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TRIONFO DELLA BUROCRAZIA

Per garantire che la compilazione del modulo di dimissioni volontarie sia una libera scelta del lavoratore occorrono sistemi di indagine e strumenti che certifichino la provenienza del documento da chi lo compila. Come la firma digitale o l’intervento di un pubblico ufficiale. Ma il vero deterrente agli abusi nella gestione dei rapporti di lavoro sono i controlli. La vicenda della legge 188/2007 mosta che l’irrigidimento delle norme troppo spesso serve solo a esaltare le capacità elusive.

L’attuazione della legge 188/2007, che ha introdotto il principio che le dimissioni del lavoratore debbono essere presentate esclusivamente su modelli resi disponibili dai servizi pubblici per l’impiego, una garanzia contro le dimissioni in bianco, si è rivelata un trionfo della burocrazia. Tanto è vero che sono state sin qui necessarie ben due circolari del ministero del Lavoro per disciplinare l’attività. E la seconda è stata emanata, il 25 marzo, per correggere il tiro della precedente, che aveva causato un piccolo caos operativo tra uffici.

L’ELUSIONE DEGLI OBBLIGHI

Il sistema immaginato dal legislatore e dal decreto attuativo 21 gennaio 2008 si presta alla semplice elusione degli obblighi normativi, come del resto indicato subito dagli analisti. Se per presentare le dimissioni volontarie occorre necessariamente utilizzare il modulo informatico e ottenere la validazione dal sistema informatico o dagli uffici pubblici accreditati, non altrettanto vale per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, in applicazione dell’articolo 1372 del codice civile, per la quale è sufficiente la forma scritta.
Si è passati, così, dalla firma delle dimissioni in bianco al momento dell’assunzione, alla firma dell’accordo di risoluzione consensuale in bianco, sempre al momento dell’assunzione.
I datori di lavoro si sono prontamente attrezzati, avvalendosi dei moduli per la risoluzione consensuale, così che la regola per la cessazione anticipata del rapporto di lavoro sta diventando velocemente non la presentazione delle dimissioni, ma il “consenso”. Nessuno, ovviamente, può controllare se il consenso sia effettivo, oppure forzato dalla parte contrattuale più forte, il datore di lavoro.
Lo dimostra la circostanza che nei primi giorni di applicazione della riforma, entrata in vigore il 5 marzo, la quantità di dimissioni volontarie registrata sul sistema messo a disposizione dal ministero del Lavoro è risultata molto più bassa rispetto all’andamento delle cessazioni dei rapporti di lavoro per dimissioni degli anni 2006 e 2007. Gli uffici pubblici, in particolare i centri per l’impiego delle province, hanno tirato un sospiro di sollievo: non vi è stata la temuta “invasione” di lavoratori, costretti dalla norma a dimettersi chiedendo necessariamente la “validazione” del modulo di dimissioni agli uffici pubblici. Tuttavia, il moderato incremento degli afflussi dei lavoratori dimostra che la montagna ha partorito un topolino.

UN SOSTANZIALE FALLIMENTO

Èinnegabile l’eccesso di burocratismo implicito nella versione iniziale del sistema, che aveva imposto ai lavoratori, per dimettersi, di presentarsi personalmente presso gli uffici abilitati, per ottenere la validazione del modulo compilato: era la negazione esatta del cosiddetto e-government, che postula la gestione telematica delle pratiche amministrative, proprio per evitare ai cittadini i costi in termini di tempo e denaro che derivano dalla necessità di svolgere le proprie pratiche nelle sedi degli uffici pubblici.
La legge 188/2007 e le iniziali norme attuative hanno palesato ancora un’eccessiva fiducia in un dirigismo pubblico, che, in realtà, è in grado solo di generare adempimenti e file agli sportelli, senza conseguire obiettivi concreti.
La stagione della lotta al precariato – giusto obiettivo, in astratto – ha generato norme “manifesto”, prive di concreta efficacia, che hanno irrigidito il sistema del lavoro e creato nuova burocrazia.
Il ministero del Lavoro ha preso atto del sostanziale fallimento del sistema, sicché con la circolare del 25 marzo consente quello che si sarebbe potuto e dovuto stabilire sin dall’inizio: i lavoratori potranno compilare da sé, sulle proprie postazioni di computer le domande, senza dover necessariamente affollare i centri per l’impiego e gli altri uffici abilitati.

