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COME RIFORMARE LA CONTRATTAZIONE

Si riapre dopo la pausa elettorale il negoziato sulla riforma del sistema contrattuale. A dispetto dei tanti richiami all’inderogabilità della questione salariale, è da dieci anni che questa riforma viene rimandata. Siamo così rimasti agli assetti di quindici anni fa, che da tempo hanno mostrato tutti i loro limiti. (Aggiornamento dell’intervento pubblicato il 20 marzo 2008).
Un contributo alla discussione del ministro per la Pubblica Amministrazione e per l’Innovazione Renato Brunetta.

COME (NON) FUNZIONA OGGI IL SISTEMA DI CONTRATTAZIONE

Il sistema in essere è ancora quello legato al protocollo del 1993, approvato quando avevamo la lira, la globalizzazione non esisteva quasi e il tasso di inflazione era determinato in larga misura dalla politica monetaria decisa a Roma.. È un sistema basato su due livelli di contrattazione. In ciascun settore produttivo esiste oggi un contratto nazionale di categoria. Questo stabilisce non solo la retribuzione di base (i minimi tabellari), ma anche la retribuzione degli straordinari, il numero di giorni di ferie, i permessi, e la parte normativa (inquadramenti e organizzazione del lavoro). Il secondo livello di contrattazione dovrebbe, invece, avere luogo a livello aziendale e determinare un premio di risultato in base a parametri di produttività stabiliti azienda per azienda. C’è poi un terzo livello, di contrattazione individuale, che determina i superminimi contrattuali, ad personam.
Il sistema ha diverse patologie. Innanzitutto, è basato su un concetto di inflazione programmata totalmente privo di senso dopo l’entrata nell’euro. In secondo luogo, è un sistema troppo complesso che genera più di seicento contratti di categoria. In terzo luogo, è un sistema che non riesce a rinnovare i contratti in tempo. A novembre 2007 quasi due terzi dei lavoratori dipendenti del settore privato aveva il proprio contratto scaduto. La quarta patologia risiede nell’incapacità di attuare davvero la contrattazione di secondo livello. Questa riguarda una percentuale sempre minore di imprese, ormai quasi in tutti i settori inferiore al 10 per cento. Si tratta delle imprese più grandi, quindi la quota di lavoratori che beneficiano della contrattazione di secondo livello è più alta: attorno al 40-45 per cento.

GLI OBIETTIVI DELLA RIFORMA

L’obiettivo primario di una riforma è quello di permettere a tutti i lavoratori di avere un contratto, alleggerendo al tempo stesso la struttura a più livelli della contrattazione. Altro obiettivo fondamentale è il rafforzamento del legame fra salari e produttività. Questo è fondamentale per

i)                    incentivare incrementi di produttività a livello di singola azienda (effetto incentivo)
ii)                  attrarre lavoratori nelle imprese che hanno maggiori potenzialità di crescita (effetto riallocativo)
iii)                 ridurre la disoccupazione nel Mezzogiorno (dovuta a salari più alti che al Centro-Nord in rapporto alla produttività) aumentando la domanda di lavoro in aree depresse (effetto quantità).
iv)                permettere un migliore inserimento nel mondo del lavoro delle nuove tipologie di lavoratori (donne, giovani, immigrati) e un’organizzazione del lavoro in grado di meglio utilizzare le competenze dei lavoratori con più di 60 anni (effetto forza lavoro).

