Lavoce.info

LA SPERANZA CHE VIENE DAL CARO PETROLIO

I prezzi alti del petrolio, determinati dalla domanda dei paesi asiatici, preoccupano l’Occidente. Eppure, almeno per gli Stati Uniti, c’è una correlazione positiva tra il costo del petrolio e la produzione industriale, come mostra uno studio recente. Perché la comparsa di nuovi attori economici rende alcune risorse più scarse, aumentandone il costo, ma offre nuove opportunità di commercio. E’ la capacità di innovare e rimanere leader in produzioni sofisticate e poco sostituibili che gioca un ruolo chiave nel decidere se la sfida di oggi sia un’opportunità o una sciagura.

Gli analisti concordano nell’imputare il recente rincaro petrolifero alla domanda dei paesi asiatici. L’alto prezzo del petrolio preoccupa l’Occidente. La memoria delle recessioni degli anni Settanta e Ottanta, seguite a elevati rincari del greggio, adombra le prospettive del ciclo economico. Ma ha senso confrontare gli eventi di quegli anni con quelli più recenti? Quali argomenti giustificano il paragone, ovvero una distinzione? Cosa dicono i dati riguardo le diverse ipotesi?

C’È SHOCK E SHOCK

L’analisi economica suggerisce che l’effetto di un rincaro del petrolio dipende dal fattore che lo ha causato. Se il prezzo risponde a fattori che mutano le condizioni dell’offerta, come nel caso della rivoluzione iraniana, della guerra in Kuwait, o di una politica restrittiva dell’Opec, il maggior costo del petrolio riduce la produzione nei paesi che lo utilizzano. Ma se il rincaro riflette un’accresciuta domanda di energia da parte dei paesi in via di industrializzazione, la produzione di un paese industriale è soggetta a un effetto depressivo, legato al rincaro dell’energia, e a un effetto positivo: gli acquisti di beni industriali e di consumo da parte dei paesi in crescita. Secondo questo schema la debole relazione tra prezzo del petrolio e ciclo economico negli anni recenti, ampiamente documentata, rifletterebbe shock di domanda di petrolio, mentre shock negativi di offerta potrebbero spiegare i fatti degli anni Settanta. (1)
In un recente lavoro abbiamo studiato gli shock di domanda e offerta nel mercato del petrolio, concentrandoci sull’economia degli Stati Uniti nel periodo 1973-2007. (2) L’analisi consente di quantificare il loro ruolo nelle fluttuazioni del costo del petrolio (il prezzo di un barile deflazionato con l’indice dei prezzi al consumo), e di misurarne l’impatto sul ciclo economico. La metodologia utilizzata assume che gli shock di domanda spingano produzione e costi del petrolio nella stessa direzione, mentre l’opposto avviene per quelli di offerta. (3) L’analisi si concentra sugli effetti reali trascurando le conseguenze inflative che dipendono, largamente, dal comportamento della politica monetaria.

COSA SPIEGA LE FLUTTUAZIONI DEL PREZZO DEL PETROLIO?

Lo studio mostra che gli shock di offerta nel mercato del petrolio spiegano poco meno della metà delle oscillazioni del prezzo del greggio degli ultimi trenta anni; più della metà è riconducibile agli shock di domanda. La scomposizione della serie temporale del prezzo del petrolio tra queste due componenti, nella figura 1, mostra chiaramente che gli shock di domanda sono la causa principale dell’aumento in corso da qualche anno.

PER VISUALIZZARE FIGURA1 CLICCA QUI

QUALI SONO LE CONSEGUENZE ECONOMICHE?