DIMISSIONI DAL NOTAIO

La soluzione, tuttavia, si rivela sì potenzialmente capace di attenuare l’impatto di burocrazia, ma priva sostanzialmente di ogni efficacia l’intera architettura. Il datore di lavoro invece di farsi sottoscrivere le dimissioni in bianco al momento dell’assunzione, potrà farsi consegnare i dati del documento di identità del lavoratore, la user id e la password assegnati dal sistema, così da poter compilare esso stesso il modulo di dimissioni, quando lo ritenga opportuno. Dimissioni in bianco di seconda generazione.
Insomma, per garantire che la compilazione del modulo sia una scelta del tutto libera del lavoratore, occorrono sistemi di indagine della sua volontà e strumenti che certifichino la provenienza del documento da chi lo compila. Allora, solo la firma digitale e l’intervento di un pubblico ufficiale potrebbero fornire tali garanzie. E questo dovrebbe valere anche per la risoluzione consensuale del contratto. Sarebbe necessario pretendere che dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale siano da considerare valide solo se redatte davanti a un pubblico ufficiale: notaio, segretario comunale, direttore delle direzioni provinciali del lavoro, responsabili dei servizi per l’impiego provinciali.
Resta, tuttavia, da constatare che solo il forte potenziamento dei controlli può costituire il vero deterrente agli abusi nella gestione dei rapporti di lavoro. L’irrigidimento delle leggi, infatti, troppo spesso serve solo a esaltare le capacità elusive di norme, per altro spesso molto lontane dall’essere pienamente meditate e coerenti.

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I SALARI NON SCIVOLANO SULLE TASSE

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EREDITA’ TROPPO VINCOLATE

15 commenti

  1. Emilio

    "È innegabile l’eccesso di burocratismo implicito nella versione iniziale del sistema, che aveva imposto ai lavoratori, per dimettersi, di presentarsi personalmente presso gli uffici abilitati, per ottenere la validazione del modulo compilato: era la negazione esatta del cosiddetto e-government, che postula la gestione telematica delle pratiche amministrative, proprio per evitare ai cittadini i costi in termini di tempo e denaro che derivano dalla necessità di svolgere le proprie pratiche nelle sedi degli uffici pubblici. Il datore di lavoro invece di farsi sottoscrivere le dimissioni in bianco al momento dell’assunzione, potrà farsi consegnare i dati del documento di identità del lavoratore, la user id e la password assegnati dal sistema, così da poter compilare esso stesso il modulo di dimissioni, quando lo ritenga opportuno. Dimissioni in bianco di seconda generazione. Sarebbe necessario pretendere che dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale siano da considerare valide solo se redatte davanti a un pubblico ufficiale: notaio, segretario comunale, direttore delle direzioni provinciali del lavoro, responsabili dei servizi per l’impiego provinciali."

  2. Elio Gullo

    Ancora una volta assistiamo al fallimento di quel processo di modernizzazione chiamato e-Government. Processo sposato dai governi di turno solo come slogan in voga e con un certo appeal. Dal canto nostro, siamo riusciti a rendere complicato e costoso l’uso di strumenti di identità elettronica (la firma digitale è troppo "costosa" per usarla una volta l’anno) ed abbiamo partorito una montagna di norme e regole tecniche, allontanandoci dall’uso intelligente delle tecnologie come grimaldello per semplificare i procedimenti (traduzione "in italiano e per gli italiani" del termine e-Government). Ma se alcune scelte sono fatte senza sentire gli interlocutori e, tra questi, chi ne capisce qualcosa, allora le cose possono fallire. Ma l’inerzia amministrativa – il nostro maledetto lock in – raramente ammette l’errore e cambia strada. Ma la classe politica genera i dirigenti che merita e sceglie. Noi cittadini, però, avremmo diritto ad altro.

