la propria obbligazione. E’ proprio il sistema giudiziario a favorire tali comportamenti: le cause pervengono a decisione dopo cinque o sei anni (in primo grado) ed almeno altri 4 o 5 ne occorrono per il giudizio di appello. Male che vada si rischia di pagare le spese processuali liquidate con mano sempre molto leggera dal giudice. Salvo che, ovviamente, non intervenga provvidenziale una bella decisione di ‘compensazione’ delle stesse (molto frequente, come l’esperienza quotidiana insegna). Quanto all’onorario del proprio difensore, vi sono molti espedienti per risparmiare sullo stesso (magari evitando completamente il relativo esborso). Ma se tutto va bene, si rischia di passare anche dalla parte della ragione ed ottenere una decisione favorevole, magari grazie ad un banale "cavillo".

  12. falco2

    E’ evidente, a questo punto, che la soluzione del problema è del tutto diversa da quella che qui si contesta: e precisamente occorre rendere estremamente costoso per il debitore il rifiuto di adempiere e, quindi, le conseguenze sfavorevoli del ricorso all’autorità giudizia (ripeto: l’esperienza quotidiana insegna che cause del genere sono oltre la metà del totale). Ma, per un tale risultato, lo strumento vi è già: ed è stabilito dall’art. 96 del codice di rito, il quale prevede la condanna della parte soccombente per responsabilità aggravata determinata dal fatto di aver agito o resistito in giudizio in mala fede. Se i magistrati applicassero tale norma almeno ai casi più evidenti, il contenzioso si ridurrebbe enormemente.

  13. Franco Miscia

    Senza andare a scomodare questo o quel Paese estero, restiamo a casa nostra e copiamo i nostri sistemi. Un cittadino che incappasse in una multa ha di fronte a se un meccanismo di bonus-malus: può conciliare subito pagando una sanzione ridotta o ricorrere al Prefetto e, se questi gli da torto, pagare in maniera doppia (resta il ricorso al Giudice di Pace, ma costui difficilmente annullerà il disposto del Prefetto). In questa maniera, estendendo il discorso alla giustizia civile, chi sa di aver ragione andrà fino all’ultimo grado di giudizio, chi sa di aver torto pagherà subito. Altro che far pagare chi ha ragione!

  14. Studio Selvaggi sas (Torino)

    Abbiamo letto con interesse i suoi commenti alle nuove disposizioni per favorire la conciliazione delle parti nei processi civili. Condividiamo tutte le sue valutazioni, per esperienza diretta. Siamo stati obbligati a portare in giudizio una ditta,multinazionale, con la quale abbiamo collaborato per 20 anni,per ottenere riconosciuti i nostri diritti: l’offerta di transazione, prima del giudizio, era del 25%, ora, dopo 4 anni, siamo arrivati ad un tentativo di conciliazione del 15% della cifra dovuta che ,con molta probabilità, il giudice ci concederà. Nel frattempo abbiamo subito tutto quello che Lei prevede nel suo articolo. Perché non si estende al giudice anche il potere, alla fine del processo di primo grado,di punire con una forte sanzione la parte che ha accettato o proposto un processo senza alcuna possibilità, ma che gli offre l’enorme vantaggio di approfittare delle lungaggini delle leggi? I processi civili avrebbero una sforbiciata sicuramente maggiore di quella prevista da questo incentivo alla conciliazione. La rigraziamo e salutiamo. Gian Luca e Alessandro Selvaggi

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