La distinzione tra i due shock è importante perché gli effetti esercitati sulla produzione industriale degli Stati Uniti sono molto diversi. Il pannello sinistro della figura 2 mostra che in seguito a uno shock negativo di offerta nel mercato del petrolio, che riduce la produzione e accresce il costo, la produzione industriale Usa diminuisce con una probabilità stimata intorno al 80 per cento a un anno dallo shock (la linea rossa indica la risposta mediana). Diverso è l’effetto che segue uno shock di domanda di petrolio. A fronte di un simile aumento nel prezzo del greggio, il pannello destro della figura 2 mostra che la produzione industriale Usa tende ad aumentare, con una probabilità stimata intorno al 70 per cento a un anno dallo shock. L’accresciuta domanda di petrolio da parte di paesi terzi non comporta quindi solamente “costi” per l’economia americana. La crescita del commercio, della domanda di beni industriali e di consumo si riflette su quell’economia stimolando la produzione industriale.

PER VISUALIZZARE FIGURA2CLICCA QUI

SFIDE E OPPORTUNITÀ

La comparsa di nuovi attori economici sullo scenario mondiale rende alcune risorse più scarse, aumentandone il costo, ma offre al contempo nuove opportunità di commercio. La correlazione positiva tra il costo del petrolio e la produzione industriale degli Stati Uniti rivela che l’economia americana è in grado di trarre un beneficio netto da questi sviluppi. Il risultato riflette solo in piccola parte il fatto che gli Usa siano anche produttori di petrolio (la quota sul valore aggiunto è bassa). L’analisi individua nella produzione di beni e servizi poco sostituibili, la cui domanda non sia intaccata dall’offerta dei paesi emergenti, il fattore che consente a un’economia industriale di accrescere il proprio prodotto, nonostante e anzi grazie allo sviluppo dei nuovi arrivati. È la capacità di innovare e rimanere leader in produzioni sofisticate e poco sostituibili che gioca un ruolo chiave nel determinare se la sfida di oggi sia un’opportunità o una sciagura, una paura o una speranza.  

(1) Si veda l’articolo di Jim Hamilton “Oil and the Macroeconomy”, in The New Palgrave Dictionary of Economics, 2008. Second Edition. S. Durlauf and L. Blume (Eds), Palgrave MacMillan Ltd.
(2) “Oil and the Macroeconomy: a structural Var analysis with sign restrictions”, di F. Lippi e A. Nobili, disponibile a http://francescolippi.googlepages.com/research3.
(3) Il metodo utilizzato per l’identificazione dei diversi shock si basa sull’ortogonalizzazione degli shock di  un Var a 4 variabili tramite restrizioni di segno (cfr. la sezione 3 del paper per i dettagli). Le restrizioni sono imposte per i sei mesi successivi al comparire dello shock.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Misurare la dipendenza dal petrolio è il primo passo per superarla
Leggi anche:  Comunità energetiche rinnovabili, un puzzle ancora da comporre