  3. Tommaso Siracusano

    La 2^ circolare nel giro di 20 giorni, per chiarire l’ovvio, ribadire il superfluo e non trovare una soluzione ad un problema, residuale e risolvibile da sempre attivando le azioni di tutela previste dal c.c. Nei casi in cui le dimissioni vengono rassegnate per errore o dolo nella formazione del consenso, ovvero, per effetto di un comportamento violento del datore di lavoro, diretto a coartare la volontà e la libera scelta del dimissionario sono annullabili. E lo sono ancora, a prescindere dalla forma, perchè nessuno garantisce che comportamenti illeciti non possano ancora avvenire tramite la coercizione del lavoratore a validare personalmente il modello, o anche di recarsi presso i soggetti abilitati. Tutto dipende dallo stato di soggezione del lavoratore, che potrebbe essere tale da indurre comunque, quest’ultimo a soccombere. L’unica cosa garantita, è un aggravio di costi, di adempimenti per i datori di lavoro su cui vengono ribaltati gli oneri della cessazione del rapporto di lavoro anche quando la volontà di recedere parte dal lavoratore. Un comma all’interno del primo provvedimento legislativo del nuovo Governo, che abroghi la norma, sarebbe il migliore inizio di legisla

  4. GIANLUCA COCCO

    Da noi le buone cose arrivano sempre tardi e male. Il modello standardizzato di dimissioni è un buon primo passo sia per tutelare il lavoratore costretto a dimettersi sia per recuperare un po’ di risorse erose dagli abusi dei datori di lavoro. Le 2 circolari del Ministero confermano però quanto siamo ridotti male in termini di analisi a priori degli impatti derivanti dalla introduzione di innovazioni di questo tipo. Quanto alla risoluzione consensuale e al suo probabile proliferare, penso che anche questa modalità di estinzione del rapporto di lavoro vada fatta passare per una sorta di certificazione pubblica che eviti l’utilizzo di una risoluzione consensuale in bianco. Quanto alla equazione calo delle dimissioni = elusione, se questa relazione non è suffragata dai dati (ad es incrociando i dati sugli occupati, disoccupati e inattivi) resta una semplice congettura. Pur concordando cone lei sulla necessarietà della firma digitale, penso, tuttavia, che l’utilizzo della password del lavoratore sia un rischio che ben pochi datori di lavoro saranno disposti a correre. Concordo con lei anche sulla necessarietà del potenziamento dei controlli, vero deterrente per ogni sanzione. Saluti.

  5. luca

    Non vi è dubbio che la nuova procedura per dare le dimissioni sia laboriosa, ma se consideriamo le motivazioni ci troveremo tutti daccordo. Il fatto è che molti datori di lavoro sono dei simpatici delinquenti. Essi, infatti, specie al Sud Italia, quando fanno firmare la domanda di assunzione, contemporaneamente ti fanno firmare quella di licenziamento senza apporre la data. Più di un lavoratore, al sud principalmente, firma una busta paga per una cifra che non ha avuto mai per intero, perchè il restante va in nero nelle tasche dell’imprenditore. Se riceve invece tutto il salario, poi deve restituirne una parte in contanti. i datori di lavoro "più onesti" fanno contratti part-time e fanno lavorare sempre 8 ore al giorno. Pur di lavorare, il lavoratore subisce e non si può ribellare. Tutti lo sanno, ma nessuno denuncia! Adesso, almeno, si è fatto un primo passo avanti. Il prossimo è capire perchè i controlli in materia di lavoro sommerso al sud non portano i risultati sperati. Paradossalmente la Lombardia risulta la prima regione d’Italia per evasione contributiva: chi vive e lavora tra il sud ed il nord sa benssimo che è un’assurdità. Questa, ancora oggi, è l’Italia.