UNA PROPOSTA: UN PREMIO A DUE LIVELLI

I sindacati e le rappresentanze di categoria non riescono a trovare un accordo perché la Cgil si oppone a un rafforzamento del secondo livello di contrattazione. Al di là delle obiezioni della Cgil, lo spostamento del fulcro della contrattazione a livello di azienda deve necessariamente tenere conto del fatto che in molte imprese non ci sono rappresentanze sindacali oppure che queste sono deboli e i datori di lavoro si oppongono ad aprire un secondo livello di contrattazione. Si deve poi fare in modo che la retribuzione di secondo livello contempli davvero premi variabili e non semplici incrementi retributivi in aggiunta a quanto deciso dalla contrattazione di primo livello.
Siamo convinti che esista un modo per preservare la contrattazione nazionale e al tempo stesso legare il salario alla produttività. La nostra proposta di riforma, che si potrebbe chiamare premio a due livelli, segue questi semplici principi.
A livello nazionale si determinano gli incrementi salariali volti a mantenere inalterata la capacità di acquisto. Si tratta di incrementi percentuali, applicabili a tutta la struttura retributiva, prendendo come riferimento gli obiettivi di inflazione della Bce.
Sempre a livello nazionale si stabilisce, settore per settore, una regola che leghi il salario all’andamento della produttività aziendale, da applicare ex-post alle imprese in cui durante il periodo coperto dal contratto nazionale non sia stato possibile sottoscrivere un contratto di secondo livello. Ad esempio si potrebbero aumentare i salari in proporzione all’incremento del valore aggiunto per addetto così come dichiarato in sede Irap, depurando il dato dagli effetti dell’inflazione. Ovviamente l’aumento varierà da impresa a impresa e finirà per premiare i lavoratori in virtù degli incrementi di produttività aziendali.
Dove invece si svolge la contrattazione aziendale, questa deve contemplare premi di produttività (con regole definite azienda per azienda). I premi vengono definiti ex-ante e vengono immediatamente monetizzati in base ai risultati aziendali. Possono essere sia positivi che negativi, nel qual caso di fatto modificano in peggio (per il lavoratore) il contratto nazionale.
La riforma proposta può essere portata a termine senza alcun intervento dello Stato. In questa prospettiva la mancanza di un Governo nazionale con pieni poteri più’ che un ostacolo potrebbe essere addirittura un’opportunità.

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LE CONSIDERAZIONI FINALI

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ALITALIA: UN PONTE VERSO IL NULLA

  1. Tarcisio Bonotto / Proutist Universal

    Contemplando come positiva l’iniziativa di legare il salario alla produttività, di mantenere inalterata la capacità di acquisto, tuttavia manca un elemento di sicurezza: la determinazione di un salario che garantisca la capacità di acquisto delle minime necessità per vivere a tutti e un tetto massimo ai salari in un rapporto proposto di 1 a 10. Oggi arrivano ad 1 a 1500. In secondo luogo per realizzare gli obiettivi preposti sembra non venga toccato il nodo strutturale del sistema produttivo: una grande massa di lavoratori sottoutilizzati o sottopagati, e singoli imprenditori in un rapporto dialettico, deleterio per l’economia. Vi è bisogno di una rivoluzione industriale, educare i lavoratori a diventare soci / azionisti dell’azienda in cui lavorano, (democrazia Economica) amministrati dai loro rappresentanti e AD. Altrimenti il sistema rimane inefficiente e rischioso. Parmalat insegna: 36.000 famiglie a rischio per la cattiva gestione di una sola famiglia! Tutti proprietari, tutti lavoratori. La cosiddetta contraddizione capitale/lavoro, con le ‘vere’ Coop Mondragon dei Paesi Baschi, è stata risolta già nel 1954!

  2. luigi zoppoli

    E’ proprio vero: l’argomento contrattazione dovrebbe essere ricondotto alla sua natura pragmatica essendo dimostrato che la sua ideologizzazione ha prodotto danni immensi. La proposta qui presentata ha di certo il pregio della semplicità, e non è poco, della possibile immediata realizzabilità e di avere un soldio legame con misurabili, credibili parametri cui legare la misura della produttività. Ha il grave “difetto” di depotenziare il potere ideologico-interdittivo di sindacati corporazioni. E sarebbe un precedente assai grave per tutte le corporazioni e le caste. Faccio un tifo sfegatato perché la proposta divenga realtà. luigi zoppoli

  3. Alessandro Ferraro

    E’ vero che il protocollo del 1993 è oramai vecchio e va riformato. Credo che però ci si debba guardare bene dal concepire il contratto di secondo livello come un accordo tra singolo lavoratore ed azienda. Questo non deve essere per la enorme sproporzione di potere a favore del datore di lavoro. In merito alla proposta di legare i premi all’andamento anche negativo dell’impresa ritengo sia errato. I lavoratori non hanno alcun potere sulle scelte manageriali (errate o giuste che siano), quindi non trovo corretto dover penalizzare un dipendente per una scelta errata di un qualunque dirigente

  4. Rocco

    Il problema del rapporto salario-produttività non ha una soluzione, soprattutto nelle realtà delle piccole-medie imprese, dove oltre ad una scarsa rappresentanza sindacale, i bilanci sono facilmente falsificabili, anche solamente lievitando le rimanenze finali per abbattere un po di utile, prassi comune in molti settori. Mi viene da pensare che più che alla produttività dell’azienda, la contrattazione di secondo livello dovrebbe essere ancorata alle variazioni degli stipendi che si decidono gli amministratori, introducendo un rapporto massimo di salario (1:10 va più che bene) tra il top manager e l’ultima ruota del carro.

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