Precedente

UNA CASA PER LA POLITICA MONETARIA

Successivo

LA RISPOSTA AI COMMENTI

  1. Paola Villani

    In pochi Paesi si concentra oltre l’80% delle risorse mondiali di greggio e il controllo delle fonti energetiche è in mano ad un ristrettissimo numero di esponenti politici che governano "indirettamente" tutta la popolazione e l’industria mondiale. La scarsità di risorse prime (petrolio e gas naturali) modifica gli assetti geopolitici e determina (spesso) la violazione dei diritti umani nei Paesi produttori. Appare chiaro come il consumo di idrocarburi per la mobilità privata (stradale e aerea) possa apparire eccessivo a fronte di scenari di sostanziale stabilità di produzione – 4.330 milioni di tonnellate all’anno ovvero oltre 30 miliardi di barili annui (erano 26,4 solo un paio di anni fa…) – con riserve stimate(1 ) pari a 140.000 milioni di tonnellate (ovvero riserve stimate in soli 1.037 miliardi di barili ai quali potrebbero aggiungersi 24.000 milioni di tonnellate di idrocarburi – pari a 177,7 miliardi di barili – che potrebbero, il condizionale è ancora d’obbligo, essere estratti dagli scisti bituminosi di Canada, Cina e, notizia recente, in Congo). L’International Energy Agency (nel 2004) prevedeva un costante aumento dei consumi di energia con un incremento medio annuo dell’1,8%. Nel periodo gennaio 2006 – gennaio 2007 l’incremento è stato invece pari al 7% ovvero assai maggiore rispetto a quello ipotizzato. Convertendo i consumi annui e ritenendo "ottimisticamente" come nei prossimi decenni la domanda si attesti su un valore medio rispetto a quella espressa negli ultimi cinque anni, ne discende che tra il 2036 e il 2046 non ci sarà più una sola goccia di petrolio. Sebbene sia possibile ottenere gas attraverso i noti processi di gassificazione dei combustibili solidi (carbone, metodo Fischer Tropsch) anche ricorrendo a tutte le riserve di carbone accertate (e quantificate in 984 miliardi di tonnellate) si evidenzia come, sulla base dei trend attuali di consumo idrocarburi, tali riserve potrebbero "comunque" esaurirsi in un ristretto arco temporale. La domanda crescente non può essere in alcun modo soddisfatta.

    Paola Villani – Politecnico di Milano – Facoltà di Ingegneria – DIIAR Infrastrutture Viarie

  2. luigi zoppoli

    Questo interessante articolo è la conferma che una seria analisi degli eventi economici è l’unico metodo serio per assumere decisioni. Il caso dell’impatto del petrolio qui trattato con chiarezza fa giustizia di opinioni che, espresse in un bar lascerebbero il tempo che trovano, espresse da chi istituzionalmente ricopre incarichi decisionali in campo economico, terrorizzano per le prevedibili negative conseguenze.
    Luigi Zoppoli

  3. Luigi

    Con l’avvento della globalizzazione tutto è cambiato: i tempi si sono ridotti, le distanze si sono accorciate e, in taluni casi di fatto annullate, ogni avvenimento di qualche rilievo à vissuto da tutto il mondo e così via. Ma, seppure in questo nuovo e movimentato contesto, fa comunque una certa impressione costatare come il prezzo del petrolio subisca dei continui e rilevanti rincari raggiungendo livelli che, fino a poco tempo fa, erano inimmaginabili. A tal proposito e indicativo del fatto che ora tutto è destinato a mutare molto più in fretta che nel passato travolgendo radicati schemi, abitudini e convinzioni è quanto scritto da Giulio Tremonti nel suo ultimo libro “La paura e la speranza“ a proposito del prezzo del petrolio: “ Per quell’epoca (anno 2030), il prezzo medio del petrolio resterà come minimo sopra i 60 dollari al barile…”. Siamo in presenza di previsioni formulate appena qualche mese fa (il libro in parola è stato stampato nello scorso mese di marzo); ciononostante esse appaiono già vecchie e superate dai quotidiani avvenimenti.

  4. Domenico Ciccopiedi

    Per quanto eretico possa apparire, non concordo con la tesi che l’aumento dei prezzi derivi dall’aumento della domanda asiatica. Ad oggi è mai successo che mancasse del petrolio rispetto alla domanda? Ci sono state delle giornate sul mercato in cui qualcuno non è riuscito a comprare del petrolio? Diverso per esempio il caso del grano o del riso, in molti mercati sono mancati, momentaneamente, ma sono mancati. Quello del petrolio è un mercato monopolistico, In base alla teoria economica del monopolio l’Opec è incentivato a fissare un prezzo che massimizzi le sue entrate. Quindi se decidendo oggi di tagliare il 50% della produzione il prezzo salisse del 100% dovrebbero razionalmente farlo. Il prezzo del petrolio è oggi evidentemente al di sotto del suo “valore”, dove per valore intendo il valore ad esso attribuito dall’automobilista, e ciò è dimostrato dalla scarsissima elasticità della domanda. Tutto ciò succede oggi bruscamente perchè c’è stato un deciso cambio di guardia nei paesi produttori e la vecchia dirigenza più attenta agli equilibri politici mondiali è in via di sostituzione da parte di aggressivi MBA molto focalizzati sui risultati.