  6. romano calvo

    Concordo totalmente con quanto scritto ed essendo un addetto ai lavori potrei aggiungere ulteriori elementi per dimostrare la totale distanza tra le (buone) intenzioni ed i (pessimi) esiti che rivelano misure di questo tipo, partorite da incompetenti collocati nel Ministero del Lavoro e nonostante ciò super pagati. La loro mancanza di cultura tecnico amministrativa non può essere giustificata dal fatto di essere di sinistra o di destra.

  7. Silla Cellino

    Anche la burocrazia è uno dei poteri forti che in questi ultimi anni hanno influenzato la nostra vita civile e politica e il potere burocratico è una delle espressioni di quella classe/casta informale che si è venuta consolidando e condiziona molte delle scelte governative, ma ha pesanti influenze anche agli effetti della vita civile. Il caso in questione è un aspetto particolare del burocratismo, che crede di risolvere i problemi con un decreto, una circolare, un modulo, una procedura, mentre continua l’inefficienza del sistema dei controlli, perché una sua ristrutturazione comporterebbe per l’intera macchina una rivoluzione che invece non si ha il coraggio di affrontare. Del resto lo si è già visto nel caso dei contratti a progetto, che si continua a demonizzare per circolari, ma senza dare attuazione alla legge con le commissioni di certificazione ed i codici di buone pratiche.

  8. Guido Moretto

    Che pasticcio! Tutto per risolvere un cosiddetto "problema", per guarire una supposta malattia. I datori di lavoro giustamente cercano ambiti di libertà contrattuale costantemente negati. L’unica vera soluzione è la sincerità contrattuale: assunzione solo a tempo indeterminato, senza altre complicazioni, con libertà di sciogliere il rapporto senza burocrazia e senza autorizzazioni, con semplice comunicazione.

  9. antonio petrina

    Egr. Oliveri, ma se le dimissioni sono le ultime volontà del laoratore che non riesce a lavorare più nell’ambiente di lavoro e sua sponte si dimette, credo che l’aiuto più prezioso non sia quello di andare in comune a notificare questa volontà, ma semmai dal suo sindacato (del quale forse il lesgislatore nella norma – manifesto ha volutamente scordato?) o ufficio del personale dell’azienda. Se poi il datore di lavoro non si tiene o non intende tenersi più quel bravo lavoratore ovvero il legislatore gli impone di assumerlo a tempo indeterminato è altra questione e allora le dimissioni volontarie (rectius: le sue ultime volontà) cosa c’entrano?

  10. Corrado Tizzoni

    Mi sembra che siamo di fronte ad un caso simile ai primi usi della stampa per fare libri identici ai manoscritti: si usa la telematica per aggrovigliare le procedure e complicare la vita ai lavoratori e alle imprese. Non sarebbe più semplice dare la possibilità al lavoratore di annullare le proprie dimissioni entro un periodo prefissato andando presso il rispettivo Centro per l’impiego?

  11. Ing. Giovanni Rossi

    Io credo che l’uso della rete possa aiutare; mi spiego, se il modulo di compilazione è residente su un server accessibile solo tramite password, e può essere compilato e spedito alla amministrazione destinataria, seguendo una procedura coerente non penso che possano verificarsi frodi; in pratica ci si potrebbe ispirare alle operazioni di home banking che consentono a clienti di banche di movimentare denaro e/o titoli.

  12. Giovanni Fazio

    Le problematiche denunciate testimoniano i soliti problemi organizzativi della nostra polverosa burocrazia, anche se si potrebbe pure sottolineare che si tratta del primo (in assoluto, per quanto mi consta) tentativo – seppure ingenuo e impacciato – di contrastare un fenomeno che tutti ben conosciamo da anni. Allora, un minimo di sensibilità per la buona intenzione non guasterebbe. Comunque, la questione resta e la soluzione proposta, tecnicamente e giuridicamente validissima e ineccepibile, si presta anch’essa alle critiche di chi, magari pelosamente interessato, griderebbe all’ulteriore burocratizzazione con l’intervento ‘addirittura’ del Notaio. Una considerazione e una domanda: (a) è difficile risolvere i problemi quando si ha a che fare con chi la legge non vuole osservarla, e mentre si critica -giustamente- le pastoie burocratiche imposte a fin di bene ma con poveri risultati, si trascura di denunciare il comportamento para-delinquenziale di certi datori di lavoro; (b) come si comportano, nel resto d’Europa, di fronte a questo problema? Meglio: esiste il problema? E se no, perchè? Una risposta sarebbe (per chi scrive) il gradito coronamento di un ottimo articolo. Grazie.

  13. Filippo

    Sono d’accordo nel ritenere che la soluzione sta nell’aumentare i controlli: però penso che la riforma vada valutata nel suo complesso. La considerazione della riforma in oggetto secondo me va intersecata con quella delle comunicazioni obbligatorie on line. Infatti i ripetuti interventi nella regolazione delle comunicazioni riguardanti i rapporti di lavoro potranno avere un notevole effetto in quanto il ministero del lavoro potrà essere prontamente informato circa tutti i movimenti concernenti i diversi rapporti di lavoro. Inoltre per evitare l’elusione si potrebbe obbligare a non effettuare le comunicazioni dal luogo di lavoro (in sede di controllo ciò potrebbe venire facilmente verificato tramite gli indirizzi IP dei Pc). A questo punto potrebbe scegliere di controllare a campione le risoluzioni consensuali o altre comunicazioni che possono presentare aspetti dubbi: il tutto però implica la volontà di fare controlli. Verranno effettuati dagli uffici competenti?

  14. Lia Gatti

    In Italia c’è il brutto vizio di dare per scontato che l’imprenditore sia un ladro che non paga le tasse e che vuole vessare i propri lavoratori. Se in Italia qualcuno di quelli che fa le leggi avesse mai avuto un’azienda, saprebbe che gli imprenditori non hanno alcun interesse a torturare i propri lavoratori. Due esempi? Prima della seconda circolare esplicativa un mio operaio mi dice che si vuole dimettere perchè vuole tornare a casa in Ghana. Cosa devo fare? Non lo posso certo trattenere a forza. Telefono al centro per l’impiego di Reggio Emilia e mi dicono che a seguito della nuova normativa c’è la fila dalle 8 di mattina alle 17 di persone che si devono dimettere (tutti ovviamente obbligati dal datore di lavoro e non perchè a Reggio la disoccupazione è al 2,6% e in due ore uno trova un lavoro nuovo se vuole). Morale il lavoratore si rifiuta di fare la coda e parte. Così mi tocca procedere con il licenziamento per assenza ingiustificata…… – una delle mie operaie mi chiede il part time a seguito di maternità. Glielo concedo, ma anche qui, siccome si da per scontato che io la stia obbligando deve andare a firmare in DPL.

  15. Maurilio Menegaldo

    Nel suo commento, già il sig. Antonio Petrina accenna al ruolo che dovrebbe avere il sindacato come prima tutela del lavoratore. Sono d’accordo, dato che sono un delegato sindacale in una grande azienda metalmeccanica. Però, il problema è che gli abusi maggiori si verificano (ovviamente!) dove il sindacato non c’è: ci imbattiamo quindi in un circolo vizioso. A mio avviso, si tratta di un’ulteriore conferma di quanto il ruolo di tutela sindacale sia regredito (soprattutto nei confronti dei più deboli) in questi anni, fino a dover richiedere un intervento legislativo per regolare una prassi come quella delle dimissioni che dovrebbe essere invece semplicemente un atto che fa parte di una "normale" dinamica di rapporti di lavoro, con un "normale" controllo delle organizzazioni sindacali. Per il resto, concordo sull’eccesso di burocratismo (fortunatamente, il Ministero ha dato la possibilità al singolo lavoratore di compilare il modulo, senza dover ricorrere agli uffici pubblici o agli enti convenzionati) e sulla possibilità di elusione della norma da parte dei datori di lavoro, che comunque deriva sempre dallo scarso potere di controllo del sindacato e quindi dei lavoratori.

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