  5. Luigi Fistarollo

    Con l’avvento della globalizzazione tutto è cambiato: i tempi si sono ridotti, le distanze si sono accorciate e, in taluni casi di fatto annullate, ogni avvenimento di qualche rilievo è vissuto da tutto il mondo e così via. Ma, seppure in questo nuovo e movimentato contesto, fa comunque una certa impressione costatare come il prezzo del petrolio subisca dei continui e rilevanti rincari raggiungendo livelli che, fino a poco tempo fa, erano inimmaginabili. A tal proposito e indicativo del fatto che ora tutto è destinato a mutare molto più in fretta che nel passato travolgendo radicati schemi, abitudini e convinzioni è quanto scritto da Giulio Tremonti nel suo ultimo libro "La paura e la speranza" a proposito del prezzo del petrolio: "Per quell’epoca (anno 2030), il prezzo medio del petrolio resterà come minimo sopra i 60 dollari al barile…". Siamo in presenza di previsioni formulate appena qualche mese fa (il libro in parola è stato stampato nello scorso mese di marzo); ciononostante esse appaiono già vecchie e superate dai quotidiani avvenimenti.

  6. Luigi

    Con lo slogan "Risparmia carburante. E molto di più" l’Industria petrolifera europea (Europia) e la Commissione Europea hanno lanciato una campagna per l’efficienza energetica nell’uso dell’automobile. Sono 29 i Paesi coinvolti e quaranta le compagnie petrolifere che hanno aderito ad un vero e proprio decalogo del guidatore per risparmiare carburante e ridurre le emissioni di anidride carbonica. L’iniziativa, lanciata con un notevole impegno, consiste essenzialmente nella formulazione e nella capillare diffusione di 10 consigli per i guidatori di automezzi finalizzati al risparmio di carburante. La cosa può esser certamente utile; non capisco però come non sia stata accompagnata da analogo interesse l’iniziativa promossa dall’Eni, già nel mese di maggio dell’anno scorso, volta anch’essa a dare un contributo per il risparmio energetico. Tutti i consigli che l’Industria petrolifera europea e la Commissione Europea hanno ora formulato erano già presenti nella richiamata iniziativa promossa dall’Eni. Ma, come già ebbi modo di osservare in una precedente lettera, non sarebbe di qualche utilità se i "comportamenti virtuosi" suggeriti dal decalogo facessero parte delle materie oggi.

  7. david

    Il prezzo del petrolio è veramente basso per l’automobilista.Ora è a 140 dollari il barile. Non vedo perchè uno con un prezzo cosi’ basso uno debba cambiarsi la vita. Io continuo a usare la macchina, perchè mi è piu’ conveniente dell’alternativa: i mezzi pubblici. Faccio dieci km al giorno tra andare e venire dal lavoro, che in auto, di benzina mi costano un euro, perchè le altre spese sono fisse, anche se lascio l’auto ferma. L’abbonamento all’autobus mi costa 230 euro all’anno che sono circa 1 euro al giorno lavorativo. Tutt’alpiu vado piu’ piano, che comunque ci metto di meno che usare i mezzi pubblici. Gli altri spostamenti li faccio lo stesso perchè non ho alternativa. L’unica alternativa sarebbe andare in piu’ persone per dividere la spesa, ma sono molto egoista, come tutti gli italiani che pensano solo a se stessi.Gli altri occidentali non sono da meno, per cui penso, che con questo ragionamento il prezzo del petrolio continuerà a salire, finchè la domanda non diventi elastica. (anche i paesi in via di sviluppo hanno bisogno del petrolio per produrre e per "vivere" almeno al minnimo, molto di piu’ di noi.)

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén